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Pena di morte, parliamone. Quando la prova dell’innocenza arriva dopo l’esecuzione. Di Andreina Corso

Ledell Lee è stato giustiziato, aveva 52 anni. Dopo quattro anni l’esito tardivo di un esame del Dna ha invece sancito la sua innocenza.

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È arrivata troppo tardi la verità per Ledell Lee che per ventun anni dal carcere, implorava di essere creduto.
Urlava la sua innocenza, mentre la giustizia aveva già sbagliato il suo corso.
L’ultimo atto della sua vita, a cinquantadue anni, è stata un’iniezione letale e con essa, sembrava scendere un silenzio definitivo.
A parlare, ora, dopo quattro anni, è l’esito di un tardivo esame del Dna che sancisce la sua innocenza.
Non è stato lui a uccidere.
La sentenza dei giudici americani dell’Arkansas, però lo aveva giudicato colpevole: era lui quello che nel 1993 ha picchiato e ucciso Debra Reese, in un quartiere periferico di Little Rock.
Sul verdetto è certamente pesato il passato di Ledell Lee, attraversato da problemi legati alla tossicodipendenza e ad atti di violenza, un curriculum non proprio gratificante che ha influenzato i giudici nel verdetto e li ha convinti dopo due processi, della sua colpevolezza.
La famiglia invece ha sempre creduto nell’innocenza di Lee, in quest’orribile caso, e chiedeva l’esame del Dna su tutti gli elementi che lo Stato aveva a disposizione per analizzare ogni agente capace di assodare con certezza che l’omicida di Debra fosse lui.
Chiedeva che la camicia, i capelli, le impronte, il bastone ritrovato dopo il feroce delitto fossero sottoposti al test del codice genetico ma il procuratore sorvolò sulla richiesta, giudicandola inutile alla luce delle prove dei testimoni oculari, giudicate sufficienti e chiarificatrici.
Ora, dopo quattro anni dall’esecuzione, un tardivo Dna emette a modo suo la sentenza opposta e chiarisce che tutte le prove a disposizione dello Stato dimostrano che Lee non c’entra niente con quel delitto e che il loro riconoscimento conduce direttamente a un individuo che non è Lee.

Nel ricercare le cronache di quegli anni, si legge: L’uomo ucciso è Ledell Lee, condannato a morte per l’omicidio per percosse della 26enne Debra Reese, più di 20 anni fa. Lee fu arrestato un’ora dopo la morte della donna con l’accusa di aver speso 300 dollari che le aveva rubato, ma si è sempre dichiarato innocente e i suoi avvocati speravano ancora di poter riaprire il processo.
Fuori la casa del governatore dell’Arkansas per tutta la notte si sono tenute veglie e manifestazioni di protesta. Sui social foto e video hanno mostrato manifestanti che pregavano, accendevano candele.
Anche Amnesty International e Human Rights Watch sono intervenuti mentre John Grisham, scrittore nato in Arkansas, ha scritto un articolo durissimo: «Siamo di fronte ad uno spettacolare deragliamento della legge». Ma non è servito a nulla.
Altri mezzi d’informazione hanno scritto: «Stasera è stata portata a compimento una sentenza legittima che era stata assegnata da una giuria e poi accolta dai tribunali. La famiglia di Debra Reese, uccisa brutalmente mentre era a casa da sola, che ha aspettato più di 24 anni, vede finalmente compiersi giustizia con questa legittima esecuzione che aiuterà la famiglia a trovare la pace». Purtroppo, la famiglia di Debra è costretta a vivere anche questa realtà, come non avesse già sofferto abbastanza.

Altri aspetti sono stati evidenziati dall’avvocata di Lee, Nina Morrison: «La decisione di affrettare l’esecuzione del signor Lee solo perché la fornitura di droghe letali scade alla fine del mese gli ha negato l’opportunità di condurre i test del Dna che avrebbero potuto dimostrare la sua innocenza se persone ragionevoli possono essere d’accordo sul fatto che la morte sia una forma di punizione adeguata, nessuno dovrebbe essere giustiziato quando c’è la possibilità di dimostrare che è innocente».
Nina Morrison fa riferimento a un articolo del New York Time, che oltre a rilevare una crescente opposizione dei cittadini americani nei confronti della pena di morte, insinua che in quel periodo si è applicata la pena in fretta perché i farmaci letali che lo Stato aveva a disposizione, scadevano il 30 Aprile 2017. Lee è stato giustiziato il giorno 20.

A suggellare la convinzione che esistano tanti uomini e donne al mondo che hanno sete di giustizia, di verità, l’Associazione per la Difesa dei Diritti Civili che ha continuato a insistere sul diritto al test del Dna e per questo si era rivolta alla Corte suprema che ha ritenuto fosse suo dovere dar corso a questa esigenza.

Il tema della pena di morte è uno degli argomenti più discussi e controversi della società americana e ancora oggi non si è riusciti a uniformare il Paese sulla questione poiché ogni Stato federale applica la legge a proprio modo. TuttoAmerica.it ha rivelato:  
“Quasi la metà degli Stati Uniti ha ormai abolito la pena di morte o ha deciso di applicare una moratoria informale con la quale sospendere le sentenze capitali. Fino ad oggi è il Texas a vantare il maggior numero di condanne a morte ma negli ultimi 15 anni si è assistito a un drastico calo delle esecuzioni in tutti gli Stati.

Dal 2003 non ci sono più state condanne a morte a livello federale e solo nel giugno 2020 l’amministrazione Trump ha deciso di porre fine alla moratoria non ufficiale voluta dal presidente Bush. A luglio 2020 si è quindi svolta la prima esecuzione in Indiana per un caso di omicidio risalente agli anni Novanta e altre sono in programma nel futuro.

Nel tempo i diversi Stati hanno adottato un atteggiamento discontinuo sulla questione perché ognuno gestisce il problema in maniera autonoma.


 

In molti di questi la pena di morte è ancora ufficialmente in vigore mentre altri stanno lentamente indirizzandosi verso la messa al bando definitiva.

Nella maggior parte dei casi è semplicemente cambiato il metodo di esecuzione della sentenza.
Per esempio, in diverse zone del Paese fucilazione, impiccagione e sedia elettrica sono stati eliminati in quanto considerati sistemi antiquati e troppo strazianti per i detenuti.

Ad agosto 2020 sono 28 gli Stati federali americani che prevedono ancora la pena di morte e 22 gli abolizionisti. In concreto però ci sono alcuni di loro che, pur mantenendo la legge, hanno deciso di adottare una moratoria non scritta o comunque informale.

Per moratoria s’intende una sospensione delle esecuzioni capitali a tempo indeterminato. Infatti, l’argomento della pena capitale è talmente controverso e dibattuto che spesso si creano divergenze a livello giuridico.
In molti Stati i giudici federali hanno reputato le esecuzioni incostituzionali e in diversi casi le sentenze sono state sospese”.

Il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden, ha promesso di abolire la pena di morte.
Il sentimento dell’America su questo tema sta cambiando, anche se molto lentamente. Infatti solo il 55% degli americani oggi crede, secondo un sondaggio Gallup, che la pena capitale sia la punizione appropriata per un assassino.

Le voci che si oppongono alla pena di morte sono tante e si esprimono in associazioni e movimenti che si muovono nel mondo per sensibilizzare la conoscenza su questa pratica disumana. Con Amnesty International, Papa Francesco in ogni occasione invoca che non vengano eliminate altre vite e si offra la via del pentimento.


 

“La dignità della persona non si perde mai, anche quando si commette “il peggiore dei crimini”. La vita è un dono da proteggere ed è fonte di tutti gli altri doni e di tutti gli altri diritti. Nessuno può essere ucciso e privato dell’opportunità di abbracciare nuovamente la comunità che ha ferito e fatto soffrire”. La pena di morte, aggiunge, è “una grave violazione del diritto alla vita di ogni persona”.

Papa Francesco ricorda che “per proteggere la società dal male che alcuni individui possono causare”, la soluzione non è la pena capitale. Questa non può essere considerata, com’è avvenuto “per molto tempo”, “la risposta adeguata alla gravità di alcuni reati a tutela del bene comune”.
Il Papa indica poi una porta che non si può mai chiudere: “Nessuno può essere ucciso e privato dell’opportunità di abbracciare nuovamente la comunità che ha ferito e fatto soffrire”.
La pena di morte, aggiunge, è “una grave violazione del diritto alla vita di ogni persona”.

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