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Cinema: Vizio di Forma, pallino bianco: delusione d’autore

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Dirò subito: non conosco il romanzo di Pynchon, che è del 2008 ma mi sento comunque di dire che “Vizio di forma” per me è un quasi totale fiasco. Non solo perché è impossibile il paragone con Lebowski, film che magnificamente parlava di istanze deluse e di falliti, della cattiveria dell’America, sotto una fittizia salsa hard boiled, ma proprio perché a Anderson difetta assolutamente il sense of humor e la magica, amarissima ironia dei Coen, che probabilmente con un soggetto del genere ci avrebbero fatto sognare (mi correggo: ci HANNO già fatto sognare). Invece “Vizio di forma” fa soprattutto dormire. Davvero era da tempo che non mi annoiavo così tanto vedendo un film. E mi spiace, perché “The master” era stato un film davvero toccante e Anderson, pur con tutte le sue megalomanie è un ottimo regista. Però non son riuscito ad evitare l’effetto digestione da troppo minestrone con cotiche a causa di una storia che cerca l’eccentrico della scrittura di Pynchon (comunque sia il romanzo il pretesto di usare una forma narrativa per dire altro ormai è vecchio come il cucco) e ci propone delle macchiette troppo smaccate e forzate per risultare affascinanti.

Un po’ come “Paura e delirio a Las Vegas” (film migliore di questo e per certi versi vicino a questa pellicola) mettere in scena così pedantemente mostri e mostruosità senza leggerezza è una scelta perdente. Pur diversissimi tra loro mi sembra di aver provato lo stesso senso di freddezza senza appeal di film come “La colazione dei campioni”. Semplicemente certi libri non dovrebbero essere mai messi in scena; il linguaggio della letteratura può cose che al cinema non funzionano e viceversa. Persino il sempre ottimo Phoenix, con le sue canne, le sue sniffate di gas esilarante, le sue sconfitte, i suoi travestimenti appare davvero smarrito e inefficace. Non credo sia colpa sua, è solo finito in un film che non si doveva fare, perlomeno non Anderson. Personaggi che vorrebbero essere epocali appaiono e scompaiono sotto i nostri occhi senza che noi possiamo almeno un minimo affezionarci. Scene madri (per esempio la clinica per malattie mentali) dovrebbero restare scolpite nella memoria e invece sono solo degli ingombranti tableaux vivant che suonano di falsa ironia. Tutta la storia è affannosa e affannata; ci sorbiamo dialoghi ellittici, tipici del post moderno e derivanti dalla penna “innocente” di Chandler, che francamente confondono se non irritano. Alcune scelte di soundtrack sono pleonastiche (l’uso del sublime Neil Young è davvero ad effetto scontato, “Simba” di Lex Baxter è un abbastanza deplorevole plagio d’intenzione dal “Grande Lebowski” che usava Yma Sumac nella scena all’arrivo di Drugo a villa Treehorn).

Nel complesso ho provato davvero antipatia per questo film, perché tutto mi è sembrato forzato, già visto, insincero. La critica all’America di fine ’60 è sfuggente, i personaggi non son mai memorabili, l’estetica del film spesso è un involucro vuoto, Phoenix non è un comico, Anderson non sa cosa sia la levità, a certi colpi di scena siamo ormai assuefatti. Mi spiace, se fossi Mereghetti appiopperei a questo film il fatidico pallino bianco, cioè “delusione d’autore”. Mi sembra un colosso in una cristalleria diretto da una mano che altrove ha colpito nel segno e il cui humor raggelato si può trovare ben espresso, ad esempio, nella gara di motociclette presente in “The master” e non in questo affannato grammelot di immagini senza cuore. What’s up Paul?

Vizio di Forma (Inherent vice) 2015
regia: Paul Thomas Anderson
Con Joaquin Phoenix, Katherine Waterston, Josh Brolin, Martin Short, Benicio Del Toro

giovanni natoli columnist la voce di venezia

Giovanni Natoli

08/03/2015

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