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Film a confronto: Il Sabba vs The Witch

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I cinema sono chiusi, sappiamo. Per ovviare a questa assenza che rende le nostre giornate meno ricche e, data la pandemia ben poco possiamo fare, le possibilità di accedere ai servizi Netflix ci permette di viaggiare attraverso il tempo delle uscite dei film, vedere titoli del passato come se fossero di oggi. Si può navigare, saltare di film in film, come se tutto fosse un eterno presente in attesa che si esca da questo momento drammatico.
E ciò comprende la possibilità di fare dei confronti e dei paralleli. È stato quindi interessante per me vedere un titolo nuovo di zecca e un film che ha già sei anni, accomunati dallo stesso tema: le streghe.
Non a tutti piacciono i confronti ma questi nell’arte sono non solo possibili ma legittimi se non determinanti; non si deve avere paura di porci di fronte a film che hanno lo stesso tema e cercare di capire come han risolto la materia e se certi titoli, a torto o a ragione, sono migliori di altri.
Il sabba” è l’ultima opera del regista Aguero, sconosciuto in Italia ma già con un buon pugno di titoli e una ricca messe di premi (ben cinque Goya). Racconta di un gruppo di ragazze basche

arrestate da un inquisitore durante i primi anni del Seicento. Mentre attendono il ritorno dei loro padri o compagni dalla pesca vengono radunate e gettate in una cella in attesa di subire il processo di inquisizione. “Akelarre” significa “cerimonia” nella lingua basca. Il gruppo di amiche comunicano tra di loro in basco e il film è un continuo tentativo di evitare la pena, ovviamente ingiusta e basata su accuse sibilline; pena comminata da un Inquisitore subdolo e represso assieme al suo scrivano e a un frate inerme. Lo stratagemma di immedesimazione in strega guidato da una di loro, che si finge colpevole vera per scagionare le altre porterà a una rappresentazione di un sabba fittizio.
Ciò che il regista vuole raccontare è a un primo sguardo una metafora della condizione femminile: basta un’infarinatura di storia della stregoneria per sapere che le donne erano semplicemente delle vittime dei soprusi di un potere inevitabilmente declinato al maschile, in cui superstizione, arbitraria interpretazione della Bibbia e frustrazione sessuale convivevano e giustificavano torture e giustizia sommaria.
Il film è interessante e abbastanza maturo; le protagoniste vivono in una totale alterità, linguistica, di genere e persino anagrafica. Sono giovani, creative, vitali. Ci sono diverse scene che restano impresse, soprattutto il finale, con questo sabba improvvisato in cui elementi casuali, messinscene posticce e una forza libidica che si instaura nel vortice della danza selvaggia lascia sicuramente il segno.

E ho pensato al film del 2015 di Eggers, “The V vitch” il quale ha certamente in comune il discorso del femminile nella stregoneria, quest’ultima come liberazione della giovane protagonista. Il film di Eggers a un primo sguardo appare più maturo del precedente e mette in gioco una serie di elementi simbolici e un clima di fiaba nera, governati da un panorama afflitto da un cielo opaco e perlaceo. Carta vincente del film è la scelta della protagonista: quella Anya Joy Taylor, già vista in “Split” di Shyamalan e soprattutto nella riuscitissima serie Netflix “La regina degli scacchi”. Nonostante l’età la Joy ha una consapevolezza dei suoi mezzi artistici e della sua presenza cinematografica da lasciare stupefatti per un’artista così giovane.
“The V vitch” pare non avere nessun tassello nel posto sbagliato. Fotografia splendida, possibilità di letture molteplici (una mia personale è una rappresentazione della vita di una famiglia che esce dalla Grazia di Dio, supera l’anello di confine e si trova catapultata nel caos). Ma nonostante le encomiabili qualità del film di Eggers, tra cui un finale strepitoso, si ha come l’impressione che i simboli presenti nel film siano messi in maniera didascalica e quasi meno potenti che a una prima impressione.
Il film è stato girato in non molto tempo ma ha alle spalle quattro anni di ricerche storiche su manoscritti antichi. È un film seducente, che forse rinfresca le nostre pupille in un mondo cinematografico horror in cui tutto si mostra troppo e si crede che per spaventare basti la tecnica dello “jump scare” e non la capacità di immergere lo spettatore in un clima ignoto in cui siamo costantemente immersi in una dimensione ambigua e terrorizzante che non si manifesta mai del tutto.

Alla fine tra i due titoli, se sicuramente Eggers esprime una sin troppo matura competenza del mezzo a confronto del più semplice “Sabba”, non è detto che il suo film, pur nella maggior ricchezza di simboli e allusioni e con delle scene di alto livello (vedi la morte del figlio maschio della famiglia, che potrebbe ricordare Dreyer e ha un giovane interprete favoloso) sia sempre più efficace del più diretto e trasparente film di Aguero. Ma son comunque due film che meritano di essere visti; due film che assumono in pieno il discorso del femminile del passato riportato come metafora dei giorni nostri

IL SABBA
(Akelarre-2020, Spagna)
Regia Pablo Aguero
Con: Amaia Aberasturi, Alex Brendemul

THE V VITCH
(id. USA/UK/Canada)
Regia: Robert Eggers
Con Anya Taylor Joy, Ralph Ineson, Katie Dickie

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