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Morto in casa da una settimana a Mira ma nessuno se n’era accorto

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Morto in casa da una settimana: a Mira ancora una morte in solitudine.
Anche M.N. è andato ad allungare la lista delle morti avvenute in solitudine, di quei decessi di cui ci si accorge perché il vicino non si vede da giorni e qualcuno s’interroga e bussa ripetutamente alla porta, ma solo il silenzio interrompe il sospetto che si svela dopo l’intervento dei carabinieri, chiamati in soccorso dal Comune, che anche questa volta entrano in casa.

E in quelle stanze, tutto si spiega allo stesso modo in cui si sono spiegate le uscite dalla vita di uomini invisibili nella società dei più. Che fare, di chi è la responsabilità? Forse di tutti che è come dire che non è di nessuno.

Il signor M.V. muore a 64 anni a Mira, teatro suo malgrado, di storie simili a questa, cinque negli ultimi mesi, che richiamano a esistenze ‘a perdere’, che vivono in mezzo agli altri, senza essere visti veramente. È la solitudine a caratterizzare la loro vita.
M.V. era vedovo e non aveva figli. Abitava in una palazzina dell’Ater e i vicini lo ricordano come una persona gentile e discreta.

È morto per cause naturali, come gli altri, e pare, da oltre una settimana. E come da copione ora ci s’interroga sul ruolo dei servizi sociali, che affermano però, in questo caso, di non aver mai seguito il signor M.V.

Puntuali e scontate le doglianze delle istituzioni e il Comune si dice disponibile a farsi carico delle spese del funerale.

Si riapre il problema della qualità dell’assistenza sociosanitaria rivolta alle persone che vivono sole e di chi dovrebbe farsi carico di prevenire morti strazianti come questa, che tuttavia illuminano la società in cui viviamo.
Si parla d’inclusione e di rafforzamento dei legami di vicinato. Per includere si dovrebbe tentare di coinvolgere le persone sole, di invitarle a partecipare a qualche attività o momento di socialità, per farle sentire ‘dentro’ una comunità che si accorge della loro esistenza, inventare qualcosa che le diano la percezione di sentirsi ‘pensate’ e le aiuti a uscire dall’isolamento.
Forse sarebbe utile esercitare la prevenzione, attraverso un osservatorio, con visite programmate capaci di cogliere i bisogni della persona che vive sola, con i suoi problemi, spesso economici, di salute e di depressione.
Il rinforzo dei rapporti con il vicinato, non può che nascere spontaneamente, dalla volontà di interessarsi a quella persona che vive nello stesso condominio e che è così ‘gentile e riservata’. . .

La socializzazione potrebbe evitare l’esclusione ma sappiamo che queste morti riportano alla memoria un tempo lungo di crisi della società di non semplice lettura, dove le persone anziane spesso perdono quel diritto di cittadinanza che fa di loro soggetti ‘indecifrabili’, sotto gli occhi di tutti e di nessuno.

Il signor M.B. muore in casa a Mira, in solitudine. Altri e numerosi anziani muoiono in una casa di riposo, anche loro in solitudine, accanto ad altri vecchi che sanno di dover morire in quella residenza che non è la loro casa.
Va bene così? Il filosofo Norberto Bobbio nel suo libro ‘Eutanasia da abbandono’, si chiede: “Essere anziani e spesso soli, vuol dire che la vita perde corpo e peso fino a sbriciolarsi e sparire?”.

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