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Ricordi di Carnevale. Di Cesare Colonnese

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Ricordi di Carnevale. Di Cesare Colonnese

In questa veste nessuno ti riconoscera’ mai, pensi, riflettendoti nel maestoso specchio della nonna nella immensa camera da letto di tua Mamma.
Un tabarro nero e provi un po’ di emozione, una sensazione vaga e lontana che non ti accompagnava da tempo e che avevi quasi dimenticato.
A farla riemergere Ti aiuta un bicchiere di vino bianco che una volta completato il trucco, ingerisci a denti stretti e in un sorso solo, come fosse una medicina cattiva. Ti aspettano giu’, e’ tardi, anche per questo bevi tutto di fretta, ed in fondo il vino non ti e’ mai piaciuto per il gusto che ha, ma solo per la sensazione di liberta’ che ti procura.

Una spruzzata del tuo profumo preferito, quello che hai comperato a Parigi ai magazzini Lafayette e che costava un occhio della testa, ma stasera ci sta’. La bottiglia che tieni sopra al como’ di quell’antico mobile che ai tempi nostri oramai verrebbe definito un cassone.
I guanti neri, un sacchettino mal cucito dove mettere i soldi che porterai con te.
Le chiavi di casa, le sigarette e l’accendino e poi, chiusa la porta inizi a scendere le scale velocemente con la fretta di scoprire se gli altri ti riconosceranno oppure no. Ti prude un occhio, ma la sola cosa che riesci a fare e’ grattarti pian piano con la punta del dito mignolo nella speranza di non cancellare quella sfumatura di grigio che ti e’ costata trenta minuti di lavoro.

Ti avvolgi nel mantello nero quasi fosse un sudario e lo stringi intorno a te un po per il freddo e la vergogna, un po’ per non sporcarti col muro fatiscente di una Venezia stanca e umida che, malgrado i milioni di turisti, si sgretola ogni giorno di piu’.
Aperto il portone metti il tacco della scarpa sul masegno sotto lo scalino e pensi: ecco, e’ fatta! Ormai sono uscito e come andra’ lo vedremo, non torno piu’ indietro nemmeno per la vergogna.

Venezia e’ una galleggiante d’allegria, inebriata di farine e profumi di frittelle ad ogni angolo di calle. E vino.
Carnevale per te comincia in quel momento! Ora puoi andare in Piazza. Qualunque sia il tuo programma, per prima cosa devi andare in Piazza. E’ prassi. Uno spritz al Florian, in piedi perche’ costa meno. Una seduta al Florian e’ roba da turisti o da benestanti e tu non te lo puoi permettere. Entri con passo deciso e sorridente.

Un mantello nero ben stirato,una Baùta bianca ed un tricorno lasciano intravedere i tuoi occhioni scuri che scrutano come fossero uno scanner chiunque ti passa a fianco o ti guarda.Non saluti,non chiami.Nemmeno chi conosci da sempre e,consapevole che da poche persone nella vita ti sei lasciato guardare negli occhi,pensi…non mi riconosceranno.

Il clima e’quello dei giorni lontani di molti anni fa’, dei Carnevali di un tempo. E’ un clima che tu riconosci anche se non c’eri. Perfino nei suoi odori. Come se tu avessi vissuto nel milleottocento, tra stole di velluti e drappi di sete preziose. Lo hai letto nei libri che questa citta’ non e’ cambiata.
Venezia fortunatamente non l’hanno potuta cambiare, altrimenti il progresso, gli interessi di alcuni, gli uomini, avrebbero distrutto anche tanta meraviglia. Come stan facendo con tutto.

Qualcuno dei tuoi vicini ti riconosce e ti chiama, forse dal tuo modo di fare o dalla tua voce, un po’ per dispetto, per cattiveria, quasi a voler deludere le tue aspettative di poter rimanere in incognito.
Aleggi nelle calli della citta’ come un’onda mentre qualcuno questa volta ti invidia davvero un po’.
Con te trascini un aria profumata, un odore di cipria bianca mescolata al tuo profumo che diventeranno l’essenza del tuo Carnevale, quell’essenza che ogni qualvolta ti ricapitera’ di sentire nella vita, rimpiomberai ovunque ti troverai, nel bel mezzo di un Carnevale veneziano.

Siamo fatti di ricordi, di memoria. Piu’ passano gli anni e piu’ si accatastano ricordi nella nostra mente. Noi uomini custodiamo nella memoria attimi e odori che se ne stanno lì, latenti, sempre pronti a scatenare in noi vivi attimi di vita vissuta che credevamo morta. Morte. Una parola che ci terrorizza, che ci fa fuggire. Ma il vissuto non e’ mai morto, e’ solo trascorso. Il vissuto e’ vivo in noi, e alle volte un profumo, un gusto, un odore possono farcelo improvvisamente rivivere come fosse il nostro presente. Questo ci e’ di grande aiuto, anche quando perdiamo le persone care e crediamo di impazzire, non impazziamo, ma ci ancorìamo ai ricordi di loro chiudendo gli occhi, pur soffrendo per non poterli toccare, ai ricordi delle loro voci, profumi, ai momenti in cui con loro la vita la vivevamo davvero. Lo facciamo in silenzio perche’ sono momenti intimi, senza parlarne, deglutendo nei silenzi delle notti insonni. Custodiamo nella nostra anima quelle sensazioni che proteggiamo gelosamente ed anche per questo non ne parliamo mai con nessuno. Nessuno se raccontassimo queste cose ci capirebbe.

La vita e’ così, come un carnevale. Fatta di attimi intensi, di cambi di abito, di colloqui che poi dimentichiamo fin quando improvvisamente un odore e ci ritroviamo a vivere quel momento che credevamo trascorso per sempre. Ma ci sono attimi che possono ritornare.
Forse ci verra’ un pizzico di malinconia nel riviverli, come quella vaga malinconia che ci prende nell’incrociare una maschera a Carnevale. Di primo acchito sorridiamo, eppure quando si allontana pian piano c’e’ qualcosa di molto sottile che ci rattrista un po’. Quell’attimo si sta trasformando in un ricordo, il ricordo del nostro Carnevale, dell’odore acre del cerone, di quando eravamo bambini e le nostre madri ci vestivano improvvisamente di stoffe colorate.

Il Carnevale e’ un momento,intenso,carico,e’ vita.Ne abbiamo molti nella nostra memoria.Li possiam rivivere, non ci manca nulla,la citta’ l’abbiamo,con la sua magia,la sua poesia e’ sempre lì che ci abbraccia e ci sostiene.Venezia ed i suoi colori,sbiaditi,intensi,accesi,spenti,contradittori.Come la vita.Il resto lo teniamo nell’anima,come in un palco impolverato di un Teatro dove la commedia e’ stata solo sospesa,ma riprendera’.

Carnevale quest’anno era arrivato davvero presto.
Non abbiamo fatto nemmeno in tempo a smaltire il gusto del pandoro dal palato, che subito le strette stradine veneziane si sono inondate di profumo di fritto.
Profumo sì, perche’ le frittelle non hanno quell’odore stagnante e nauseabondo che impregna i vestiti quando si va a mangiare in un ristorante non del tutto ben aerato. Le frittelle profumano di grappa, di sogni, di stelle filanti.

Le frittelle profumano di Piazza San Marco, spolverate di una neve bianca e sottile, come se il vento delle notti di Febbraio portasse a spasso lo zucchero a velo e una volta intriso di sapore di laguna lo deponesse delicatamente su ogni frittella. Tutto questo, mentre un sapiente frittolino friggendo quella pasta lievitata ricca di uvetta e aprendo una finestra, facesse giungere quel profumo inconfondibile fino alla cima del campanile da dove, la domenica dopo, si calera’ sotto un sole gelato e una piazza strapiena, l’angelo in volo.

Ai tempi della Serenissima,quando la citta’ di Venezia sottostava a regole ben precise, il solo periodo in cui la popolazione godeva di un momento di liberta’ di espressione, di goliardica allegria era il Carnevale. Lì tutti diventavano uguali, sparivano le differenze tra ceti e per un po’ non esistevano pregiudizi e differenze.
Lì si poteva osare, si poteva far la corte a qualcuno, si poteva persino canzonare un aristocratico, facendosi forti della maschera che celava la vera identita’ della persona.

Si poteva mangiare una frittella, quel dolce veneziano diventato il dolce nazionale della Repubblica Serenissima. Veniva preparato per strada, agli angoli di calli e campielli dai fritoleri che iniziarono gestendo banchetti di legno qua e la’ e finirono per creare una vera, reale associazione.

Da quegli anni la fritola venexiana rimase uno dei nostri piatti indimenticati e di indiscusso successo. Un dolce di Carnevale che e’ ormai noto in tutta Italia e in tutto il mondo.

Io un paio di anni fa’ ne ho preparato la ricetta per Voi.

Vi consiglio di farle, per Voi, per i vostri cari, per i vostri figli, per Amore della vostra citta’.
Carnevale e’ una fritola.
Carnevale e’ un momento di vita allegra che va vissuto.
Carnevale e’la malizia.
Carnevale e’ far ritorno a casa la notte,quando inoltrata la Quaresima tu ancora vestito in maschera ti senti un peccatore.
Carnevale e’quell’odore dolce di fritto mescolato a quella cipria che teniamo in tasca per tutta la festa.
Poi alla fine la estraiamo e ci accorgiamo che e’ andata rotta quando ci e’ caduta.
Ci rallegra il fatto che lo specchietto sia ancora intatto,mentre pensiamo: “Massì, se anche si fosse rotto… maldicenze!”

Notte fonda,quasi mattina, stanchi e col singhiozzo dal troppo vino, ci accarezziamo malinconicamente il viso col cotone per cancellare quella leggerezza che ci aveva quasi rapiti.

Un calderino a tutti dal Vs. Cesare Colonnese

Cesare Colonnese
09/04/2016

(cod carneve)

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