Se la Chiesa non è interiormente una, nel suo mistero che la fa vivere di Cristo, e unita, nella sua compagine strutturale e sociale, che la rende mistico e visibile Corpo di Cristo, non è più Chiesa (San Cipriano). Dobbiamo perciò rivolgere lo sguardo dell'anima teso verso Gesù crocifisso, che «amò la Chiesa e diede Se stesso per lei» (Ef. 5, 25).
Negli Atti degli Apostoli, troviamo una preziosa notizia che scolpisce l'aspetto caratteristico, spirituale e sociale, della prima comunità cristiana: «la moltitudine di coloro che erano venuti alla fede, aveva un Cuor solo e un'anima sola» (At. 4, 32).
Cioè ci fanno pensare a un primo aspetto di quell'auspicato rinnovamento, che noi abbiamo chiamato – come fece il grande Paolo VI – «la civiltà dell'amore», e che altro non è se non l'agape, l'amore, la carità animatrice prima del nostro stile di vita.
Ma tutti possono accorgersi che oggi si è diffusa un po' dappertutto la mentalità del protestantesimo, negatrice del bisogno e dell'esistenza legittima d'un'autorità intermedia nel rapporto dell'anima con Dio. «Quanti uomini fra Dio e me!» (Rousseau) esclama la voce famosa d'un epigono di questa mentalità .
E c'è chi parla di religione di autorità e di religione di spirito, per contrapporre l'una all'altra, per identificare nella religione d'autorità il cattolicesimo, e nella religione di spirito le correnti del sentimento religioso liberale e soggettivista del nostro tempo, e per concludere ovviamente che la prima, la religione chiamata d'autorità , non è autentica e che la seconda deve procedere e svolgersi da sé, senza vincoli esteriori, arbitrari e soffocanti.
E così anche i plausibili progressi della cultura moderna, circa la personalità umana, circa la libertà individuale, circa il primato morale della coscienza cospirano spesso a negare la funzione, o a diminuire la competenza, o a mortificare il prestigio dell'autorità religiosa. Oggi, purtroppo, nella Chiesa ambrosiana c'è la tendenza a dissolvere una vera, solida, operante unità ecclesiale, rilevando come uno spirito di disgregazione, di contestazione, di libero pluralismo, di facile critica, di interpretazione personale e spesso polemica rispetto al magistero della Chiesa, autorevole e indispensabile interprete e tutore dei fattori dell'unità ecclesiale, sia penetrato in diverse espressioni della mentalità del corpo mistico, della stessa comunione cattolica.
Un influsso centrifugo del libero esame di provenienza protestante, un concetto di libertà assoluta, isolato da un rispettivo concetto di dovere e di responsabilità , una rassegnata trahison des clercs, cioè un relativismo storico, e un opportunismo sociale e politico spesso di moda, hanno alquanto indebolito il senso dell'unità , della solidarietà , della carità in seno alla Chiesa di Dio, senso stimolato, sì, per fortuna dal movimento ecumenico, ma non ancora e non sempre sufficiente alla riconquista d'una autentica e organica unità , quale voluta da Cristo e animata dallo Spirito Santo. E l'Arcivescovo Angelo Scola vorrebbe ricordare nel suo magistero a quanti si figurano il dogma cattolico, cioè una dottrina religiosa rivelata da Dio e come tale dichiarata dal magistero della Chiesa, quasi fosse una prigione del pensiero teologico o scientifico, ricordare, diciamo, quale sicurezza e quale ampiezza di verità , e quale varietà di espressione, esso, il dogma cattolico, offra allo spirito umano, quale invito alla riflessione e quale gaudio alla mente introdotta nei sentieri della scienza soprannaturale di Dio e dell'uomo. I teologi, umili e sapienti, ben sanno la preziosità di questa superlativa esperienza.
Tanto che a professare questo pluralismo didascalico nell'unità dogmatica della dottrina cristiana i cattolici trovano sempre davanti a sé la formula dei Riformatori antichi e moderni: sola Scriptura, quasi che essi fossero i veri fedeli dell'unità religiosa, e quasi che la sacra Scrittura non derivasse essa stessa dalla Tradizione apostolica (Cfr. Dei Verbum, 7-10), e avulsa dall'insegnamento apostolico non fosse esposta al pericolo, quanto mai reale, d'essere abbandonata all'interpretazione individuale, indefinitamente centrifuga e pluralistica, cioè a quel «libero esame», che ha polverizzato l'unità della fede nell'innumerevole molteplicità di opinioni personali, indarno, o arbitrariamente, contenuta da una «norma regolata», cioè da un'interpretazione obbligante emanata dalla comunità , superata poi anch'essa dall'ispirazione soggettiva, che lo Spirito Santo suggerirebbe all'anima, direttamente.
Così che «la dottrina protestante del libero esame, o dell'unica autorità dello Spirito Santo, quale autentico interprete della Scrittura, apre la via al più radicale soggettivismo filosofico-religioso. Dalla plurisinfonia unificante e celebrante della Pentecoste si dovrebbe retrocedere alla « confusione delle lingue », di cui la Bibbia ci riporta la misteriosa vicenda? (Gen. 11, 1-9) «Senza la fede è impossibile piacere a Dio» (Eb. 11, 6). Forse poche altre parole hanno subito interpretazioni più varie di questa, da quella di sentimento spirituale e generico, ad altra di opinione personale altrettanto imprecisa quanto capziosa.
Oggi poi ogni uso soggettivo sembra diventare legittimo; ognuno si crede autorizzato a sopprimere questa parola dal linguaggio scientifico, mentre, in un senso puramente naturale, essa, la fede, domina ogni insegnamento scolastico e razionale; come tante intelligenze moderne, quando ammettono un discorso comunque spirituale, danno alla parola fede un significato impreciso e accomodante di vago sentimentalismo religioso, nel quale si fa sinonimo di penombra, di dubbio, di inquietudine interiore, quando non sia di tormento e di vana attesa d'una luce altrettanto desiderata nel suo sincero conforto, quanto respinta nelle sue logiche esigenze.
La mentalità protestante, circa il così detto libero esame, riabilita la grande parola «fede» alla statura di convinzione religiosa, ma disancorata da un magistero autorizzato e perenne, quello della nostra 'Chiesa cattolica, che cosa diventa? Diventa un'opinione soggettiva, priva d'autorità superiore, diventa una evasione in un equivoco pluralismo, diventa una fede nominale ed elastica, disponibile a troppi insignificanti adattamenti. Non è più il tesoro divino, per il quale tanti eroi hanno dato la vita; non è più la luce mattinale della vita cristiana, che anticipa qualche bagliore della Verità divina (Cfr. 1 Cor. 13, 12) e che sorregge effettivamente la vita morale e intellettuale. E così via.
La Chiesa ambrosiana – si dice – oggi è intossicata di pseudo-principii, vacui di verità , o pieni di dogmi discutibili e spesso infraumani. Ma la comunione propria della Chiesa cattolica è tale bene che merita promozione e difesa anche nell'interno di essa, davanti ad alcuni fenomeni negativi, oggi purtroppo abbastanza diffusi, come l'equivoco sul pluralismo, non sempre valutato nel suo contenuto positivo, come l'efflorescenza primaverile dei rami d'un medesimo albero, vogliamo dire come la ricerca sempre nuova e l'espressione originale e molteplice della divina Verità del sacro «deposito» della fede (Cfr. 1 Tim. 4, 6-7; 6, 20; 2 Tim. 1, 12-14; etc.); ma pluralismo ritenuto invece come legittimo «libero esame» soggettivo della Parola di Dio e del magistero ecclesiastico.
Così si dica della professione ormai invalsa in alcuni gruppi della critica sistematica alla disciplina ecclesiastica, del dissenso corrosivo ai danni della concordia e della collaborazione fraterna. Non sono queste reazioni a certi limiti e a certi difetti, che pur sono nel campo cattolico, che possono costruire la Chiesa. Non è questo il suo stile; o piuttosto non è questo il disegno che innalza ed abbellisce la Chiesa di Cristo.
Ma saranno piuttosto la bontà , l'amicizia, la concordia, la collaborazione, la solidarietà (Gal 6. 1-3), e quello spirito d'associazione fra fratelli nella fede e nella carità , ch'è oggi venuto purtroppo attenuandosi da un lato, ma in via di risorgere tuttavia dall'altro, a costruire la Chiesa viva, nuova ed autentica nel nostro tempo.
Sant'Agostino, in un suo commento al Salmo 44, che potremmo paragonare alla veste sontuosa della regina biblica afferma: «La veste – si chiede Sant'Agostino – di questa regina (la Chiesa) qual è? È preziosa e varia: i misteri della dottrina in tutte le diverse lingue. V'è una lingua africana, un'altra siriaca, un'altra greca, un'altra ebraica, ed altre ancora: fanno queste lingue il tessuto variopinto della veste di questa regina. Ma siccome tutta la varietà della veste si accorda in unità , così anche tutte le lingue in una sola fede. Vi sia pure varietà nella veste, ma non scissura» (Enarr. in Ps. 44, 24; PL 36, 509). Sul pluralismo teologico. Qui il discorso dev'essere molto più prudente, per le leggi stesse della verità rivelata, dell'interpretazione della Parola di Dio.
Si può sostenere l'inadeguatezza d'ogni parola umana a esprimere la profondità insondabile del contenuto teologico d'una formola dogmatica (cfr. Rm. 11, 33 ); e sostenere la virtuosità interpretativa di una medesima verità dogmatica nell'annuncio cherigmatico, cioè apologetico, catechistico, oratorio, parenetico, e cioè la legittimità delle varie scuole teologiche e spirituali; ma non saremmo fedeli all'univocità della Parola di Dio, al magistero, che ne deriva, della Chiesa, se ci arrogassimo la licenza d'un «libero esame», di un'interpretazione soggettiva, d'una subordinazione della dottrina definita ai criteri delle scienze profane, e tanto meno alla moda dell'opinione pubblica, ai gusti e alle deviazioni (oggi tanto pronunciate) della mentalità speculativa e pratica della letteratura corrente.
Sappiamo quanto sia esigente la Chiesa cattolica su questo punto decisivo dei nostri rapporti con Cristo, con la tradizione, col destino relativo alla nostra salvezza. La fede non è pluralistica. La fede, anche per quanto riguarda l'involucro delle formole che la esprimono, è molto delicata ed esigente; e la Chiesa vigila ed esige che la parola enunciante la fede non ne tradisca la verità sostanziale. Dovremmo farle rimprovero d'essere osservante della lineare esigenza del Vangelo: «Che la vostra parola sia: si, sì, no, no», come dice Gesù (Mt 5, 37; Gc. 5, 12); cioè chiara, diritta, onesta, univoca, senza sottintesi, senza reticenze, senza incoerenze, senza errori? Paolo VI diceva a questo riguardo: “siate aperti a tutta la verità , immensa, ricchissima, sempre capace di approfondimenti e di applicazioni nuove; a quella che lo Spirito Santo Lui stesso c'insegna (Gv 15, 13), e di cui la Chiesa maestra è custode ed interprete autorizzata” (cfr. Gal. 1, 8); e ancora: “siate voi stessi fieri e gelosi e felici dell'unità perenne e feconda della fede in cui solo è verità e salvezza.”
Cristo, Pietro, Chiesa, vengono quasi a sovrapporsi nell' animo del fedele e a formare una sola entità , il «Christus totus», il Cristo integrale di S. Agostino, il quale sembra ripensare la celebre parola del suo maestro, S. Ambrogio: «Ubi Petrus, ibi Ecclesia», dove è Pietro, ivi è la Chiesa. Questo è l'obiettivo pastorale e teologico verso cui lavora il neo Arcivescovo di Milano cardinale Angelo Scola, d'intesa con papa Benedetto XVI, dopo 30 anni di chiesa ambrosiana, simile a un ghetto chiuso, e arbitrario, anticonformista, disobbediente, ambigua, artificiosa, abulica, comoda, formalista, sofista, scettica, dubbiosa e talvolta refrattaria alla logica e alla metafisica.
Una Chiesa sicuramente pluralista, ma spesso in aperto dissenso con Roma. Ecco perchè Scola per una inserzione in Cristo di tutti i fedeli della Diocesi ( a cui lavorerà molto per questo obiettivo) li abiliterà alla carità e alla sequela di Cristo impegnando il seguace della Chiesa di cui egli è Vescovo, se non vuol tradire l'onore del suo titolo, alla fedeltà , al rischio, alla testimonianza (cfr At 11,26; 1 Fil 4,16). Ma, soprattutto il cardinale Scola, agirà , come dice san Paolo ai Galati, con “il frutto dello Spirito” che è “amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà , fedeltà , mitezza, dominio di sé”. (Gal. 5, 22).
Tutto cio' che abbiamo visto attuare solo nei due Arcivescovi emeriti Martini e Tettamanzi. E con questo abbiamo detto tutto e sospendiamo il giudizio, facendo epoché, come gli scettici greci.
Alberto Giannino
(* Presidente Associazione culturale docenti cattolici)
[20 luglio 2011]