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Il Sol dell’Avvenire, una lezione sulla morale della visione e su un’etica del cinema

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Moretti indossa di nuovo la coperta di “Sogni d’oro” e ritorna a fare i conti. Nel frattempo: cos’è successo in tutti questi anni? All’epoca, in quella specie di “8 e ½” prematuro (Sergio Leone lo chiamava ironicamente“1 e ½”), sicuramente supponente ma ricco di informazioni sull’autore, e se preso a pezzi anche divertente, Moretti si levava alcuni sassolini dalle scarpe verso i critici, il mondo del cinema, la nascente tv spazzatura i cosiddetti giovani autori con cui non voleva riconoscersi; allo stesso tempo confessava già al terzo lungometraggio le sue impasse creativa ma contemporaneamente solidificava il suo monumento. Quali sassolini si leva oggi con questo nuovo film? Quale impasse denuncia?

Non abbiamo più come alter ego il proverbiale Michele bensì Giovanni ma la sostanza del personaggio non cambia; gli obbiettivi sono sempre il cinema e chi lo fa, le relazioni tra il protagonista e gli Altri, il rapporto con la politica e la sinistra in particolare. Ma la splendida insofferenza del suo cinema migliore, che a mio parere è legato al periodo che va da “Io sono un autarchico” a “Caro diario”; la sacrosanta insofferenza giovanile contro i luoghi comuni oggi accusa dei cedimenti.

L’età ci fa diventare “lineari”, come diceva Tommy Lee Jones in “Non è un paese per vecchi” ma a volte indurisce gli abiti mentali L’autoanalisi è anche severa ma assolutoria, la critica a centro nuovo cinema può essere parzialmente condivisibile ma è così sommaria da far pensare che Moretti faccia di tutta l’erba un fascio.
Moretti ha diverse cose in comune con Woody Allen: la messa in scena di un alter ego a cui dare voce a idiosincrasie ma anche confessioni di debolezze e inadeguatezze che scaturiscono dall’incontro tr la propria personalità eccentrica e gli altri.

Un sense of humor sulfureo e paradossale ma Allen ha avuto un lungo e fortunato apprendistato di scrittore di battute per grandi comedian, Moretti no. A lunga distanza l’assenza di “mestiere” si percepisce. Ne “Il sol dell’avvenire” avviene che Moretti tiene in ostaggio un’intera troupe di un film prodotto dalla moglie Paola (M. Buy), un noir contemporaneo in cui non è così difficile scorgere un derivato da “Le iene” di Tarantino. E tiene in ostaggio noi spettatori in sala che non possiamo esimerci dal sorbirci una lunga discussione del regista sulla morale della visione e su un’etica del cinema; discussione, ma più lezioncina che vede entrare in scena interventi di Renzo Piano, Corrado Augias e Chiara Valerio, chiamati in causa a fare da pezze d’appoggio.

E anche se una tantum Moretti si dà per vinto, il tipo di chiusura sa troppo di reprimenda verso il “sonno della ragione”. Una delle scene più memorabili di “Io e Annie” di Allen è quella in cui, Alvin Singer, in reazione al ciarlare su Marshall Mc Luahn da parte di un tizio in coda, fa uscire il vero Mc Luahn che rimprovera il tizio. Ma mentre Allen gioca a mettere alla berlina uno sciocco e a levarsi una soddisfazione personale nel giro di una manciata di secondi. Moretti ci fa una predica senza scampo e senza ironia, come certi inefficaci predicozzi sul beneficio della lettura che più che avvicinare allontanano.

In gran parte “Il sol dell’avvenire” è una resa dei conti per verificare cosa è diventato Moretti/Apicella/Giovanni in tutti questi anni e cosa è diventato ciò che lo circonda. È scontento, oggi come ieri; non che gli si possa dare torto ma il modo in cui polemizza su Netflix, e abbiamo avuto una quarta stagione di “Boris” a dire la parola definitiva su questo; il modo stesso in cui cede al dato reale (la figlia sta con un uomo molto più vecchio e non si inorridisce più come ai tempi di “Bianca” quando Remo Remotti gli presenta una giovanissima Chantal).

E duole dire che, nonostante un’impressione di resa a mio parere è rimasto il peggio. E non tanto per i vari topoi/autocitazioni (dalla coperta alle canzoni italiane, qui troppe, ai girotondi, ai dolci, all’astio per certe calzature, per il cinema improvvisato e senza rigore) messi in scena, che è legittimo e dovuto.
Resta la demagogia di Moretti, che inoltre come attore è invecchiato male; la non recitazione, un tempo necessaria, insostituibile, oggi risente dell’età e si è fatta lenta, noiosa.

La corte degli aficionados del regista (Buy, Sturz, Orlando) fa quel che può ma è duro non accorgersi di questo limite. Non volevo un Moretti diverso nel metodo ma forse un po’ nello spirito, E non basta un finale in cui si rifà la storia con un’idea ormai “bruciata” da Bellocchio e dal da lui odiato Tarantino (come per Moretti era “bruciata” l’inquadratura sopracitata del noir) a farci dimenticare tutta la fatica percepita e sopportata in questo Avvenire che di sole ne ha ben poco ma di Moretti più che mai troppo.

IL SOL DELL’AVVENIRE
(2023, Italia-Francia)
Regia: Nanni Moretti
Con: Nanni Moretti, Margherita Buy, Silvio Orlando, Barbora Bobulova

Giovanni Natoli

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