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“The whale”, Premio Oscar a Brendan Fraser, ma l’attore è solo bravo

Un film tutto in una stanza, un campionario borderline di disagi; omosessualità, tradimento, sistema medico americano, marginalità, apparenza fisica nel terzo millennio. Per contrasto sembra ergersi alta la letteratura come unico strumento per volare oltre la rude realtà.

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“The whale”, presentato alla 79ma mostra del cinema di Venezia, in cui ha vinto il Leoncino d’Oro; candidato agli Oscar 2023, dove il protagonista Brendan Fraser ha vinto il premio come miglior attore, è la realizzazione cinematografica dell’opera teatrale del 2012 di Samuel D. Hunter,, autore anche della sceneggiatura.

Il film ha creato enorme scalpore sia per via del personaggio (un professore di corsi di scrittura universitari, omosessuale, gravemente obeso, nascosto al mondo), sia per il rilancio di un attore che era praticamente scomparso dalle scene; quel Brendan Fraser, ex belloccio del cinema blockbuster con film come “La mummia” o “George della giungla”. La storia si svolge in un unico ambiente, la casa del protagonista. Un ambiente poco illuminato e congestionato di libri e cibo spazzatura. Il professore tiene i corsi in video chat, tenendo la finestra della sua immagine chiusa. Ad assisterlo c’è Liz, infermiera e amica, legata al professore da un segreto.

Nel corso della settimana (il film è scandito in giornate) assisteremo all’arrivo di uno strano ragazzo, predicatore della congregazione New Life, e della figlia Ellie, avuta da una relazione con Mary, donna poi lasciata per l’amore verso un suo studente. La figlia è stata abbandonata che aveva otto anni ed è tornata forse per saldare i conti con il padre che l’abbandonò. Il racconto si svolge in un crescendo drammatico. Ad un certo punto il protagonista sembra non potersi permettere le cure mediche, dato che non ha i soldi per l’assicurazione.

Abbiamo quindi, tutto in una stanza, un campionario borderline di disagi; omosessualità, tradimento, sistema medico americano, marginalità, apparenza fisica nel terzo millennio. Per contrasto sembra ergersi alta la letteratura come unico strumento per volare oltre la rude realtà. In particolare Charlie è ossessionato dalla rilettura di una tesina su “Moby Dick”. E in fondo il film di Aronofski sembra voler leggere Charlie stesso come balena bianca assediata su diversi fronti, tanti quanto i personaggi che gli stanno attorno, che entrano ed escono dalla sempre aperta porta di casa sua, a eccezione del delivery boy che gli consegna le pizze, lasciandole fuori.

Un campionario di tematiche e un tour de force registico, confinato in un kammerspielt perfettamente recintato dentro quattro mura. Prova di forza che a mio parere Aronofski supera malamente, realizzando un film scontato, astuto, edulcorato e proprio nell’apparenza realistica. Laddove in passato Aronofski era riuscito a rigenerare un attore come Mickey Rourke mostrandolo per quello che è nella realtà, qui ha bisogno di foderare di protesi Fraser, per una performance di calcolatissima commozione. Fraser sgrana i liquidi occhioni e fa tuonare i gravi della voce; è capace ma il 60% lo fa il costume, ormai diventato iconico.

Più passano i minuti più il film “The whale” diminuisce. Aronofski è così, ha il grosso limite di non conoscere l’equilibrio, un suo equilibrio dentro la sua poetica. O le spara grosse oppure si sottomette pedissequo a una messinscena che più ovviamente teatrale di così non si può, con tanto di entrate e uscite dalla porta, proprio come se fossimo a vedere lo spettacolo teatrale. Fraser è bravo: un’affermazione che è molto più limitante di quello che può sembrare, dato che stiamo parlando di un attore riscattato da cinema blockbuster in cui faceva l’eroe belloccio, un po’ allocco. Limitante perché è solo…bravo. Cioè: recita come qualunque bravo attore, come molti in giro. Se la sua performance è sopravvalutata lo è in forza del suo passato, che Aronofski usa per farci dire “chi l’avrebbe mai detto che fosse capace di fare un personaggio così?” E fa leva a questo effettismo tutto il contorno di attori, dagli atteggiamenti e dalle interazioni così prevedibili.

Colpa anche dello script di Samuel Hunter, che non risparmia nessuna delle ovvietà nelle cause-effetti delle azioni, a costringere e a sminuire la sua performance. Quegli occhioni sgranati e sempre umidicci, di chi ha molti sensi di colpa ma anche di molto vittimismo. Quell’innata paciocconeria nel cercare di “equilibrare” le tristi vicende della sua vita. Per non dire della scena in cui Charlie sceglie il “suicidio mediatico” mostrando il suo corpo alla classe di studenti; un coup de theatre quello sì alla Aronofski degli eccessi,sempre un po’ ingenui e tromboni. Per cui la “misura” (che io chiamerei torpore della messinscena) del racconto dimostra una certa carenza intellettuale del regista, stretto tra le maglie dei suoi eccessi ora eccessivamente elefantiaci, ora eccessivamente mesti e modestissimi.

Peraltro si annusa aria da “Attimo Fuggente” quando il protagonista invita gli studenti dal rifuggire da ogni accademismo. Scordatevi la magnifica performance del Rourke di “The wrestler”, film non sorprendente immerso com’è nel suo “naturalismo springsteeniano” ma con un attore carne e sangue dentro il personaggio. “The whale” è solo illusoriamente sobrio e puntuale, è solo un altro tassello di un autore alla cui grandeur di messinscena non corrisponde una maturità interiore nel trattare alcunché che non sia roboante e saturante per la vista. Il film tratta la storia così come tratta “Moby Dick”, estraendone un succo arbitrario e troppo facile; e si chiude con un finale stucchevole per ciò che succede e come viene realizzato.

THE WHALE
(ID; U.S.A.: 2022)
Regia: Darren Aronofski
Con: Brendan Fraser, Sadie Sink, Ty Simpson, Hong Chau, Samantha Morton

Giovanni Natoli

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