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Facebook & C. , la diffamazione ai tempi dei social: cosa rischiamo scrivendo un post offensivo

Il post pubblicato su un social network non deve essere offensivo della reputazione altrui, poiché diversamente l’autore del post può essere querelato dalla persona offesa, con gravi conseguenze di natura penale e patrimoniale essendo tenuto a risarcire il danno e le spese.

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L’uso dei social network (Facebook, Instagram, X ex Twitter, Tik Tok) e delle piattaforme come Trip Advisor, i Forum ed i Blog, è una sorta di passatempo praticato su larga scala ed ha riflessi di varia natura sulla vita quotidiana di ciascuno di noi.
Uno di questi riflessi è costituito dalla responsabilità cui va incontro chi pubblica commenti offensivi nei confronti di un’altra persona; questa può sporgere una querela chiedendo che il commentatore incautamente offensivo sia sottoposto a procedimento penale.

Stante la diffusione di Internet e la rapidità con cui le informazioni si diffondono tramite la rete, è assai arduo contemperare il diritto alla libertà di pensiero e di espressione, garantita dalla nostra Costituzione (art. 21: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”), con la tutela della dignità e della reputazione della persona.

Quando si consuma il reato di diffamazione online?

I Tribunali sono chiamati sempre più spesso a confrontarsi con l’utilizzo smodato dei social network e debbono stabilire il confine tra le espressioni lecite e quelle che sono invece vietate, in particolare quelle offensive. Il reato ipotizzato è quello cosiddetto di “diffamazione online”, che si consuma ogni qual volta un soggetto offenda l’altrui reputazione comunicando con più persone, ad esempio accedendo ad un blog o ad un qualsiasi altro sito internet e lasciando un commento o partecipando ad una discussione virtuale e facendo dichiarazioni lesive dell’altrui reputazione.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12761 del 2014, ha ricondotto le ipotesi di diffamazione a mezzo social network nell’ambito della diffamazione aggravata ed ha chiarito che la pubblicazione di una frase diffamatoria su di un profilo Facebook rende la stessa accessibile ad una moltitudine indeterminata di soggetti con la sola registrazione al social network, anche se le notizie pubblicate sono riservate agli “amici”.

Richiamando principi già consolidati in materia di diffamazione a mezzo stampa, la Corte Suprema ha ribadito come sia sufficiente che risulti chiaro ai destinatari la riferibilità del messaggio diffamatorio al soggetto leso, non essendo necessaria l’espressa indicazione del nome poiché è sufficiente la semplice identificabilità del soggetto stesso.

Il reato si realizza per il fatto stesso della pubblicazione a prescindere dall’effettiva lettura, stante la diffusione del mezzo usato che si rivolge ad un numero indeterminato di persone (Cassazione penale, Sezione V, sentenza n. 8328/2016).

Naturalmente, va accertato l’indirizzo IP (Internet Protocol) della provenienza del messaggio diffamatorio, per confermare che il messaggio provenga realmente dalla persona che lo ha postato.

Che cosa si intende per “lesione dell’onore e della reputazione altrui”?

Il bene giuridico che è tutelato è la “stima diffusa nell’ambiente sociale”, ossia l’opinione che gli altri hanno dell’onore e del decoro di una persona; ricordiamo però che l’offesa alla reputazione deve essere valutata in riferimento alla effettiva portata diffamatoria delle espressioni usate, non alla considerazione che ciascuno ha di sé. Il concetto di diffamazione, dunque, non è statico ma varia con l’evolversi dei costumi e in base alla coscienza sociale del momento, per cui un’espressione che in un determinato periodo può configurarsi diffamatoria, potrebbe non esserlo più in altro momento.

Precisiamo che il reato di diffamazione sussiste a prescindere dalla dimostrazione della volontà diffamatoria, essendo sufficiente la volontà cosciente e libera di propagare notizie e commenti, accettando il rischio che la reputazione altrui sia lesa.

Che cosa rischiamo nel postare un commento offensivo?

Il reato di diffamazione online è punito dall’art. 595 del codice penale con la reclusione da sei mesi a tre anni o, in alternativa, con la multa non inferiore a cinquecentosedici euro.
Ma non è tutto; nel caso in cui il Giudice ritenga che il commento sia offensivo, condannerà il responsabile non solo alla pena che abbiamo richiamato ma anche al risarcimento del danno morale patito dall’offeso, qualora questi si sia costituito parte civile nel processo ed abbia chiesto un risarcimento. L’entità del risarcimento è generalmente stabilita dal Giudice secondo equità, ossia valutando tutte le circostanze del caso.

Il responsabile, poi, sarà tenuto anche a sostenere le spese legali del processo, ossia a pagare il compenso professionale degli Avvocati e le spese di giustizia.
Da ultimo, ma non meno importante, il Giudice può disporre che la sentenza di condanna sia pubblicata su giornali locali, anche online, a cura e spese del condannato.

In conclusione, la partecipazione ad una discussione online è certamente lecita ma le espressioni che usiamo debbono rimanere nell’alveo della correttezza e della buona educazione; diversamente, se qualcuno si ritiene offeso e querela il commentatore, le conseguenze possono essere piuttosto pesanti, soprattutto in termini di risarcimento economico.

Avv. Luca Azzano-Cantarutti Avv. Giulia Azzano-Cantarutti

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