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Elezioni Usa, ci siamo: Trump o Clinton

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Elezioni Usa, ci siamo: Trump o Clinton

Elezioni Usa, ci siamo. L’America vota per il 45esimo presidente. Hillary o The Donald, la democratica Clinton o l’outsider miliardario Trump. Forte anche del sostegno di Obama, la prima è in testa nei sondaggi. Un distacco corroborato dalla decisione dell’Fbi di non procedere oltre nell’affare delle email di Stato. Trump ha recuperato buona parte dello svantaggio negli ultimi giorni, ragion per cui c’è molta, molta incertezza.

In molti hanno rivolto (o si sono rivolti) la domanda: chi sarebbe migliore (chi sarebbe meno-peggio) per il futuro del mondo e dei rapporti con gli altri paesi?
L’Europa si è schierata in maggioranza per Hillary Clinton. Ma nelle cancellerie dei 28 ci sono posizioni diverse.

Se Merkel, Renzi e Hollande sono tutti per la ‘Dem’, per l’ungherese Viktor Orban il repubblicano è “il candidato giusto”. Così alla vigilia del voto, il portavoce della Commissione non ha preso ufficialmente posizione. In compenso ha ricordato quanto detto alcune settimane fa da Jean Claude Juncker: “Chi sono io per avere un’opinione su chi sarà il prossimo presidente? Posso solo avere una preferenza di genere…”.

Più esplicito è stato il presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz, che ha più volte attaccato il miliardario americano. In una intervista all’ANSA il socialdemocratico tedesco ha definito Trump come “un uomo con un livello cosi’ basso di cultura e con una tale volontà di mobilitare aggressioni e cattivi sentimenti come strumenti di successo politico che non dovrebbe essere presidente degli Stati Uniti”. Aggiungendo che “il modo di fare politica di Trump e’ un rischio in sé”.

Mentre Trump è il candidato di riferimento per gli euroscettici, a cominciare da Marine Le Pen, il repubblicano suscita inquietudini anche nella Nato, più volte attaccata dallo stesso Trump. Il segretario generale, Jens Stoltenberg, si è diplomaticamente astenuto dal prendere posizione per “evitare ingerenze”. Ma le proposte di riduzione dell’impegno americano nell’Alleanza preoccupano i partner europei. E lo stesso Stoltenberg ha respinto al mittente almeno uno dei proclami di Trump. Quando ha preteso di sostenere che il rafforzamento dell’intelligence antiterrorismo dell’Alleanza fosse scattato su suo suggerimento, il norvegese ha replicato che la Nato “gioca un ruolo nell’antiterrorismo da moltissimo tempo”, a cominciare dall’intervento in Afghanistan, e quindi il suo impegno “non e’ il risultato della campagna elettorale americana”.

Mai come in questa tornata elettorale per la Casa Bianca la Russia è stata al centro dell’attenzione americana. Il fenomeno ha generato una reazione uguale e contraria. Il soft-power russo – tv e testate fedeli al Cremlino – si è mobilitato per mostrare come anche la democrazia più potente al mondo non sia immune da tensioni e persino possibili “brogli”. Il Cremlino, invece, ha operato sul piano opposto: ha negato qualsiasi coinvolgimento nel caso-hacker e ha ripetuto di essere pronto a lavorare con “qualsiasi presidente”.

Putin ha da poco smentito che Donald Trump sia il “suo candidato” ma ha rimarcato come l’opinione pubblica (non solo americana ) si sia “stancata” di veder passare il potere per via “dinastica”. Chiaro riferimento al tandem Bush padre e figlio e Clinton moglie e marito. Hillary è percepita come un ‘falco’ e la sua elezione non muterebbe l’attuale muro Mosca-Occidente. Trump al contrario potrebbe aprire la via a nuove opportunità, specie in Medio Oriente, dove il Cremlino punta ad essere potenza egemone, e in Europa, dove la Nato è vista sempre più come una minaccia.
Delicata anche la fase ‘d’interregno’ alla Casa Bianca, che Mosca potrebbe sfruttare per forzare la mano, soprattutto in Siria.

In Cina, ai briefing ufficiali con la stampa sulle elezioni Usa prevale il principio della “non interferenza” in questioni interne di un altro Paese, con la convinzione che qualunque sia il vincitore Pechino riuscirà a trovare il modo di relazionarsi.
Nel fine settimana, accantonando la prudenza, gli Usa, critici sui diritti umani e il sistema del partito unico, sono invece diventati il bersaglio per il “caos” elettorale. Il Quotidiano del Popolo, organo ufficiale del Pcc, ha rimarcato i problemi fiscali della “grande bocca”, il candidato repubblicano Donald Trump.

Non è andata meglio a Hillary Clinton, sotto attacco per le email private e lo stato di salute. In ogni caso, lo scontro personale è stata la regola facendo emergere “la situazione imbarazzante dell’establishment politico Usa”, ha scritto nel commento “Zhong Sheng” (“Voce della Cina”), pseudonimo usato per le questioni di politica estera. Gli scandali, ha fatto eco il Global Times, dimostrano che non c’è superiorità delle democrazie occidentali.

Se Clinton è uno “schema già conosciuto”, su Trump i dubbi abbondano. Alcuni mesi fa, uscendo allo scoperto, l’ex ministro delle Finanze Lou Jiwei (sostituito oggi da Xiao Jie) definì il magnate “un tipo irrazionale, da non prendere sul serio”. Pur senza nominarlo all’ultimo G20 di Washington, Lou identificò nel populismo una delle vere minacce per l’economia globale. “Dobbiamo riconoscere alcuni rischi politici come le elezioni presidenziali in alcuni Paesi e principali economie”.

Mario Nascimbeni

08/11/2016

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