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Pascal, i suoi Pensieri e Venezia in ascolto. Di Andreina Corso.

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Il tram da Venezia a Mestre è pronto, si sale a bordo

Quante volte nei momenti di crisi cerchiamo tracce di risposte ai perché che ci affliggono nella quotidianità, e ci affidiamo ai testi dei poeti, dei filosofi e degli scrittori che hanno contato e contano nella nostra vita e in quella degli altri. E persino di coloro che quegli autori non li hanno mai letti, che conoscono vagamente i loro nomi, ma sanno che il loro respiro resiste al tempo e alle mode, come sentinelle mute e armate solo della fiducia nell’uomo che pensa in consapevole libertà e considera la natura nel suo insieme, nel rispetto di tutti i valori.

Dico mode pensando al filosofo Blaise Pascal, che avverte “quando si legge troppo presto, o troppo lentamente, non si capisce niente”. Su Venezia succede proprio questo. Le affermazioni di chi appresta a sostenere il Sì o il No riguardo il referendum del primo dicembre, sventrano la complessità con una serie di motivazioni di carattere politico e economico, di gran lunga dichiarate rispetto a quelle culturali. Cos’hanno di specifico le ragioni culturali?

Ad ascoltare le motivazioni legittime dell’una e dell’altra posizione, ci si rende conto, volendo, che esulano da quel luogo della ragione temporale che scorre a tutto raggio nel nostro pensiero. E finiscono col dimorare, senza riposo, nell’isola delle questioni pratiche, di quel che riguarda il “conviene o non conviene”.

Se per molti è più utile stare in trincea e contare sulle spalle di veneziani che si sentono tali con la V maiuscola e quindi in diritto di autoregolarsi nella loro esimia storicità. Oppure se quella dimora può e possa allargarsi alla terraferma, a quell’habitat , che un tempo era attraversato dall’ acqua, dove Venezia, piaccia o non piaccia, ancora c’è e vive di speranze, di frustrazioni, ma anche di orgoglio per la sua tenuta, per la volontà di esistere in un contesto veneziano variegato, che gli è dovuto.

Perché gli è dovuto? Perché di questo parla il territorio e la sua gente, con le sue differenze e specificità. Vien da chiedersi: a chi appartiene l’acqua? E la Basilica di San Marco? E i fiumi, le barene, a chi appartengono?

Se Venezia è stata riconosciuta dall’Unesco ‘ patrimonio dell’umanità’, non è che questo prestigioso appellativo derivi, oltre che dagli artisti, anche dalle mani che hanno lavorato nel suo Arsenale, non è che i vogatori hanno speso fatica e sudore nel loro lavoro? Non è che gli operai che si sono ammalati a causa dei fumi di Porto Marghera, non abbiano voce in capitolo, vista la produzione economica che spesso è costata loro la vita?

Comprendo che sono tempi acri, di sovranismi sguaiati e di egoismi pronunciati, ma pur incoraggia la forza dei giovani che in queste giornate sono andati a Burano a parlare, a consolare le famiglie vittime dell’ ’acqua’ granda’, accompagnati da bravi insegnanti, da adulti responsabili e consapevoli. Altri ragazzi a Mestre, si sono dedicati a situazioni precarie, a persone in difficoltà, dopo le recenti e tragiche giornate.
La solidarietà è un collante che fa miracoli e la si pratica stando insieme.

Lo scrittore Paolo Barbaro, nella sua Venezia ritrovata, racconta la visione della città dall’alto di un aereo. Venezia e Mestre, a bassa quota sembrano un tutt’uno, abbracciate l’un l’altra nel loro destino dentro specchi d’acqua, canali e barene.

Se pensassimo solo per un momento a quanto la tecnologia ha allargato gli spazi di comunicazione, ai gemellaggi da un polo all’altro del pianeta, non si riesce a comprendere come non si possa amministrare un territorio cogliendone bisogni e specificità.

Addirittura due Comuni e quanto vigore e quanto livore. Perché? Pascal sostiene che la parte dominante dell’uomo sia l’immaginazione che descrive come ‘facoltà superba e nemica della ragione che si compiace di dominarla e di e di controllarla, per non mostrare all’uomo la sua seconda natura’.

Bisognerebbe difenderla questa natura, sapere guardare in alto, oltre i propri egoismi, sorvolando sull’effimero e uscendo da pregiudizi e ottusità.

Le lacune, gli errori, l’incuria, lo sfruttamento di Venezia, sono questioni note. Per superarle e restituire salvezza e armonia alla laguna, basta immaginare, come dice Pascal e provare a giocare con le parole: “una città, una campagna, un mare, una laguna, un viale, un parco, una chiesa antica, un condominio, una gondola, una barca, da lontano sono una città, ma via via che ci si accosta, sono anche alberi, tegole, foglie, erba, formiche, zampe di formiche, all’infinito. Tutto ciò è racchiuso sotto il nome di città”.

E gli occhi che guardano quella città sono gli stessi, i piedi che toccano terra, prati o piazze, sono gli stessi, con uguale calpestio, indossano scarpe e scarponi, sandali e ballerine, il sole illumina tutto, la pioggia bagna tutto.

Sotto di loro vaga un uomo incerto, un po’ pazzo, un po’ sognatore che ha appena deciso di prendere il tram e di andare a Venezia.
Ha nostalgia di vedere l’acqua e la sua città.
Non sa a chi confidare il sentimento che prova quando scende dal mezzo. Si guarda intorno, accarezza il suo cane che lo ha accompagnato, respira a fondo. E poi risale sullo stesso tram che lo riporterà a casa. A Mestre.

Andreina Corso

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