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Coronavirus di ritorno, Zaia: “Regole più severe”. I numeri aggiornati della pandemia

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Coronavirus di ritorno? “Non serve aspettare ottobre – ha detto il governatore – ce l’abbiamo già”. E’ una delle tante affermazioni preoccupanti pronunciate da Luca Zaia nel punto stampa di venerdì in cui, a tratti, si è anche visto cedere alla rabbia.

E il richiamo a tenere “alta l’attenzione” arriva anche dall’Oms che ha invitato i governi a “svegliarsi” e a “impegnarsi nella lotta” e dal report settimanale del monitoraggio ministro della Salute-Iss che mostra come l’infezione sia sotto controllo anche se continuano i contagi.

“In alcune regioni il numero dei focolai è ancora rilevante”, ha sottolineato l’esperto Gianni Rezza. E proprio per scongiurare il pericolo di un aumento dei casi il presidente del Veneto Luca Zaia ha annunciato che lunedì presenterà un’ordinanza con regole più severe. Se potesse farebbe di più, ma, ha spiegato, ha “le armi spuntate” contro positivi che non restano in isolamento, come l’imprenditore del Vicentino che tornato dai Balcani ha rifiutato il ricovero e provocato un focolaio nella provincia.

“Se fosse per me – è sbottato Zaia in diretta Facebook – prevederei la carcerazione. Non esiste che un positivo vada in giro a prescindere. E’ fondamentale che al livello nazionale si prenda in mano questo dossier. E’ fondamentale che ci sia un ricovero coatto, un tso, un trattamento sanitario obbligatorio perché non possiamo star lì a discutere con una persona che rifiuta di farsi ricoverare” e a questo si aggiunge “la necessità di essere severissimi con gli isolamenti fiduciari”.

Per questo ha dato “disposizione ai Sisp (vigilanza su Igiene Pubblica) di tolleranza zero” e “se ci sono elementi per far denunce – ha aggiunto Zaia – ho detto ai direttori di provvedere a farle. Non possiamo permettere che ci sia la diffusione del virus a causa della irresponsabilità di qualcuno”.

La dimostrazione dei danni che fa questa “categoria di irresponsabili” è il l’innalzamento nel Veneto dell’indice di contagio da 0,43 a 1,63, quindi da rischio basso a rischio elevato. Ma non succede solo in Veneto: in Trentino è stato un cittadino rientrato dal Kosovo a provocare un focolaio con otto contagiati.

Il rischio è che, ridotta la diffusione in Italia, il virus ora rientri dall’estero, da Paesi dove ancora l’emergenza è alta come quelli dell’ex Jugoslavia – nella capitale serba Belgrado è stato dichiarato lo stato di Emergenza – o come la Bulgaria, da dove arrivavano alcuni degli abitanti dei caseggiati di Mondragone dove si è verificato un altro focolaio ora risolto.

Per questo motivo, a Roma da lunedì – ha annunciato l’assessore alla sanità del Lazio Alessio D’Amato- saranno eseguiti tamponi a tappeto sui componenti della comunità del Bangladesh, fra cui si sono registrati alcuni positivi.

E la Regione ha anche chiesto all’ad degli Aeroporti di Roma Marco Troncone, di “stringere i controlli” su chi arriva dal Paese asiatico.

La situazione però non è uguale dovunque. A livello nazionale, secondo i dati del Ministero della Salute, sono stato 15 i decessi in un giorno (la metà di ieri, per un totale di 34.833) e 223 i nuovi positivi, in aumento rispetto a ieri quando erano stati 201, di questi 115 registrati in Lombardia.

E così, se in Lombardia, più precisamente a Pavia, il prefetto Rosalba Scialla sta mettendo a punto un disciplinare antiassembramento che prevede piazze a numero chiuso, con ingressi regolamentati, la presenza di steward come allo stadio e limitazioni nell’orario di vendita degli alcolici, in Valle d’Aosta possono festeggiare l’indice di contagio zero e la Calabria ha dato il via libera al calcetto e a tutti gli sport da contatto a partire dal 6 luglio e dal 10 in Piemonte ci la ripresa del trasporto a pieno carico, il che significa che su bus e treni ci si potrà sedere in tutti i posti disponibile.

“La partita non è vinta – ha commentato il ministro della Salute Roberto Speranza – , ma i numeri ci segnalano che la curva è stata significativamente piegata”.

Il virus, intanto, sta circolando ovunque nel mondo.

SPAGNA
La Spagna ha registrato 17 morti per coronavirus in un giorno, il più alto numero di vittime dal 19 giugno. Lo riferisce il ministero della Salute spagnolo. Ieri erano stati dichiarati solo 5 morti e l’epidemiologo capo del ministero, Fernando Simon, aveva sottolineato che in una settimana si erano registrati solo 24 decessi. Queste cifre arrivano nel momento in cui cominciano le vacanze per molti spagnoli e mentre il Paese si appresta ad aprire domani le frontiere agli arrivi di 12 nuovi Paesi, seguendo le raccomandazioni dell’Ue ma escludendo Marocco, Algeria e Cina.
Madrid aveva già riaperto il 21 giugno ai cittadini Ue, britannici e dello spazio Schengen. Il ministero della Salute ha sottolineato che negli aeroporti sono stati dispiegati dei rinforzi per “il controllo dei viaggiatori in arrivo” con termometri e una raccolta dati per poterli contattare.

BALCANI
Prosegue nei Balcani la forte ripresa dei contagi da coronavirus, che induce i Paesi della regione a ripristinare misure restrittive abolite nelle scorse settimane, ribadendo appelli e raccomandazioni all’osservanza dei principi basilari di prevenzione – mascherina, distanza fisica, igiene personale e lavaggio frequente e accurato delle mani. Al pari di Serbia e Croazia, i casi di infezione sono tornati a crescere in Macedonia del Nord, dove da ieri si sono registrati 165 nuovi contagi, con il totale salito a 6.787. Altri sette decessi hanno portato a 335 il numero delle vittime.
Nel Paese si voterà il 15 luglio per il rinnovo del parlamento, come già avvenuto in Serbia il 21 giugno, e come avverrà il 5 luglio in Croazia. Resta alta la curva dei contagi in Romania, il Paese della regione che è il più duramente colpito dalla pandemia.
Nelle ultime 48 ore i contagi sono stati 870, con il totale che sale a 28.166, mentre da ieri si sono registrati altri 21 decessi, in tutto 1.708 dall’inizio dell’epidemia. Forte ritorno dei contagi in Montenegro, che qualche settimana fa aveva proclamato la fine dell’epidemia dopo 28 giorni di zero casi e zero decessi.
Nelle 24 ore i nuovi contagi sono stati 47, portando il totale della seconda ondata a 339 casi. Vi è stato un altro decesso, con le vittime che sono ora quattro in questa nuova fase epidemica. Sono 16 i nuovi casi in Slovenia, in totale 1.649, mentre i decessi sono fermi a 111. Il Paese era stato sul punto di dichiarare la fine dell’epidemia nelle scorse settimane, ma ora è anch’esso alle prese con una nuova ondata di contagi e il ripristino di restrizioni e quarantene. Situazioni analoghe di ripresa dell’epidemia si registrano in Bosnia-Erzegovina e Kosovo.

INGHILTERRA
Resta pesante il conteggio dei morti da coronavirus nel Regno Unito, con altri 137 decessi censiti nelle ultime 24 ore contro gli 89 di ieri secondo i dati del ministero della Sanità. La somma totale dei decessi certificati col tampone supera ora nel Paese quota 44.000 (oltre 55.000, stando alle elaborazioni dell’agenzia Pa delle stime dell’Ons, l’Istat britannico, che comprendono i casi probabili); mentre quella dei contagi diagnosticati accentua la tendenza verso il calo (picco minimo di 544 da ieri), con tasso nazionale d’infezione Rt stabile sotto la soglia di sicurezza 1 (a 0,7-0,9).
Si conferma peraltro il bilancio pesantissimo di vittime del virus nelle case di riposo, rivisto oggi a circa 20.000 solo fra gli ospizi d’Inghilterra e Galles tra marzo e giugno (30.000 i morti in eccesso rispetto al 2019 contando anche altre cause). Mentre prosegue l’impennata dei test, saliti ormai a livello da record europeo con un totale che oltrepassa i 10 milioni dall’inizio della pandemia (oltre 200.000 nelle 24 ore).

BRASILE
Il Brasile ha registrato altri 1.290 morti e 42.223 nuovi casi di coronavirus nelle ultime 24 ore: lo rendono noto il Consiglio nazionale dei segretari sanitari (Conass) e il ministero della Sanità brasiliano. In base agli ultimi dati aggiornati, dall’inizio della pandemia il gigante sudamericano ha raggiunto la soglia di 1.539.081 casi confermati complessivi e 63.174 decessi totali per il Covid-19.

CINA
Le autorità sanitarie cinesi hanno dichiarato di aver ricevuto ieri segnalazioni di cinque nuovi casi confermati di Covid-19 nella Cina continentale, di cui due di origine interna al Paese, entrambi a Pechino. La Commissione Sanitaria Nazionale, nel suo resoconto giornaliero, ha riferito che ieri non è stato riportato alcun decesso da coronavirus. Sempre ieri, in Cina continentale 12 persone sono state dimesse dagli ospedali dopo essere guarite ed è stato segnalato un nuovo caso sospetto. Il totale dei casi confermati nella Cina continentale dall’inizio della pandemia fino a ieri è di 83.542 contagi, con 409 pazienti ancora in cura, di cui otto in condizioni gravi, 78.499 persone dimesse dopo essere guarite e 4.634 deceduti per la malattia.
Sono stati anche segnalati tre nuovi casi importati, uno nella provincia del Liaoning, uno a Shanghai e un altro nello Yunnan, che portano il totale dei contagi dovuti a persone giunte dall’estero a 1.923. Di questi, secondo la commissione, 1.854 persone sono state dimesse dopo essere guarite, 69 sono ancora in cura negli ospedali, nessuno in condizioni gravi, mentre non sono stati segnalati decessi. Sei persone, tra cui una proveniente dall’estero, sono attualmente in osservazione perchè sospettate di aver contratto il virus, come pure 5.589 persone che hanno avuto contatti ravvicinati con persone infette. Sempre ieri, in Cina continentale sono stati segnalati quattro nuovi casi asintomatici mentre nessuna conferma è giunta finora per quelli già sottoposti ai test. La commissione ha dichiarato che 97 asintomatici, di cui 59 provenienti dall’estero, sono ancora sotto osservazione.

TURCHIA
Salgono a 203.456 i casi di Covid-19 in Turchia, con 1.172 contagi registrati nelle ultime 24 ore su 52.141 test effettuati. Le nuove vittime sono 19, per un totale di 5.186 decessi confermati dall’inizio della pandemia. I ricoverati in terapia intensiva aumentano a 1.082, con 374 intubati.
I pazienti guariti crescono di 1.313, arrivando a 178.278. I tamponi complessivi effettuati sono oltre tre milioni e mezzo. Lo ha riferito nel suo bollettino quotidiano il ministro della Salute turco Fahrettin Koca, sottolineando che oltre il 70% dei morti aveva più di 65 anni.

CILE
A 120 giorni dal primo caso confermato di coronavirus sul suo territorio, il Cile oggi ha superato i 6.000 decessi (6.051) per Covid-19, dopo che 131 morti sono stati aggiunti al conteggio ufficiale delle vittime. Alla conferenza stampa per illustrare il bilancio quotidiano non ha partecipato il ministro della Salute Enrique París, il lutto per la morte di suo padre. Le autorità hanno riportato 3.548 nuovi casi di coronavirus in 24 ore – circa mille in più rispetto a quelli riportati ieri – di cui 2.703 sintomatici. “Stiamo vedendo a dati promettenti”, ha affermato la sottosegretaria Paula Daza. “Abbiamo anche registrato una nuova tendenza, il tasso di positività (sui test effettuati) è sceso al 24%”, ha detto. Il numero totale di infezioni dall’inizio della pandemia quattro mesi fa in Cile ha raggiunto 288.089 persone, di cui 253.343 sono guarite, mentre si registrano 28.695 casi attivi nel Paese. I pazienti ricoverati nelle unità di terapia intensiva nella rete sanitaria cilena sono 2.107, di cui 1.757 sono collegati a ventilazione meccanica e 420 sono in condizioni critiche. Le autorità hanno riferito che nelle ultime 24 ore sono stati eseguiti 15.585 test PCR, per un totale di 1.146.593 test fino ad oggi. Daza ha sottolineato che sono trascorsi quattro mesi dal primo caso di Covid-19 nel paese, “una pandemia che ha colpito brutalmente ognuno di noi, tuttavia l’abbiamo affrontata con grande forza, con convinzione, con unità e lavoro congiunto, di operatori sanitari, di coloro che hanno permesso di mantenere la catena di approvvigionamento, dei lavoratori che sostengono silenziosamente coloro che hanno bisogno di aiuto”.

COLOMBIA
L’occupazione delle unità di terapia intensiva (ICU) nella capitale colombiana Bogotà ha raggiunto il 77,4% nelle ultime ore, un dato tuttavia non dovuto a un aumento di ricoveri, ma a un calo temporaneo dei posti disponibili. Secondo quanto riferito dai media colombiani, su un totale di 966 posti di terapia intensiva disponibili in città per curare i pazienti con Covid-19, 748 sono occupati: 146 da casi confermati di coronavirus confermati e 602 da possibili contagi.
La sindaca di Bogotà, Claudia Lopez, ha spiegato che l’aumento al 77,4% del tasso di occupazione delle unità di terapia intensiva non deriva da una crescita di pazienti gravi, ma dal fatto che il numero di letti disponibili è diminuito di 30 posti a causa della mancanza del personale di assistenza richiesto per gestire le unità. L’amministrazione distrettuale aveva avvertito che se fosse stato raggiunto il 75% di occupazione, sarebbe stata dichiarata l’allerta rossa, tuttavia, considerate le motivazioni dietro al dato, le autorità hanno riferito che per ora non saranno prese decisioni in questo senso. La Colombia ha registrato finora oltre 106 mila casi confermati di coronavirus e 3.641 morti.
Quello di Bogotà è il territorio del Paese più colpito dalla pandemia, con più di 32 mila contagi e oltre 700 decessi. Fonti del ministero della Salute hanno assicurato che durante questo fine settimana continuerà l’impegno per fornire più letti di terapia intensiva in tutta la rete ospedaliera ed evitare una dichiarazione di allerta rossa nella rete sanitaria della capitale.

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