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19enne di Pianiga trovato morto a Padova. La disperazione della famiglia. Di Andreina Corso

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Un ragazzo muore a 19 anni a Padova, all’interno di un capannone abbandonato poco distante dal Parco delle Mura, frequentato da chi si trova a vivere in strada, a cercare riparo e rifugio per la notte che sembra coprire con una nube nera, i problemi che incombono sulla vita che sottrae energie alla sua difesa, che si lascia morire.

N.A. aveva problemi di tossicodipendenza, che avrebbe voluto aver la forza di superare, come dicono i familiari che lo amavano, e che ora sono distrutti dal dolore. Forse è rimasto vittima della sua stessa prigionia interiore, forse ha avuto un malore per altri motivi. Sarà l’autopsia a stabilire la causa che ha sottratto la vita a un ragazzo che tutti descrivono come educato e gentile e che ora che non c’è più, lascia nei genitori e nei fratelli un vuoto incolmabile e tanti tristi pensieri.

N.A da piccolo, si trovava a vivere in un orfanatrofio in Russia quando la famiglia di Pianiga, che aveva già una figlia, l’ha adottato insieme a un altro bambino, dando energia e respiro a una casa accogliente, felice di dare solidità, amore a un futuro al nucleo familiare che si affacciava al domani. Una scelta genitoriale a tutto tondo, nata con fiducia e ottimismo verso la vita.
Quel che è successo ‘dentro’ il sentire di N. rimane nella storia del ragazzo e merita discrezione e rispetto: riguardo dovuto a tutta la sua famiglia, fin troppo provata dalla triste circostanza.

Si sa che il giovane aveva abbandonato gli studi superiori, nonostante i buoni risultati della scuola dell’obbligo e i benevoli rapporti con la comunità parrocchiale, aveva trascorso periodi difficili simili a quelli vissuti dai suoi amici: la cura, la comunità, la ripresa e poi la ricaduta. Un copione che riproduce la fragilità indotta dall’assunzione di sostanze stupefacenti, dalla ricerca talvolta di una dose, che com’è accaduto tante volte, può rivelarsi fatale. Ora lavorava per la cooperativa Giotto e aveva il desiderio di iscriversi a un corso serale per recuperare gli studi interrotti, e diplomarsi.

Quando N.A. è stato trovato morto, erano le 14.00 di giovedì. L’ha scoperto lo stesso amico che aveva trascorso con lui una notte ‘travagliata’, dall’assunzione di sostanze, così ha dichiarato alla polizia e agli operatori del Suem, lui ha cercato di svegliarlo, di scuoterlo, ma il suo amico purtroppo, non si è più svegliato.

La polizia sta indagando per capire chi possa aver, eventualmente, venduto una dosa killer ai ragazzi, purtroppo nel mondo dei fragili, entrano spacciatori spregiudicati e assassini che approfittano della debolezza e dello smarrimento dei giovani.

L’ultimo incontro del ragazzo con la sua famiglia è avvenuto così, dentro un capannone abbandonato “dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi” come dice Fabrizio De André in una sua canzone, è avvenuto dentro una storia che sembrava avere tutte le caratteristiche per un lieto fine.
A differenza di altre storie di vita amare, di affetti feriti, di famiglie inesistenti, di disagio psicologico e sociale dove un bambino, un ragazzo diventa vittima dell’altrui e sua infelicità, questa era davvero tutta un’altra storia.

La sua casa a Pianiga, i suoi genitori, la sorella e il fratello sembravano essere l’antidoto al disagio, all’infelicità che colpisce chi ne è vittima, anche se a volte non è semplice comprendere i risvolti più profondi dell’animo umano. I genitori avevano a cuore N, come gli altri figli che quel fratello l’amavano. E a voler entrare in punta dei piedi dentro quella famiglia, si può solo immaginare quanto bruci e brucerà la ferita della separazione.

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3 persone hanno commentato. La discussione è aperta...

  1. Ringrazio Antonella per il affettuoso e fin troppo generoso commento. E ringrazio anche Gino, che sempre, in libertà e giustamente, esprime le sue idee che mi invitano alla coerenza. Penso che la democrazia sia un processo faticoso, di comprensione della società e della fatica di capire quale possa essere la via più giusta da praticare. E non è solo un problema di magistrati, avvocati, giuristi, riguarda tutti noi. In quanto al pianto, sì, piangere per un ragazzo di 19 anni che muore, si deve. E con lacrime vere.
    Grazie per l’attenzione.

  2. gli spacciatori agiscono alla luce del sole, ma una certa parte politica li difende a spada tratta e approva le leggi che li lasciano liberi e belli di delinquere, in attesa di processi che si concluderanno con l’ennesimo patteggiamento. Delle due l’una, o si mette in galera chi vende la morte in bustina, o la si smette di piangere per il destino cinico e baro che ci fornisce la lista quotidiana delle vittime della droga.

  3. Mi congratulo con la redazione per questo e altri articoli scritti dalla vostra giornalista Andreina Corso, per l’interesse che riesce a trasmettere e la sensibilità dei suoi pezzi. Ogni volta che la leggo, mi trovo a pensare, a riflettere su quel che scrive e mi piace. Ho sentito il bisogno di dirvelo e vi ringrazio.

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