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Era l’anno dei Mondiali: ricordi, gioie e delusioni dell’evento sportivo più popolare di sempre

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maradona argentina coppa del mondo

“Era l’anno dei Mondiali”! Così a volte ci esprimiamo quando ricordiamo una data, un evento importante della nostra vita legata ai mondiali di calcio, perché ormai questa competizione sportiva, giunta ai suoi 84 anni esatti di storia (il 13 luglio 1930 Francia e Messico debuttavano nell’edizione del 1930 in Uruguay), è diventata una ricorrenza tale che scandisce ogni quattro anni la nostra quotidiniatà nei mesi estivi e molti di noi, anche se poco interessati al gioco del calcio nei restanti mesi dell’anno, si lasciano in qualche modo contagiare dall’atmosfera unica che i mondiali ispirano.
Forse perché le nazionali di popoli di tutti i continenti si affrontano su un campo di gioco invece che in campi di battaglia come purtroppo sta avvenendo ora nella striscia di Gaza. E’ infatti malinconico vedere come un mondiale che finisce lasci le prime pagine dei giornali alle notizie del conflitto israelo-palestinese.
Si pensi, tornando alla prima edizione dei mondiali del 1930 in Uruguay, che per la prima volta una nave transatlantico portava in Sudamerica dei passeggeri venuti solo per giocare un torneo sportivo dalla lontana Europa, che finora riversava sui porti d’oltre-oceano migliaia di emigranti che sfuggivano alla miseria di una Europa messa in ginocchio dalla Prima Guerra Mondiale e dalla crisi economica del ’29.

Il mondiale di calcio, prima ancora che occasione di business, è stato anche un fragile ma nobile tentativo di abbracciare popoli lontani all’insegna della passione per uno sport.
Il mondiale, che quando ha visto gli azzurri in finale, ha portato il popolo italiano a brindare e ballare nelle piazze, lascia comunque ad ogni edizione qualche dolce ricordo. Quand’ero bambino, in una colonia estiva i compagni mi chiedevano continuamente il Guerin Sportivo per ammirare la foto della sforbiciata di Negrete nel match Bulgaria-Messico, e gli scatti dei due goal storici siglati dal Pibe de Oro contro l’inghilterra (lascio ai lettori più appassionati indovinare la data e l’edizione di quel mondiale). Anni dopo, la sera prima della prova orale dell’esame di maturità dimenticai per qualche minuto le preoccupazioni dello studio per gioire dopo il goal di Dino Baggio contro la Norvegia a USA ’94.
Passarono altri otto anni e mi trovavo a sostenere un esame universitario in un aula dove si udivano a tratti le voci dall’esterno di chi seguiva in televisione o per radio le sofferenze della nostra nazionale contro la Corea del Sud e l’arbitro Moreno.
L’edizione di questo mondiale brasiliano, accanto ai goal e alla rivelazione di qualche giovane talento, ci ha dato qualche sorpresa inattesa. Dopo la mesta eliminazione della nazionale italiana, anche i padroni di casa, la nazionale verde-oro penta-campione e vincitrice dell’ultima Confederation Cup, hanno cominciato a dare i primi scricchiolii a partire dagli ottavi di finale. Per aver ragione del Cile, il Brasile ha dovuto sudarsela ai calci di rigore. La gioia della vittoria contro la Colombia è stata offuscata dall’uscita in lacrime e in barella del giovane centravanti Neymar. Infine la sorpresa, anzi lo sgomento del pubblico sugli spalti davanti al crollo della Selecao, triturata senza pietà dai panzer e da Arancia Meccanica nelle due partite rispettivamente di semifinale e finalina per il terzo posto.

Quelle due sconfitte, oltre a far piangere i bambini presenti allo stadio, hanno forse lasciato un sapore amaro anche a noi, per averci tolto quell’immagine del Brasil come squadra di calcio spumeggiante di talento e fantasia, capace sempre di incantare il pubblico con le giocate dei suoi calciatori funamboli. La gragnola di colpi subiti dalla Germania, in quell’allucinante primo tempo della semifinale di Belo Horizonte, ci ha restituito invece il ritratto di una compagine smarrita, come se l’incantesimo nato dai tempi di Pelè e alimentato dai vari Zico, Romario, Ronaldo che si sono succeduti, fosse d’improvviso svanito. Anche la finalissima, dopo aver riconosciuto i meriti e la solidità della formazione tedesca, lascia un piccolo ricordo malincolinico. Gli sguardi del numero 10 della squadra argentina, Leo Messi, che al Maracanà di Rio de Janeiro, ha avuto dalla storia l’occasione per riconsegnare al suo paese la Coppa del Mondo dopo l’impresa di Maradona nel 1986.
Il 4-volte pallone d’oro non è riuscito nella doppia impresa, quella di vincere il mondiale e di sostituire nell’immaginario collettivo della sua nazione il ricordo del Pibe de Oro. Gli obbiettivi delle telecamere alternano la sua figura taciturna e appartata alla gioia di gruppo dei calciatori tedeschi che alzano al cielo la coppa, ricordandoci come in ogni edizione del mondiale che ci sono i vincitori e gli sconfitti, chi esulta e chi scoppia in lacrime o semplicemente si rammarica in silenzio per aver visto da vicino la coppa e non averla potuto sollevare.

Dr. Pierluigi Brugnaro

[16/07/2014]

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