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Integratori alimentari: gli studi che dimostrano criticità

Vitamine e integratori alimentari sono un florido business con una regolamentazione molto più leggera rispetto ai farmaci, e i loro benefici sulla salute sono tutt'altro che provati. Anzi, in certi casi...

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Molti problemi con gli integratori alimentari.
Gli studi clinici stanno accumulando prove delle criticità connesse con il loro consumo.

L’ultima segnalazione arrivata in ordine di tempo riguarda il consumo della vitamina B3 altrimenti chiamata niacina. Nel secolo scorso nella pianura Padana e nel sud degli Stati Uniti somministrata in opportune dosi giornaliere ha contrastato efficacemente la pellagra una grave patologia caratterizzata da pesanti manifestazioni cliniche compresa la demenza. In Italia una integrazione praticata con la niacina assieme ad una dieta più varia e non più centrata solo sul mais, ha condotto nel secolo scorso alla eradicazione definitiva della patologia.

Ma le abitudini sono dure a morire e la vitamina B3 si è fatta un nome anche come integratore alimentare per la riduzione del colesterolo in prevenzione primaria delle patologie cardiovascolari. Con uno studio clinico pubblicato nel febbraio di quest’anno Marc Ferrell del Lerner Research Institute di Cleveland, ha messo in guardia i consumatori di questo integratore vitaminico. Un suo eccessivo consumo produce due metaboliti secondari che sono stati associati all’aumento del rischio di eventi cardiovascolari non alla loro riduzione.
Ferrel non è il solo a lanciare avvertimenti sugli integratori.

Negli ultimi anni è stata indagata a fondo una stella di prima grandezza della integrazione alimentare, la vitamina D. In Italia ha generato nel 2022 un fatturato oltre i 200 milioni di euro. Un dato che ha risvegliato l’interesse della Agenzia Italiana del Farmaco, la quale in una nota indirizzata ai medici ha vivamente consigliato la riduzione delle prescrizioni in riferimento ai risultati dei più recenti studi clinici in materia. Risultati chiari oltre ogni possibile dubbio.

Heike Bischoff-Ferrari del Department of Aging Research, University of Zurich, Switzerland in materia è stata addirittura tranchant. “I benefici degli integratori a base di vitamina D sulla salute dell’apparato muscolo scheletrico sono inesistenti e frutto di fraintendimenti. Inoltre, nessuno studio clinico indica che possano svolgere un’azione efficace nella prevenzione primaria dell’osteoporosi”.

Eppure, nonostante questi e molti altri risultati degli studi clinici realizzati negli ultimi anni l’industria degli integratori alimentari gode di ottima salute e i fatturati sono in continua crescita. Cinquanta miliardi di dollari negli Stati Uniti, quindici di euro in Europa, quattro in Italia nel 2022. I consumatori vanno dai vent’anni di età fino alla terza età, un gradimento di pubblico globale.

Una diffusione di consumi nella quale gioca indubbiamente un ruolo chiave la vendita all’interno delle farmacie. Una collocazione fisica che assimila gli integratori alimentari ai farmaci dai quali sono invece distanti anni luce in termini di controlli e di procedure di autorizzazione alla vendita. L’approvazione di un farmaco è soggetta ad un lungo e rigido percorso composto da studi clinici prima su cavie e poi sugli esseri umani. Se i risultati sono positivi per una determinata patologia, viene certificato dall’Agenzia Europea del Farmaco e solo dopo può essere messo in commercio.

Gli integratori alimentari sono soggetti solo alla legislazione in tema di prodotti alimentari e a controlli meno stringenti dei farmaci. Le dichiarazioni sulle qualità del prodotto demandate alla responsabilità del produttore sono sommarie e riguardano solo la sua composizione merceologica e una sintesi dei nutrienti che appaiono in etichetta. Un altro mondo rispetto ai farmaci, eppure vengono assimilati dal punto di vista dell’immagine e dei possibili risultati sulla salute. A tutti gli effetti sono prodotti alimentari che non hanno alcuna proprietà farmacologica.

Abbiamo però una fortuna: una buona parte degli integratori sono idrosolubili e vengono eliminati rapidamente dal corpo. I problemi si possono manifestare con alcune vitamine come la A, la E, il betacarotene che sono liposolubili e rimangono immagazzinate nei grassi del corpo dove si accumulano. La loro assunzione deve quanto meno rispettare le quantità consigliate, meglio se ridotte.

Nei paesi sviluppati i modelli alimentari prevalenti hanno praticamente ridotto ai minimi termini il bisogno di integrazione alimentare come ha confermato un recente studio clinico del 2023 realizzato dalla United States Preventive Services Task Force. Con l’eccezione delle donne in gestazione che devono controllare la quantità di acido folico per prevenire la spina bifida del feto e una piccola percentuale di donne che potrebbero avere una carenza di ferro. Oppure per alcune specifiche patologie che siano certificate dal medico personale. I veri problemi di mancanza di nutrienti, la fame nascosta come viene definita, sono endemici nei paesi sottosviluppati con l’Africa in primo piano.

Includono micronutrienti come il ferro, lo zinco, il calcio, lo iodio, la vitamina A, la B e la C.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità la loro carenza deve essere considerata una emergenza globale. Può causare un rallentamento dello sviluppo fisico e cognitivo nei bambini, una maggiore vulnerabilità alle comuni malattie e la possibile cecità in assenza totale della vitamina A. Una mancanza che al contrario della sottonutrizione non è visibile, ma è altrettanto pericolosa. È stato stimato che in alcuni paesi dell’Africa subsahariana la fame nascosta interessi almeno la metà dei bambini al di sotto dei cinque anni.

Nei paesi sviluppati è esemplare la vicenda dei probiotici venduti come integratori per il microbiota che accompagnano alcuni prodotti alimentari come gli yogurt. Secondo l’associazione Integratori e Salute nel 2022 si sono collocati al primo posto nelle vendite. In questo specifico caso c’è una qualche forma di chiarezza. L’EFSA l’ente regolatore europeo per la sicurezza del cibo nonostante le ripetute sollecitazioni delle aziende produttrici di probiotici ha consentito la possibilità di apporre sulle confezioni solo la breve dichiarazione che questi prodotti favoriscono l’equilibrio della flora intestinale.

Allo stato non c’è alcuna prova clinica che producano dei risultati positivi sul microbioma intestinale. Un organo complesso composto da più di diecimila miliardi di batteri non può essere cambiato e/o migliorato da una assunzione di dieci miliardi di batteri, il tipico contenuto di uno dei tanti yogurt in commercio, un rapporto da uno a mille. Con l’aggravante che lo stomaco è un organo battericida con un pH di 1,5 che elimina i batteri del probiotico se non sono incapsulati.

Secondo le indicazioni di gran parte degli studi clinici in materia la salute del microbiota può essere attivamente preservata da una dieta che contenga una adeguata quantità di fibre alimentari, 40 grammi al dì. L’Azienda Ospedaliera Meyer di Firenze ha ottenuto recentemente la completa remissione della Malattia di Crohn su sessanta bambini con il semplice utilizzo di una dieta ispirata alla Mediterranea.
È una grave patologia del tratto finale dell’intestino prodotta da uno squilibrio del microbiota residente che finora si è dimostrata resistente ai normali trattamenti farmacologici.

Antonio Marsilio

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3 persone hanno commentato. La discussione è aperta...

  1. Non c’è una volta che sia andata in farmacia senza che cercassero di rifilarmi integratori e potacci vari in modo insistente e fastidioso.
    Li regalassero poi, no, costano un occhio della testa!

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