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Souvenir in Riva degli Schiavoni: 21 bancarelle su 29 sono bengalesi

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I turisti si avvicinano, Mohammed mostra le maschere di carnevale: quelle da “jolly” costano 10 euro, quelle piccole soltanto due. È ancora “troppo”? Nessun problema: i prezzi sono trattabili esattamente come avviene a Dacca, la città del Bangladesh da cui proviene. E come lui ce ne sono decine, che quotidianamente si districano tra cappelli e pendagli con cui i gitanti ricorderanno per sempre la loro “fuga” a Venezia.

Benvenuti in Riva degli Schiavoni, la pittoresca passeggiata che collega Piazza San Marco agli attracchi dei lancioni turistici: un luogo battuto ogni giorno da migliaia di escursionisti dal litorale e dalle innumerevoli comitive giunte in pullman al Tronchetto. Disporre di una licenza in Riva significa accaparrarsi buona parte della torta turistica: una vetrina privilegiata che fino a due, tre anni fa garantiva un buon reddito a decine di veneziani che alternavano al “banco” mogli, figli e collaboratori.

Da qualche tempo, però, le cose sono cambiate: delle 29 bancarelle che si estendono dal Ponte della Paglia alla caserma Cornoldi, ben 21 sono a gestione bengalese. Una proporzione significativa, pari a oltre i due terzi, di un fenomeno che aveva già toccato altre zone della città ma che fino al pre-Covid sembrava aver risparmiato l’area marciana.

Cos’è successo? A spiegarlo è uno degli ultimi ambulanti veneziani che a differenza dei dirimpettai ha deciso di resistere. “Sono qui da oltre vent’anni ma una casbah del genere non l’ho mai vista” confessa. E sfodera una borsa: “questa l’ho comprata dal grossista a 4,50 euro: devo pagarci le tasse, i dipendenti e mantenermi. Come fanno i bengalesi a rivenderla a 8 senza rimetterci?”.

Per il commerciante la situazione è cambiata subito dopo il Covid. “Molti titolari hanno deciso di affittare l’attività – racconta – ma nessun veneziano si è fatto avanti: in un momento di incertezza legarsi a un canone a tre zeri era quasi una follia”. Un ragionamento non condiviso, però, da decine di imprenditori bengalesi che in poche settimane hanno fatto incetta di bancarelle.

“Sinceramente non so come facciano – prosegue l’ambulante – nella migliore delle ipotesi vivono con poco e risparmiano, con la certezza che una volta in patria disporranno di un tesoretto. Lì con 7 mila euro si comprano una casa”.

Sono molti, in effetti, i bengalesi residenti nel Comune di Venezia: nel 2021 se ne contavano quasi 8.000, prevalentemente in Terraferma e quasi tutti operanti nel turismo come cuochi, fattorini e camerieri.

“Sono lavoratori instancabili – spiega un altro commerciante – resistono anche 15 ore consecutive senza lamentarsi. Ogni giorno mettono da parte qualcosa per le loro famiglie: hanno la mentalità dei nostri nonni e che noi italiani, nati nel benessere, abbiamo ormai dimenticato”.

Lo interrompe un ragazzo: “i nostri nonni hanno comprato casa a Venezia, non in Bangladesh!”. E rivela: “anch’io pago l’affitto di una bancarella. E non mi compro certo le case, anzi, se non abitassi con i miei genitori non riuscirei neanche a mantenermi”.

Di chi è, quindi, la responsabilità? “I bengalesi non c’entrano – risponde il giovane – la colpa è di quei veneziani che preferiscono vivere di rendita anziché impegnarsi. Se Venezia è diventata un suq sappiamo chi ringraziare”.

A chiarire la questione interviene un altro commerciante: “la colpa non è né dei bengalesi né dei veneziani – specifica – ma delle istituzioni. Che ci piaccia o no, il mercato è libero e chiunque può affittare il proprio ‘banco’. Non ho nulla contro nessuno, bianco, nero, rosso o giallo: l’importante è che si giochi ad armi pari”.

In che senso? “Ogni articolo va venduto ad almeno 2,5 volte il suo costo, altrimenti non c’è margine né per le tasse né per i dipendenti. Chi lavora così è destinato a fare i conti con la Guardia di Finanza: quanti di loro sono già ‘spariti’ lasciando migliaia di euro di ‘buco’? Il problema è che loro posto ne arriveranno altri e così via all’infinito”.

E i proprietari dei “banchi”? “A volte vengono pagati, a volte no. Ma quando ne vogliono ‘tanti, maledetti e subito’ è un rischio che devono considerare”.

La soluzione? “Chiedere a tutti, indipendentemente dalla provenienza, una minima garanzia bancaria, un fondo ‘di sicurezza’ nel caso di ammanchi, multe o ‘sparizioni’. Vedrete che qualcuno ci penserà due volte prima di imbarcarsi in un’attività”. Senza dimenticare una maggior frequenza dei controlli: ”molti bengalesi espongono la merce ben oltre i 3×1 metri consentiti – conclude l’ambulante – abbiamo provato a dirglielo ma sembrano non capire”.

Bancarelle in Riva degli Schiavoni, a Venezia
Mohammed all’ora di pranzo

Nel frattempo in Riva degli Schiavoni è arrivata l’ora di pranzo: Mohammed apre un sacchetto, estrae un panino e si siede dietro, nel “banco” dei rifornimenti lasciato aperto per ogni evenienza. Accanto a lui delle pile di cappelli e scatoloni, sulla sua testa un ombrello con le immagini della città. È questa, nel 2022, la pausa pranzo dei lavoratori del commercio a due passi da Piazza San Marco.

I 'bancheti' di souvenir per turisti di Riva degli Schiavoni, San Marco
I ‘bancheti’ di souvenir per turisti di Riva degli Schiavoni, San Marco

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5 persone hanno commentato. La discussione è aperta...

  1. il problema si risolve vietando l’affitto delle bancarelle a terzi, la licenza è tua e non trasferibile, ne a parenti o amici, e quando vai in pensione restituisci la licenza.Punto. Provate a prendere in affitto un banco a Parigi o a Montecarlo o per farla più facile a Bolzano. Cambiate i Politici che gestiscono l’amministrazione e il gioco è fatto.

  2. La soluzione è molto semplice, se il comune offrisse un contratto a tempo indeterminato ai proprietari in cambio del ritiro della licenza, le bancherelle tanto odiate sparirebbero subito, ve lo assicuro, io accetto, siamo due soci, non vedo l’ ora di fare la pacchia.

  3. E’ ora e tempo che la giunta e i veneziani facciano delle belle riflessioni. Tenendo conto però che il problema non è solo in riva degli Schiavoni. E’ diffusa in tutto il territorio veneziano e oltre.
    Qualche sociologo potrebbe anche spiegarci perchè gli immigrati riescono dove i nostrani non riescono più. Forse dipende solo dalla malattia benessere occidentale in cui noi tutti siamo nati e cresciuti. Gli immigrati no, invece. Devono aggrapparsi con i denti ed hanno la furbizia di chi è disperato. Ma hanno soprattutto la connivenza, esplicita e non, dei politici.
    Manca chi ci pagherà la pensione? Facciamo arrivare orde di immigrati. Mancano nascite? Facciamo venire orde di immigrati. Manca forza lavoro? Facciamo venire orde di immigrati.
    Attenzione, però. Quando la sostituzione della popolazione sarà tale che cambieranno anche civiltà, usi e costumi, non pensate si possa tornare indietro. Dovremo noi adattarci a loro, non viceversa, checchè ne dicano gli ottusi radical chic. Historia docet!

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