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Claudia e la nuova malattia senza nome

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Claudia e la nuova malattia senza nome è una storia raccontata in queste ore. Si parla di una nuova malattia a tutti gli effetti, di una forma sconosciuta della famiglia della Sla.
Claudia ha vent’anni e, suo malgrado, sta partecipando alla scoperta della nuova malattia.
Per quasi tutti i 20 anni ha avuto una malattia senza nome.
Claudia, poco più che ventenne, ora sa di essere affetta da una rara forma di Sla appena scoperta grazie anche a lei e alla sua partecipazione a una ricerca scientifica negli Usa.
Originaria di Santeramo in Colle, in Provincia di Bari, a 5 anni aveva avuto la prima diagnosi di un disturbo neurologico.
La sua malattia, però, non poteva essere classificata perché non era mai stata identificata dal mondo medico.
La ragazza era stata ricevuta in Vaticano da Papa Francesco che le impartì una benedizione prima di partire per gli Stati Uniti d’America.
Claudia era in attesa di farsi visitare dal dottor Carsten Bönnemann nel Centro clinico dei Nih, i National Institutes of Health.

A differenza della maggior parte dei casi di Sclerosi laterale amiotrofica, la variante che riguarda Claudia inizia a colpire durante l’infanzia, peggiora più lentamente del solito ed è collegata a un gene, l’Sptlc1, che fa parte del sistema della produzione del grasso corporeo.
Come molti altri pazienti analizzati dal team di ricerca statunitense, Claudia (che aveva raccontato la sua storia nel libro “Da grande voglio camminare” insieme al padre Gaetano) aveva bisogno di una sedia a rotelle per muoversi e di un tubo tracheostomico impiantato chirurgicamente per aiutarla a respirare.
Gli esami neurologici condotti negli Usa hanno rivelato una patologia con molti tratti distintivi della Sla, inclusi i muscoli che risultano essere gravemente indeboliti o paralizzati.
Ma questa forma è sembrata subito diversa.

Alla maggior parte dei pazienti di Sla viene diagnosticata la malattia intorno ai 50-60 anni di età e poi peggiora rapidamente.
Nei casi studiati al Nih, invece, i sintomi iniziali, come la deambulazione e la spasticità, sono comparsi in questi pazienti quando erano piccoli, intorno ai quattro anni.
Alla fine dello studio è emerso come questa variante riesca a dare una maggiore aspettativa di vita a chi ne è affetto.
Oggi, per i ricercatori, la scoperta del collegamento con il gene Sptlc1 può aprire la strada a un nuovo genere di trattamenti.
“Questi risultati preliminari suggeriscono che potremmo essere in grado di utilizzare una strategia di silenziamento genico di precisione per trattare i pazienti con questo tipo di Sla”, spiega Bönnemann.

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