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I motivi della ripartenza lenta

Un esercente di Mestre: “Credo che la gente si sia abituata a uscire poco, solo i giovani si ritrovano, magari in gruppo e preferibilmente di sera nelle piazze di Venezia e di Mestre".

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È stato talmente desiderato il rassicurante spritz con gli amici, l’agognata pizza con la famiglia, che si prevedeva l’affollamento dei locali: tutto da vivere rigorosamente all’aperto, perché la bandiera è finalmente gialla, e i tavoli, i distanziamenti sono stati curati a dovere, per accogliere i graditi clienti.
Forse un po’ per il tempo, ma nelle prime ore di rinascita delle attività del ristoro, si sono visti pochi clienti seduti al bar o all’esterno dei ristoranti e gli esercenti sono delusi.
Il bisogno di ripresa economica è tanto e anche il direttore dell’Aepe Ernesto Pancin è preoccupato e spera che presto, grazie a dati incoraggianti sulla curva epidemiologica e alle vaccinazioni, si ritorni a servire al banco e si aggiunga quell’ora notturna in più, al coprifuoco.
Pancin guarda avanti con fiducia, anche se ammette che non sarà semplice tornare alla ‘normalità’. Eppure tutti sanno e sappiamo che non è semplice rintracciarla quella ‘normalità’, ammesso che fosse tale più di un anno fa. Tanti mesi di attesa, di paura, hanno modificato le nostre abitudini e si è imparato a non aspettarsi cambiamenti repentini allo stile di vita imposto dall’emergenza.
“Vede”, osserva un esercente di Viale San Marco, “il plateatico è quasi vuoto. Mi sarei aspettato una folla di gente. E invece niente e non so se è solo a causa del clima”.

“Credo che la gente si sia abituata a uscire poco, solo i giovani si ritrovano, magari in gruppo e preferibilmente di sera nelle piazze di Venezia e di Mestre”.
“Secondo me vige l’effetto canarino. Anche se gli apri la porta della gabbia, l’uccellino non esce. Ha paura del fuori, dopo aver tanto sognato di fuggire dalla sua piccola prigione e aver creduto di odiarla”, osserva la commessa di una pasticceria.
I proprietari di un bar, che tutti i giorni dovevano allontanare i clienti che bevevano fuori, in piedi, clienti abituali, giovani e vecchi ai quali bisognava ogni tanto ricordare di mettere la mascherina, sono spariti.
Ora che potrebbero sedersi ‘regolarmente’ non lo fanno.
Strano effetto boomerang per il momento e la meraviglia di assistere a una reazione che i baristi non si aspettavano.
Vi è anche una ragione economica che giustifica questi vuoti, spiega un signore in fila davanti al panettiere, “Un anno fa, ogni tanto, almeno una volta la settimana, portavo la mia famiglia a mangiare la pizza, ma adesso la prepara mia moglie a casa perché non possiamo permetterci di spendere i soldi che non abbiamo e poi le dirò che ci siamo abituati a stare in casa”.

I titolari dei locali si affidano all’incognita del tempo. Sperano in un fine settimana primaverile e finalmente, a una ripresa economica e sociale.
Anche la socialità però è cambiata e lo dicono gli psicologi quando ci ricordano dalla rivista di medicina Lancet che basterebbe osservarsi un momento per capire che siamo tutti stremati e un po’ fuori di noi. Avvertono che l’impatto psicologico della quarantena ha provocato sintomi post traumatici da stress, depressione, rabbia e confusione. Chi si è ammalato di Covid, pur in ripresa, si sente cambiato, provato da quell’esperienza. Chi ha vissuto la perdita di parenti e amici, vivono il lutto della separazione.
Oggi, chi se la prendeva con il governo che “ci ha chiusi in casa”, chi si è affacciato ai balconi per cantare, per resistere alla minaccia del virus, è lo stesso umano che si è sempre più ritirato nel proprio appartamento, senza alcuna voglia di far festa, anche se a parole diceva il contrario. Non è possibile ignorare un’enorme implosione psichica le cui conseguenze, spiega la filosofa Donatella Di Cesare, non svaniranno da un giorno all’altro.

Oggi, è il soqquadro, ciò che il coronavirus ha messo nelle nostre vite.
Accanto all’emergenza sanitaria, economica e sociale vi è il problema del riadattamento della capacità di rinsaldare o rivedere le nostre abitudini. La libertà è un bene troppo prezioso per poterlo sprecare e i plateatici semivuoti, ci dicono che questo è un tempo in transizione, dove si è evidenziata la frattura tra desiderio e realtà. Fra qualche mese tutti sperano e speriamo di rivedere la gente contenta di sedere al bar, andare al ristorante e sorridere perché la paura avrà lasciato il posto alla speranza.

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