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Fridays for Future a Venezia: i ragazzi mandano il messaggio, tutti dovrebbero ascoltarlo

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Quelle scarpe di piccola misura, appoggiate sui masegni del campo San Geremia, a dire che saranno i bambini e le future generazioni a subire gli effetti del cambiamento climatico.
Quel simbolo così chiaro e lungimirante dei passi che dovrebbero offrirsi a un cammino e a un domani possibile, si è accompagnato alle iniziative degli studenti di “Fridays for Future”, che venerdì a Venezia, hanno richiamato un migliaio di giovani.
Insieme hanno percorso i campi e i ponti della città per manifestare contro la crisi climatica e per lanciare un appello alle istituzioni locali e mondiali, accusate di trattare superficialmente i problemi del clima, di teorizzare criteri ambientalisti e di praticare invece un’economia tesa al profitto che ha sacrificato il pianeta e che ha prodotto i danni, che ogni giorno le cronache mondiali ci riportano. I cambiamenti climatici interessano tutte le regioni del mondo.
Le calotte polari si sciolgono e cresce il livello dei mari. In alcune regioni i fenomeni meteorologici estremi e le precipitazioni sono sempre più diffusi, mentre altre sono colpite da siccità e ondate di calore senza precedenti.

Avrebbero desiderato arrivare a Ca’ Farsetti, i ragazzi che hanno aderito allo sciopero mondiale per il clima, in contemporanea con altre 70 città italiane, ma è stato loro impedito, la questura ha concesso il permesso di arrivare solo a San Geremia.
Universitari, studenti delle Medie e delle Superiori hanno attraversato la città per sensibilizzare i veneziani sui pericoli che incombono su Venezia “una delle città più fragili al mondo che subirà per prima gli effetti del cambiamento climatico e non possiamo stare con le mani in mano mentre c’è chi lo affoga, chi promuove nuovi scavi in laguna dissestandone l’ecosistema “, hanno ammonito, mentre si dirigevano, liberi e convinti su quel che è giusto fare sempre e comunque, verso campo Santa Margherita, con i loro cartelloni, gli slogan, la vivacità originale che i ragazzi che s’ispirano al movimento ambientalista di Greta Thunberg, sanno comunicare, come i volti di cartone dei grandi del G 20, dipinti di verde, in una singolarissima e applaudita performance.
Qui, seduti a terra, hanno aperto un dibattito che ha coinvolto i veneziani .
“Dopo tre anni da quando abbiamo iniziato a scioperare spiegano i giovani ambientalisti in Italia – i responsabili politici continuano a parlare, parlare, parlare. E fanno credere che si stia facendo qualcosa nel merito, quando non è così: il 2021 è previsto essere l’anno con le emissioni più alte di sempre”.

E non sono mancati durante il dibattito improvvisato ma molto partecipato, gli elementi di criticità quando si sono toccati nervi esposti e vulnerabili, come la politica energetica dell’Eni, le grandi opere e la questione abitativa.
Il corteo, accompagnato da un consistente controllo delle forze dell’ordine, forse legato alla verifica dei distanziamenti e all’uso delle mascherine, ha svolto il compito che si era dato, per dire a tutti come sia giusto opporsi allo sfruttamento delle risorse del pianeta, perché non sono illimitate e perché dobbiamo prendercene cura.
E l’esposizione di quelle piccole scarpe in mostra sui masegni di campo San Geremia, ha lanciato un messaggio struggente che va colto, un’urgenza che non può essere ignorata, se vogliamo che i bambini, i giovani, possano guardare con fiducia al futuro.

Andreina Corso


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Venezia e innalzamento mare: stimati 1,2 metri entro 2100
Venezia e stime innalzamento mare: la città è a rischio, l’altezza del mare potrebbe aumentare fino a 1,2 metri secondo uno studio.
Il livello del mare è destinato ad aumentare a Venezia per via dell’impatto crescente delle emissioni inquinanti. Questo pare un dato certo.
Le stime quantitative, invece, sono incerte sul lungo termine.
Il possibile aumento previsto – secondo l’ultimo studio di cui si parla oggi – per la città lagunare oscilla fra 17 e 120 centimetri entro il 2100.

Lo studio è stato pubblicato dalle università del Salento e Ca’ Foscari di Venezia sulla rivista Natural Hazards and Earth System Sciences.
Attualmente, la protezione di Venezia dagli allagamenti è affidata principalmente sull’efficacia e tempestività dell’uso del Mose (Modulo sperimentale elettromeccanico), che opera sulla base delle previsioni: “ma se queste sono sbagliate, anche la sua operatività lo diventa”.
“Per questo è importante ridurre l’incertezza sui modelli di previsione”, aggiunge Georg Umgiesser, uno dei ricercatori.
In questo caso gli studiosi hanno lavorato su uno scenario ad alte emissioni inquinanti sia nel breve che nel lungo periodo, con la possibilità di una chiusura di un anno intero della laguna nel 2075 per stare al passo con l’aumento del livello del mare, in uno scenario plausibile anche se improbabile.

Una chiusura del sistema di difesa costiera avrebbe un serio impatto economico e ambientale su Venezia e la laguna, ma ci sono modi in cui le città costiere possono adattarsi.
“Anche se ancora non sappiamo esattamente quando, i dati ci dicono che avremo bisogno di cambiare le nostre strategie di adattamento. Dobbiamo essere preparati ad agire” commenta Piero Lionello, uno dei coordinatori dello studio.

Finora gli eventi estremi che hanno causato alluvioni a Venezia sono stati attribuiti principalmente a mareggiate causate da venti di scirocco, ma in realtà una grande varietà di fattori sarà coinvolta negli eventi estremi futuri, tra cui meteotsunami (tsunami generati da condizioni atmosferiche più contenuti, ma comunque dannosi e pericolosi) e massicce onde planetarie atmosferiche (delle oscillazioni d’aria) che influiscono sul livello del mare.

“Quando si è così vicini al limite superiore dell’intervallo di marea – conclude Lionello – ogni evento meteorologico può essere pericoloso e causare alluvioni estremi. Piccoli aumenti possono avere un grande impatto”.


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Venezia a rischio: innalzamento dei mari incontrastabile
Venezia è a rischio: innalzamento dei mari è irreversibile. Secondo Snpa-Ispra i ghiacciai si sciolgono, i mari si riscaldano e ciò porta ripercussioni su tutta l’economia.
Questa la situazione fuor di metafora.
E’ “irreversibile e continuo” l’innalzamento del livello dei mari. Un impatto diretto, e “fonte di preoccupazione“, dei cambiamenti climatici che colpisce soprattutto le zone costiere, e che diventa di massima “attenzione” per Venezia dove è in atto un doppio effetto: da un lato lo sprofondamento del suolo e dall’altro l’aumento del mare in modo più marcato che altrove.
Sono le considerazioni, le prime dedicate al monitoraggio dei cambiamenti climatici in Italia, presentate dal Sistema nazionale protezione ambiente (Snpa) che parlano anche di scioglimento dei ghiacciai (sempre di più ogni anno), di temperature elevate per il nostro mare, e delle conseguenze e dei danni per l’economia del Paese.

Il mare che cresce – viene spiegato dal rapporto preparato dal gruppo di lavoro di esperti provenienti dalle Agenzie per la protezione dell’ambiente, dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), e da altri istituti e enti di ricerca – tocca Venezia.
E non potrebbe essere diversamente; gli allarmi sulla città lagunare sono arrivati anche dall’Ipcc (il panel di scienziati che studiano il clima su mandato delle Nazioni Unite).
Ora però – si fa presente – quello che succede, con maggiore dettaglio: è in atto un combinato disposto tra l’aumento del livello del mare e l’abbassamento del terreno, con il tasso di crescita medio che è di 2,53 millimetri all’anno nel lungo periodo (1872-2019); un valore che però raddoppia, e passa a 5,34 millimetri all’anno, prendendo in esame soltanto l’ultimo periodo (1993-2019).
Il mare però, sotto i colpi dei cambiamenti climatici, non soltanto cresce ma si riscalda.
E questo si ripercuote soprattutto su mar Ligure, Adriatico e Jonio settentrionale.
Una situazione definita “inequivocabile”, tanto che all’aumento della temperatura corrisponde già “una significativa variazione della distribuzione delle specie, con un aumento della pesca nei mari italiani di quelle che prediligono temperature elevate” come acciuga, sardinella, mazzancolle e gambero rosa, e che “si stanno diffondendo sempre più a nord nei mari italiani. Penalizzate le specie di grandi dimensioni”.

La fotografia di quanto accade viene data dall’indicatore di ‘temperatura media della catture’, che è cresciuta di oltre un grado negli ultimi 30 anni.
Nelle Alpi il quadro sembra lo stesso: sono “evidenti” le “tendenze alla deglaciazione a causa delle elevate temperature estive e della riduzione delle precipitazioni invernali; si registra una perdita costante di massa (caso pilota su Valle d’Aosta e Lombardia), con una media annua pari a oltre un metro di acqua equivalente dal 1995 al 2019”.

E non finisce qui, perché c’è anche “una chiara tendenza al degrado del permafrost”: su “due siti pilota regionali”, quello della Valle d’Aosta e del Piemonte, si evidenzia “un riscaldamento medio di più 0,15 gradi centigradi ogni 10 anni con un’elevata probabilità di ‘degradazione completa’ entro il 2040 nel sito piemontese”.

La mancanza di acqua, e quindi di “stress idrico per le colture (mais, erba medica e vite) e le specie vegetali”, in casi pilota di Emilia-Romagna e Friuli Venezia Giulia, può comportare “sul lungo periodo possibili conseguenze sul ciclo di crescita e riproduttivo, e una consistente perdita produttiva con evidenti ricadute economiche”.

E i danni all’economia sono un aspetto che per l’Italia delinea “fattori di criticità sia per le risorse naturali che per i settori socio-economici” che subiscono gli effetti dei cambiamenti climatici.

Il rapporto prende in considerazione 20 indicatori e 30 casi pilota mettendo al centro dell’analisi (contenuta in un volume di 248 pagine) l’osservazione per esempio di aree legate a risorse idriche, patrimonio culturale, agricoltura e produzione alimentare, energia, pesca, salute, foreste, ecosistemi marini e terrestri, suolo e territorio, ambiente alpino e appennini e zone costiere.

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