cappe lunghe, si correva a far la doccia, dopo aver messo le cappe in compagnia dei peoci pescati la mattina.
La pelle profumava di salsedine e la doccia serviva anche a togliere quel fastidioso appiccichìo che si provava nel mettere la maglietta sulla pelle salata. Un po’ di bagnoschiuma, una rinfrescata e di nuovo in capanna, con un panino in mano. Nutella, marmellata, affettato, ma si doveva mangiare.
L’aria era calda, ma il vento confondeva la temperatura e sembrava fosse sempre fresco. Eravamo noi, con la nostra spensieratezza a vedere solo il lato bello delle cose.
Pian piano il sole si allontanava da noi ed erano le ore piu’ belle della giornata. Si giocava in riva al mare a tamburelli, si tornava a nuotare, si andava al largo col materassino. Fin quando le persone si alzavano una ad una una, come in un rito che si ripeteva ogni giorno per tutta l’estate alla stessa ora.
Poi si chinavano, con due dita prendevano l’asciugamano e dopo essersi girati di spalle lo sbattevano per togliere tutta la sabbia.
Uno alla volta si dileguavano tra le capanne e pian piano la spiaggia rimaneva disabitata e silenziosa.
Rimanevano solo le orme di quelle giornate vissute, qualche castello di sabbia mezzo abbattuto dal mare e il suono magico e senza fine di quelle onde gia’ pronte a scandire, nel silenzio, la notte.
Cesare Colonnese
19/07/2015
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(credits: photo by Karen Henderson)