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Pandemia, la notizia: contagi in salita nei bambini 0-9 anni

Contagi in salita nei bambini 0-9 anni e gli esperti si interrogano. Una teoria sembra la più coltivata: in questo dato c'è una larga incidenza della riaperture delle scuole.

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Pandemia, la notizia giunge inaspettata: contagi in salita nei bambini 0-9 anni.
Non si può ignorare il dato pandemico che riguarda i bambini: perché solo la fascia 0-9 anni ha registrato un aumento del contagio nel periodo indagato, dal 19 al 25 Aprile?
Nella valutazione complessiva si sono rilevati 146 casi per centomila abitanti: 11 meno della settimana precedente.
Sarebbe confortante questa inclinazione che mette insieme l’adesione dei cittadini alle note misure preventive e la campagna vaccinale che va sempre più velocizzandosi, se non spiccasse il dato di controtendenza che ha evidenziato i bambini fino a 9 anni che toccano i 200 casi ogni centomila abitanti.
Perché?
Ora sono in molti a interrogarsi sulle ragioni di questo picco; dalle famiglie ai medici, ai virologi, ai pediatri, alla scuola.
L’incidenza è coincisa con la riapertura delle scuole e s’indaga sulla sicurezza dei protocolli di prevenzione e sulla loro applicazione.
Quel che si sa è che la scuola nel suo insieme pone grande attenzione al rispetto di tutte le norme possibili per evitare i contagi e del resto quasi tutti gli insegnanti sono vaccinati.

Rassicura che l’infezione tra i bambini, sia di solito asintomatica e pare non provocare danni negli adulti.
Il presidente dell’Istituto Superiore della Sanità Silvio Brusaferro, ha dichiarato che la situazione era prevedibile; “Abbiamo sempre affermato che con un maggior movimento e aggregazione era da aspettarsi un aumento dei casi, ma il valore della scuola è prioritario, l’importante è mantenere l’ ’Rt sotto 1.”
Non c’è dubbio che tenere sotto controllo il contagio scolastico sia più difficile da quando la variante inglese del virus è dominante nel nostro paese e altre varianti s’insinuano e preoccupano.
‘Non si dica che questo dato è irrilevante’, non ci sto, sbotta il professor Massimo Galli, direttore di Malattie Infettive dell’Ospedale Sacco di Milano, ‘se si vuole tenere basso il livello dei contagi è comunque meglio che gli alunni non vadano a scuola’.

Al Congresso Nazionale di NeuroPsicoFarmacololgia il professore ha ripetuto la sua tesi, portando a conoscenza degli scienziati e del Ministero alla Pubblica istruzione un’analisi svolta in 131 Paesi i cui risultati mostrano che 28 giorni dopo la riapertura delle scuole, abbiamo un 24% di aumento del tasso di contagiosità.
In generale, secondo il professor Galli “dobbiamo stare ancora molto attenti.
In altre parole, siamo in una fase in cui l’epidemia è lì, affannosamente i metodi di contenimento in qualche modo l’hanno mitigata, ma non fino in fondo.
Ci sono stati dei ripensamenti e il tira e molla cromatico tra una regione e l’altra, le rivendicazioni.
Il risultato è che rischiamo di ‘congelare’ ancora la popolazione”.
Galli ha anche citato “la soglia del 30% intesa come soglia di allerta per l’occupazione dei posti letto delle terapie intensive: varie regioni e province autonome o sono al 30% o lo superano o ci sono molto vicine”. (Fonte Ansa).

Lo scenario è complesso e zeppo di domande senza risposta, ma ci sono indicatori ed evidenze scientifiche che possono aiutare la politica a fare le proprie scelte.
Una cosa è certa: la risposta della comunità scientifica non potrà mai essere un netto sì o no, proprio perché influenzato da altri fattori della vita sociale.
La rivista Science, ha pubblicato un editoriale sul ruolo dei bambini nella pandemia che ha come tema centrale, proprio la riapertura delle scuole. La rivista scientifica ha utilizzato il termine “mistero” per sintetizzare i tanti punti oscuri che ancora restano.

“Ci sono peraltro ricerche dai risultati contrastanti: una, condotta in Islanda, ha concluso che i bambini hanno una capacità di infettare gli altri in sostanza nulla, mentre un’altra molto più ampia sulla popolazione cinese è arrivata al risultato opposto, ossia che dal punto di vista del contagio non ci sono differenze tra giovani, adulti e anziani.
Su un paio di punti però pare esserci un largo accordo all’interno della comunità scientifica.


 

Anzitutto, la chiusura delle scuole non serve tanto per proteggere la salute degli studenti stessi, ma per tutelare le loro famiglie e per ridurre la circolazione del virus nella popolazione in generale.
E poi che, per moltissime malattie a trasmissione aerea, i contesti scolastici o di aggregazione sono eccellenti occasioni di contagio e di proliferazione dei patogeni, anche per il gran numero di persone tipicamente concentrate in una sola stanza”.
Ciò detto e valutato rimangono aperte tante altre questioni, come la socialità, il diritto allo studio, la fatica dei più piccoli a seguire la didattica a distanza, il bisogno di comunicare.
Ci vorrebbe una bilancia speciale che portasse a equilibrare i bisogni con i rischi, le previsioni con i dati reali, la prudenza con la responsabilità, perché i bambini, i ragazzi sono nelle mani degli adulti.
E sarebbe un delitto non accorgersi di sbagliare.

Andreina Corso

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