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Riconoscimento del figlio di coppia omosessuale concepito all’estero con maternità surrogata

Riconoscimento del figlio di coppia omosessuale concepito all'estero con maternità surrogata: no a scorciatoie o furbizie, ma una porta è aperta.

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Le unioni civili sono ormai prassi consolidata nel nostro Paese ma, anche dopo l’introduzione del Registro delle Unioni Civili, le difficoltà nell’applicazione pratica sono molteplici. Ricordiamo che l’’unione civile è costituita da due persone maggiorenni dello stesso sesso mediante dichiarazione di fronte all’ufficiale di stato civile e alla presenza di due testimoni; l’ufficiale di stato civile provvede poi alla registrazione nell’archivio dello stato civile (legge 76 del 2016).

Uno degli aspetti più delicati è quello della genitorialità, ossia la possibilità di riconoscere una coppia omosessuale come genitrice – ai fini legali – del bimbo. Come è logico, la questione ha determinato prese di posizione contrastanti, sia in ambito politico che sociale e religioso; vediamo quindi che cosa prevede il nostro Ordinamento, considerando tuttavia che la materia è in continua evoluzione.

In Italia è vietata la cd. “maternità surrogata”, ossia l’accordo con il quale una donna si impegna ad attuare e a portare a termine una gravidanza per conto di terzi, rinunciando preventivamente a “reclamare diritti” sul bambino che nascerà. Tale pratica è punita dall’art. 12, comma 6, della Legge n. 40/2004 che dispone: “Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro”.

L’esistenza del divieto in Italia induce al fenomeno del c.d. turismo procreativo di molti cittadini, quando supportati da una adeguata disponibilità economica, a ricorrere alla surrogazione di maternità all’estero, nei Paesi che hanno regolamentato e consentito questa tecnica di procreazione.

Un caso di particolare rilevanza aveva preso le mosse dall’ordinanza del 16 luglio 2018 della Corte d’Appello di Venezia, che aveva accolto il ricorso di due cittadini italiani, coniugati in Canada ed il cui matrimonio era stato trascritto in Italia nel registro delle unioni civili, avverso il rifiuto opposto loro dall’Ufficiale di stato civile del Comune di Verona, di ordinare la trascrizione dell’atto di nascita del minore, figlio di madre surrogata, nato in Canada, atto di nascita nel quale si attesta che è figlio dei ricorrenti. Il bambino era nato con le modalità tipiche della gestazione per altri, pratica per l’appunto ammessa in Canada.

L’Avvocatura dello Stato proponeva ricorso per cassazione avverso la decisione della Corte di Appello di Venezia ed il caso arrivava così alla Suprema Corte.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 38162 pronunciata a Sezioni Unite il 30 dicembre 2022, ha rilevato che la pratica della maternità surrogata, quali che siano le modalità della condotta e gli scopi perseguiti, offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane. Conseguentemente, non è automaticamente trascrivibile nei nostri registri d’anagrafe, il provvedimento giudiziario straniero, ed a maggior ragione l’originario atto di nascita, che indichi quale genitore del bambino il genitore d’intenzione, che insieme al padre biologico ne ha voluto la nascita ricorrendo alla surrogazione nel Paese estero, sia pure in conformità della legge di quel Paese.

Se la Corte ha quindi censurato questa sorta di “scorciatoia” ha tuttavia ritenuto meritevole di attenzione un altro aspetto della vicenda: anche il bambino nato da maternità surrogata deve poter godere dei diritti fondamentali e fra questi diritti vi è quello a veder riconosciuto, anche giuridicamente, il legame sorto in forza del rapporto affettivo instaurato e vissuto con colui che ha condiviso il disegno genitoriale, ossia il partner (unito civilmente) del padre biologico.

Precisa però la Corte come questa esigenza di assicurare al bambino nato da maternità surrogata gli stessi diritti degli altri bambini nati in condizioni diverse sia garantita da un altro strumento legislativo, la cosiddetta adozione in casi particolari, ai sensi dell’art. 44 della Legge n. 184 del 1983, sempre che ne sussistano i presupposti.

Secondo la Corte di Cassazione, quindi, è questo particolare tipo di adozione lo strumento che consente di dare riconoscimento giuridico, con il conseguimento dello status di figlio, al legame di fatto con il partner del genitore genetico che ha condiviso il disegno procreativo e ha concorso nel prendersi cura del bambino sin dal momento della nascita.

La “scorciatoia” rappresentata dal concepire all’estero un figlio tramite la maternità surrogata per poi ottenere nel Paese straniero lo stato di genitore per entrambi i membri della coppia omosessuale, anche se unita civilmente in Italia, non è dunque consentita dal nostro Ordinamento. La Corte ha tuttavia aperto una porta che, certamente, sarà esplorata dalle coppie omosessuali unite civilmente: quella dell’adozione in casi particolari, strada però tutt’altro che agevole ma, comunque, l’unica che conferisce rilievo alla socialità del rapporto affettivo instaurato e vissuto anche con colui che ha condiviso il disegno genitoriale in un Paese estero.

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