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Maltrattamenti in famiglia: la tutela legale

"Maltrattamenti contro familiari e conviventi" è reato grave, punito severamente dal nostro Ordinamento che reprime ogni forma di violenza, fisica o psicologica, perpetrata al coniuge separato o comunque al convivente.

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La cronaca nera riporta sempre più spesso episodi di maltrattamenti all’interno della famiglia, che talvolta sfociano in fatti di sangue, spesso intervallati da lunghi periodi di tempo che portano la vittima a sottovalutarne la pericolosità e le conseguenze sul proprio status psicofisico. 

Se’ è vero che l’attivazione della macchina processuale è compito non semplice, è vero però che il nostro Ordinamento ha fatto grandi passi in avanti per velocizzare e rendere sempre più efficaci misure di contenimento, a partire dalla possibilità di richiedere misure preventive di protezione già nella fase della denuncia (allontanamento dalla casa familiare, divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla vittima e, nei casi più estremi, l’inserimento della vittima in una struttura protetta).

L’allarme sociale provocato dalla recrudescenza di questi reati è assai elevato ed il legislatore è intervenuto sin dal 2012 con la Legge 172 modificando il codice penale che all’art. 572 punisce con la reclusione da tre a sette anni chiunque maltratti una persona della famiglia o comunque convivente.

La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità ovvero se il fatto è commesso con armi.

Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a nove anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a ventiquattro anni.

Il minore di anni diciotto che assiste ai maltrattamenti si considera persona offesa dal reato.

L’applicazione concreta della norma presenta tuttavia diversi problemi; se è pacifico il fatto che il reato comprenda anche le vessazioni inflitte al convivente (a prescindere, quindi, da un vincolo matrimoniale) non così chiara è l’esatta portata della nozione di “maltrattamenti”. Il reato, poi, sussiste anche se la convivenza è cessata, ad esempio a seguito di separazione? Ancora, è ravvisabile il reato se la vittima reagisce ai maltrattamenti?

I processi che quotidianamente vengono celebrati nei nostri Tribunali hanno fatto luce sull’esatta portata di questo reato, ampliandone il campo di applicazione.

Rientra nel reato di maltrattamenti contro familiari o conviventi non solo la violenza fisica, ma anche quella psicologica: umiliazioni verbali, certo, ma anche la privazione pressoché totale del sostegno economico (così la Cassazione penale, sentenza n. 18937/2016). Questa stessa sentenza ha stabilito invece che costringere il partner a subire rapporti sessuali integra il più grave reato di violenza sessuale, punito con la reclusione da sei a dodici anni.

Frequente, poi, è il caso di maltrattamenti inflitti al coniuge separato, ormai non più convivente; si pensi al caso del coniuge separato che di fronte ai figli umili con ingiurie o frasi sprezzanti l’altro coniuge. A prima vista, l’art. 572 del codice penale sembra far riferimento a persone comunque “conviventi”, ma la Cassazione penale (sentenza n. 45400/2022) ha chiarito che integrano il reato di maltrattamenti in famiglia anche le condotte vessatorie nei confronti del coniuge che, sorte in ambito domestico, proseguano dopo la sopravvenuta separazione di fatto o legale, in quanto il coniuge resta “persona della famiglia” fino al divorzio, anche se non più convivente. La separazione, infatti, dispensa dagli obblighi di convivenza e fedeltà, ma lascia integri quelli che assumiamo al momento del matrimonio, discendenti dall’art. 143, comma 2, del codice civile, fra i quali quello del reciproco rispetto (Cassazione penale, Sezione II°, sentenza n. 41386/2023).

Le condotte vessatorie cagionano sofferenze, privazioni ed umiliazioni, tanto che spesso la vittima diventa succube dell’autore dei maltrattamenti, ma che succede se, invece, la vittima resiste e replica? Interessante è il caso esaminato dalla Corte Suprema, Sezione III, con la recentissima sentenza n. 36170/2023, relativo ad una fattispecie nella quale il marito condannato in primo grado per maltrattamenti era ricorso alla Corte deducendo che non risulterebbe dimostrata una situazione di sudditanza psicologica della moglie. La Corte ha confermato la condanna, precisando che il delitto di maltrattamenti contro familiari o conviventi non è escluso per effetto della maggiore capacità di resistenza dimostrata dalla persona offesa, essendo sufficiente l’idoneità della condotta a provocare sofferenze. Già in precedenza la Suprema Corte era giunta ad affermare che il reato di maltrattamenti in famiglia fosse configurabile anche nel caso in cui le condotte violente e vessatorie siano poste in essere dai familiari in danno reciproco gli uni degli altri (Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 12206/2020).

Un ultimo aspetto merita di essere evidenziato: quali sono le conseguenze della condanna per il reato di maltrattamenti in famiglia o verso conviventi?

Il colpevole dovrà risarcire il danno alla vittima che ne abbia fatto richiesta costituendosi parte civile nel processo, ma dovrà anche partecipare a specifici percorsi di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannati sentenza. Lo ha stabilito la recente sentenza n. 30147/2023 della sesta sezione penale della Corte di Cassazione, che ha applicato le norme del “Codice rosso” (Legge n. 69/2019) che rafforza la tutela in favore di coloro che subiscono violenze per maltrattamenti.

In conclusione, il reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi è un reato grave, punito severamente dal nostro Ordinamento che intende reprimere ogni situazione di violenza, fisica o psicologica, obbligando il condannato ad un percorso di rieducazione. L’auspicio è che le vittime trovino sempre più il coraggio e la forza di reagire ad ogni genere di vessazione, non sminuendone o sottovalutandone la pericolosità, affidando quanto prima a Professionisti del settore il compito di affiancarle nella lotta alla violenza.

Avv. Luca Azzano-Cantarutti  Avv. Giulia Azzano-Cantarutti

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