… mi sto recando a votare, anche se non ci volevo andare.
Maledetta educazione che mi porto dietro da quando sono nato e che mi costringe di fare anche quello che non mi piace.
No, non è che non mi piace votare, non mi piace essere costretto a farlo perché mi si mostra lo spettro della catastrofe. Non so cosa dire, inseguito dai verbi dovere, sfasciare, tradire, sbeffeggiato dagli altri verbi che con “marameare” mi fanno arrabbiare, stufo morto di minacce e ammonimenti, davvero non so chi accontentare. Lontano dal travaglio, spaventato dal salvino, odo i grilli cantare con voce stonata.
E mi fanno marameo le promesse e le illusioni e mi fanno ancor più male le delusioni.
Eppur si deve, diceva qualcuno, provo con la lente a cercare la sillaba che più si addice al sillabario della ragione. Eppur si muove diceva quel signore che osservando il cielo si teneva lontano dagli editoriali che sentenziano, che ci dicono chi siamo, convinti come sono che noi non lo sappiamo.
Eppur si va. Se bisogna andare, si va, cantava Enzo Iannacci, e mentre i passi si avviano al seggio, in cuor suo, il votante smarrito, spera che vinca chi lo diplomerà vincitore nel cuore della notte, così una meritata soddisfazione se la prende volentieri in questi tempi tutti da ridisegnare.
E dopo è già domani, nelle solite o nelle nuove mani, il referendum è già lontano, gli effetti speciali degli editoriali ci offriranno soddisfazioni e veleni, e mentre il cielo ci offre il suo blu, le stelle sillabano da lassù.
Andreina Corso
05/12/2016