Negli scorsi giorni figli, figlie e parenti delle ospiti sono stati invitati dalla direzione a far recapitare nell’RSA di Marghera, in occasione del weekend del 9 maggio, un oggetto, un simbolo, un ricordo che racconti il legame con la propria mamma. Qualcosa di personale e condiviso che riporti alla memoria un tempo passato, un momento famigliare felice, un attimo di dolcezza.
E così, nel giorno della loro festa, le mamme di Residenza Venezia riceveranno in dono un’emozione che scalda il cuore: c’è chi scarterà un libro, quello che leggeva ai suoi bimbi, ormai cresciuti, per farli addormentare; chi potrà sfoggiare la collana di perle che indossava la domenica a messa per essere elegante; chi avrà sul comodino una pianta fiorita, perché la passione per i fiori e il giardinaggio sono un’eredità che ha saputo trasmettere a figli e nipotini e chi riceverà una foto di sé stessa a poco più di 20 anni, giovane madre coraggiosa, premurosa, insostituibile…
Un’esperienza orribile quella vissuta da mio padre, nei suoi ultimi giorni di vita. In una struttura che è solo fumo negli occhi, con un’assistenza sanitaria risibile (ha avuto il triste primato del numero di ospiti contagiati per COVID-19), personale raccogliticcio e impreparato. Ho dovuto accorgermi io che mio padre stava morendo, mentre gli OSS continuavano imperterriti a portargli da mangiare e nessuno si sognò di prepararci al triste evento. Son solo capaci di scimmiottare una sorta di accoglienza alberghiera e di mettere in campo queste stucchevoli iniziative estemporanee: la quotidianità è fatta di giovani infermieri che si arrabattano a fare quello che possono, medici presenti solo poche ore la settimana e una buona parte di personale ausiliario insensibile e inadeguato.