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Venezia: ultimo weekend in zona gialla con assembramenti. Città come una sagra

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Dopo un venerdì relativamente tranquillo, è scattato a Venezia il primo weekend senza alcol da asporto.
A partire dalle 15:00 supermarket e rivendite hanno ripristinato nastri e cartelli mentre bar e ristoranti si sono limitati alla somministrazione al tavolo. 
Com’era prevedibile, gli escursionisti non si sono fatti scappare gli ultimi scampoli di “zona gialla”: nella sola giornata di sabato la Centrale Operativa del Tronchetto ha contato 20.000 persone.
L’aggravarsi della pandemia, quindi, non sembra aver scoraggiato il turismo locale, anzi, pare sia stato quasi recepito come uno spot: “o adesso o mai più”.
L’ordinanza non ha però evitato gli assembramenti, con decine di visitatori ammassati sui ponti e nelle calli.
Una famiglia guarda una vetrina, due ragazze si fermano per un “selfie” e ci si trova a chiedere “permesso” per passare a due centimetri da uno sconosciuto.
Alla Misericordia si beve nei plateatici, in Erbaria ci sono i vigili, a Santa Margherita i Carabinieri.
Ma nonostante le regole vengano rispettate, in Strada Nuova si canta a squarciagola mentre ai Tolentini si ride e si schiamazza. Qualcuno parla di “bottiglie nello zaino” dimenticando come ci si possa regolarmente ubriacare stando seduti al tavolo.
L’ordinanza che venerdì sembrava “funzionare” si è invece

subito mostrata come un palliativo: al di là di vini, spritz e liquori la gente si assembra comunque.
Nelle calli più strette l’incedere lento e sbracato crea intasamenti che, se non fosse per le mascherine, rievocano gli scenari turistici della città pre-pandemia.
Uno ritorno che in molti auspicano ma che fa a botte con le raccomandazioni degli esperti, con l’aumento dei contagi, con il rischio di “non uscirne più”.
Il paradosso è proprio questo: per resistere nella sua forma attuale Venezia ha bisogno dei “grandi numeri”. Pare un’economia legata agli assembramenti, alle calli piene, che da più di un anno si alterna tra periodi di “libertà” e “chiusure mirate”. Un trend incerto che non giova a nessuno, nemmeno ai gestori, poiché senza un flusso continuo migliaia di bar sono destinati a morire.
Il maggior interrogativo è a livello logistico: dove andranno in bagno i gitanti dello spritz? Si incolonneranno nei locali per usufruire dell’unico servizio disponibile? Con quali mezzi torneranno a casa? Finiranno ammassati su treni e autobus annullando ogni distanza?

Per quanto si voglia dire, Venezia non dispone né di luoghi né di strutture per questo tipo di “turismo”: gli spazi angusti e la mancanza di parcheggi favoriranno disagi, calche e promiscuità. E tanti saluti ai protocolli anti-Covid.
Ma la colpa non è né dei gestori né di chi affolla le calli: nessuno di loro ha violato le regole.
A mancare è stata la lungimiranza delle ultime amministrazioni che, dimezzando i residenti e la qualità dell’offerta, hanno trasformato Venezia in una sagra.
Un modello che, pur con le sue contraddizioni, poteva “funzionare” fino al 2019 ma che si scontra ora con i problemi della pandemia.
Nonostante ciò, non sembra che all’orizzonte ci sia alcuna alternativa: si confida in un “tutto come prima” trascinando nel baratro gli stessi gestori, che da lunedì torneranno chiusi con gli affitti e i dipendenti da pagare.

Nino Baldan

(foto: Venezia, 07/03/2021)

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