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Il Natale che ti viene a trovare. Di Andreina Corso

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Eccolo, è quasi qui, batte piano alla porta. Nessuno lo sente, è un tocco lieve, ora un cinguettio di passero, ora danzante come una piuma ignara del suo altrove. Il battito attende seduto per terra.

È un sussurro, uno spartito musicale che accompagna i passi che vanno, cercano, raggiungono, spiano i luoghi solitari più adatti per l’ascolto di armonie che trafiggono la mente, arano e nutrono le pareti del cuore.

Le voci a Cappella innalzano cori e gabbiani in volo si perdono nel bianco del cielo. Un dolore antico e una improvvisa nostalgia si dilata nei corpi che si muovono per dar vita alla festa e in quelli che, fermi, la rivivono muti, distesi in un letto, seduti in una carrozzella, a consumare la malattia o la vecchiaia.

L’attesa è una luce, a volte soffusa, altre volte accecante, riflessa, fioca, oscura, fino a dubitare che il suo nome sia luce.

Il battito si alza da terra, le voci del coro si spengono e non resta che accendere una candela e ritrovarsi eremiti in un mondo di suoni.

Lo scrittore David Grossman, nel suo libro ‘Che tu sia per me il coltello’ ci consegna una intuizione struggente, nell’incontro – scontro generazionale che il Natale surroga di buoni propositi, di pentimenti, di affetti ritrovati o di fughe definitive.

Mio figlio, forse, pensa di essere mio padre – scrive Grossman – Vorrei che nell’universo infinito, nel luogo in cui i destini e le persone vengono assegnati l’uno all’altro, esistesse un momento come questo. Vorrei rifugiarmi sotto la sua ala protettrice e marcire nella sua carne, polvere nella polvere. Allora forse proprio in quel momento, il momento della riconciliazione e dell’indifferenza che la vecchiaia porta con sé e grazie alla saggezza accumulata nel corso nei suoi anni di paternità, potrà scegliermi di nuovo.

“Pensi che mi sceglierà?”
Pensi che mi sceglierà? Ci riguarda questa domanda? Oltre ai doni, a Babbo Natale, a Gesù bambino, a Maria e Giuseppe e all’asinello, quali sono i sentimenti che ci legano agli altri, anche quando questi altri sono la nostra famiglia vicina e lontana? E se i vecchi diventassero figli e i figli diventassero vecchi, cosa si direbbero? Quali armonie natalizie si ascolterebbero nell’aria?

Che cosa proverebbe un giovane uomo indaffarato a scegliere l’ultimo modello di cellulare in un affollato negozio d’informatica nel sentirsi trasportato in un angolo di una casa di riposo a guardare la vita oltre i vetri della finestra?

“Natale val bene una messa”. La famosa frase pronunciata da Enrico IV, ma che aveva come soggetto Parigi, può indurre a pensare che forse valga la pena di occuparsi di chi è più solo in queste giornate e non tanto per imporre alle lettrici e ai lettori il solito mio abusato e vecchio (anche lui) sermone.

Lo scambio di ruoli che lo scrittore israeliano ci ha proposto ha stimolato il verbo immedesimare.

Se io sono te e tu sei me, se il pensiero raggiunge menti lontane e si sforza di leggere le zone più nascoste e inespresse, il Natale è già qui, a portata di cuore e come in un Amarcord felliniano, accompagnate dalla musica di Nino Rota, la vita ci restituisce i tempi dell’infanzia e dell’età adulta, sorvola sulle generazioni lieve come la nebbia veneziana all’alba.

E la letterina di Natale? Facciamoci ispirare da Dino Buzzati che nel suo libro ‘Il panettone non basta’, ci suggerisce: ”Svelti, scrivete. Scrivete che non è tutta colpa nostra se siamo diventati così, che siamo un poco inveleniti, scrivete che l’intenzione di volere bene agli altri ci sarebbe, ma che gli altri ci fanno un po’ paura. . .”

Scrivere, dire, pensare con semplicità alla grandezza di un messaggio d’amore di cui ognuno di noi ha bisogno e ancor di più quando il Natale ci viene a trovare.

Andreina Corso

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