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Gli eroi, il pianto, la guerra. Di Andreina Corso

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Le lacrime degli eroi. E di quelli che eroi non sono
Sul saggio di Matteo Nucci ed. Einaudi 2013

Chissà se Putin, gli oligarchi russi privi di pietà, piangono? La loro offesa contro la civiltà, la violenza sui i bambini, le donne stuprate, l’orrore.
I popoli piangono, quello russo e quello ucraino.
Eroi leggendari come quelli narrati da Omero nell’Iliade e nell’Odissea, uomini che hanno combattuto le battaglie più aspre e vinto i nemici più agguerriti, quegli eroi che hanno sfidato gli dei, hanno saputo piangere. Il pianto si rivela come l’espressione di un sentimento naturale nella fierezza e nella rabbia, nella felicità e nella disperazione.
Ettore, Odisseo, Agamennone, Ettore, Menelao, Telemaco, Priamo, Achille, Pericle, Diomede e Patroclo hanno pianto mostrando le loro lacrime, mai si sono vergognati di quella che ai giorni nostri giudichiamo inopportunamente una debolezza, perché il loro essere e sentirsi uomini ha contemplato il pianto, quale emozione alta e degna d’onore.

Il libro di Matteo Nucci si apre ne L’età perduta, con la disperazione di Pericle che piange la morte della sorella e dei figli, colpiti dalla peste. E si dipana nelle stazioni che ha chiamato Nostalgia, Ira, Morte e Rimpianto.
Pericle pianse per la prima volta alla vista del giovane figlio Parolo accasciato a terra, colpito anche lui dall’epidemia: “Pianse con tutta l’energia che aveva in corpo, tutte le lacrime che non aveva pianto per anni e anni di battaglie politiche personali, vittorie, sconfitte, delusione, amari trionfi. E quando smise di piangere, attorno a lui erano rimasti solo i più fedeli”.
Ci spiega così lo scrittore, il cuore, il fulcro dell’origine della sua indagine, quando svela che Pericle per i più non meritava apprezzamento, si era lasciato andare, aveva pianto, si era disperato, non aveva resistito, quel comportamento ‘debole’ non era di un grande uomo, oramai era screditato. A salvarlo, Pericle, fu la sua stessa morte a pochi mesi da quel triste evento.
Nella narrazione, s’inserisce Platone, che a due anni dalla morte di Patroclo, si avvia nell’Ade di Omero, per volontà dell’autore. Qui, a due passi dall’Acropoli , incontra i luoghi che hanno imprigionato Socrate, ‘discendo’ come aveva detto Omero, nelle case dell’Ade. Il libro comincia infatti descrivendo il rapporto di amore e odio ingaggiato da Platone con i capolavori dell’epica, dai quali era affascinato ma che voleva espellere dalla polis ideale perché inadeguati all’educazione dei cittadini.

È ciò che fa anche Matteo Nucci, calandosi fisicamente nella geografia dei luoghi, prima ancora che nelle parole di quegli uomini che ci hanno trasmesso modelli di pensiero e comportamento. I suoi piedi toccano e i suoi occhi ritrovano il Ceramico di Atene, dove Pericle proruppe in pianto davanti al cadavere del figlio Paralo; davanti alla porta dei Leoni, a Micene, sulla soglia di una città che contiene già tutta la tragedia degli Atridi; nella stradina in discesa che dalla Pnice porta al Pireo, percorsa da Socrate e Glaucone all’inizio della Repubblica, e chissà quante volte da Platone, dopo la morte dell’amato maestro; sotto le mura di Troia dove si svolsero i duelli mortali fra Ettore, Patroclo, Achille.
I luoghi fanno le storie e i luoghi sono depositi di memoria di cui si nutrono le storie. Il pianto occupava un enorme spazio nel mondo omerico, essendo legato alla memoria, alla percezione della finitezza umana e alla definizione dell’identità umana.

Ulisse non piange per le pene che gli vengono comminate dagli dei, funestando il suo rientro a Itaca di immani tribolazioni. Non piange quando le situazioni di pericolo irrompono sulla scena, egli avverte al contrario la necessità di escogitare qualche stratagemma che possa consentirgli di mettersi in salvo e di riprendere la via del ritorno.
Le lacrime, tuttavia, prendono il sopravvento sulla sua leggendaria astuzia nel momento della perdita dei compagni di viaggio, per gli amici che ritrova nel regno dei morti, o per la rabbia verso coloro che tradiscono la sua fiducia. Calde lacrime di nostalgia per la moglie e il figlio lontani gli solcano spesso il volto durante il viaggio, così come accade a Telemaco mentre apprende le eroiche gesta del padre dal racconto di Menelao nella reggia di Argo. Ma se il sentimento della nostalgia e l’ansia del ritorno a lungo incrinano la voce di Ulisse, non sono pochi neppure gli eroi che piangono senza risparmio e senza pudore anche nei versi dell’Iliade, a partire dallo stesso Achille.
Gli eroi omerici sono spietati, vincere e prevaricare il nemico, duellare, sembra essere lo scopo della loro esistenza che trova soddisfazione nella battaglia, nelle corse furibonde per la pianura sui carri da guerra.
Però la vita non è solo battaglia, l’uomo di ogni tempo e di ogni dove è emotivamente fragile e più egli è valoroso, più riesce a manifestare il dolore attraverso un lacrimare consapevole e inconsolabile.

Il saggio di Matteo Nucci analizza per la prima volta il pianto degli eroi greci; la letteratura si è occupata del pianto della donna nella Grecia dell’epoca arcaica e classica (abbandono, nostalgia, dolore per l’assenza dei loro uomini e per i figli che crescevano senza un padre) e questo testo ci offre uno spaccato di grande interesse proprio perché ha analizzato le diverse cause di pianto cui si abbandonano gli eroi omerici
Quando compare per la prima volta nel poema che da lui prende il nome, Odisseo è in lacrime. A Ogigia, prigioniero della bellissima Calipso che, di lui innamorata, gli ha promesso l’immortalità, l’eroe non può fare a meno di ricordare la patria lontana, e si profonde in un pianto incessante.
Nell’Odissea, le lacrime – versate o trattenute – svolgono la funzione di segnale narrativo fondamentale, presente in tutti gli snodi della trama: nella Telemachia, al momento dello svelamento dell’identità di Odisseo presso i Feaci, in quello del ritorno a Itaca. Odisseo, l’uomo dell’astuzia e del ricordo, è anche l’uomo che sa quando resistere alle lacrime e quando invece poter dare libero sfogo alle emozioni. Anche nell’Iliade, il poema della forza e dell’ira che in realtà per i Greci era molto di più – trattato di psicologia, manuale di guerra e di comportamento, impagabile meditazione sulla sofferenza e la morte – le lacrime svolgono un ruolo altrettanto decisivo, segnalando la tragedia della perdita (le lacrime di Achille per Patroclo, quelle dei cavalli immortali di Achille per il loro padrone), ma anche la possibilità della rinascita alla vita.
Spesso Odisseo fa scorrere le lacrime, egli – scrive Nucci – “è l’uomo che guarda solo al mare, mescolando il liquido delle sue lacrime al liquido del mare immenso, preparando la sua intelligenza liquida e fluida, corroborando la sua memoria liquida e fluida”. È lui che stabilisce il canone della conoscenza attraverso la sofferenza e la conoscenza, gli renderà possibile il ritorno a Itaca.
Le lacrime, per i Greci assimilabili al fluido cerebro-spinale e quindi al liquido vitale, avevano insomma nel mondo arcaico piena dignità per l’eroe, e sarà solo la pedagogia platonica a censurarle, avvertendone l’insostenibilità per un uomo ormai distante dal modello omerico.
 
Potremmo chiederci: siamo disposti a concedere altrettante manifestazioni di emotività ai nostri eroi di oggi, e a noi stessi? Tutti noi cresciuti nel divieto o nella riprovazione delle lacrime, specie se pubbliche, specie se piante da un uomo?
Questo divieto, che tanto ci separa dal mondo di Omero, è indissolubile dalla negazione e rimozione della morte che la società dei consumi e dell’edonismo ed è la ragione per cui andiamo ai funerali con gli occhiali scuri e ci vietiamo le lacrime, a volte perfino con gli amici. Eppure non è cosa di oggi.
Platone in cuor suo, scrive Nucci “ si univa alle lacrime congiunte di Priamo e Achille, nemici stretti da un abbraccio di mortalità che comprende il figlio Ettore e l’amico Patroclo non meno che loro stessi, nel XXIV libro dell’Iliade”, nella realtà del suo tempo il filosofo riteneva che per educare uomini adatti al governo quelle effusioni fossero da bandire.
A quanto argomenta Nucci, si può aggiungere che Platone avvertì il pericolo che le lacrime incrinassero il dominio razionale su quella sfera tanto problematica che era per lui il corpo, ed ebbe consapevolezza che il pianto come gesto sociale, al pari del riso, fosse un potentissimo elemento normativo.

Ci sono lacrime e lacrime. Nel saggio incontriamo figure imponenti del mito classico che, tra singhiozzi e dolore, portano avanti la loro missione interiore. Sono, le loro, lacrime esemplari. Appaiono fragili e ripiegati su sè stessi ma il lettore sa che non lo sono: solo i veri eroi possono abbandonarsi all’emozione del cuore. Solo loro possono “scegliere” quando e in presenza di chi farlo.
Il riconoscimento di Odisseo e dei suoi cari è segnato dalle lacrime: con Telemaco “Il padre tuo sono, per cui singhiozzando soffri tanti dolori per le violenze dei principi. Così dicendo baciò il figlio e per le guance il pianto a terra scorreva); con il cane Argo (“Là giaceva il cane Argo, pieno di zecche. E allora, come sentì vicino Odisseo, mosse la coda, abbassò le due orecchie, ma non poté correre incontro al padrone. E il padrone, voltandosi, si terse una lacrima”);con Penelope (“così parlò, e a lei di colpo si sciolsero le ginocchia e il cuore, perché conobbe il segno sicuro che Odisseo le diceva; e piangendo corse a lui, dritta, le braccia gettò intorno al collo a Odisseo, gli baciò il capo” e “a lui venne più grande la voglia di pianto”). Lacrime che si contrappongono al riso scomposto e isterico dei Proci: “Ridevano allora di un riso involontario, inconsulto, mangiavano carni insanguinate; ma i loro occhi erano pieni di lacrime, l’animo pianto voleva”.

Altre lacrime, quelle di Achille che apprende della morte di Patroclo, sono liberatorie del furore mortifero che ha impedito all’eroe di combattere accanto ai suoi compagni. Sono lacrime che sciolgono la “notte oscura” dell’anima: “Una nube di strazio, nera, l’avvolse: con tutte e due le mani prendendo la cenere arsa se la versò sulla testa, insudiciò il volto bello; la cenere nera sporcò la tunica nettarea, e poi nella polvere, grande, per gran tratto disteso, giacque, e sfigurava con le mani i capelli, strappandoli. Le schiave, che Achille e Patroclo si erano conquistati, straziate in cuore, ulularono, corsero fuori, intorno ad Achille, cuore ardente; e con le mani tutte battevano il petto, a tutte, sotto, le gambe si sciolsero. Antiloco gemeva dall’altra parte, versando lacrime, tenendo le mani d’Achille che singhiozzava nel petto glorioso: aveva paura che si tagliasse la gola col ferro”.

Matteo Nucci accompagnandoci tra scene di pianto e di commozione ravvisa un nucleo tematico fondamentale per comprendere l’Iliade è dove si contrappone il destino degli immortali a quello tragico a caduco dell’uomo destinato a perire: è la scena in cui piangono i cavalli immortali di Achille, assistendo alla morte del loro auriga Patroclo: “Così restavano immobili, col carro bellissimo, in terra appoggiando le teste; e lacrime calde cadevano giù dalle palpebre, scorrevano in terra…”.
Ma il vero pianto catartico è quello di Achille e Priamo, l’anziano re che si reca nella tenda dell’eroe per chiedere che gli venga restituito il corpo del figlio Ettore: “Immersi entrambi nel ricordo, l’uno per Ettore massacratore piangeva a dirotto prostrato ai piedi di Achille, mentre Achille piangeva suo padre, ma a tratti anche Patroclo: il loro lamento echeggiava per la casa”. Qui, più che in ogni altra pagina del poema, non ci sono più buoni e cattivi, ma soltanto uomini che soffrono.
Quando Omero si perde nel passato ai suoi eroi che si strappano i capelli ed esplodono nell’ira e nel pianto si sostituisce, spiega Nucci, l’uomo ordinato e proporzionato, perfetto, il kouros del VII sec. A.C. al limite tra l’umano e il divino, destinato all’iniziazione. Ma “non c’è più vita vera, qui. Non c’è più la realtà, il dolore, la sofferenza che portano a conoscere. C’è un sorriso di meraviglia, ormai. O una smorfia attonita. E nulla più. L’epoca degli eroi, degli uomini che sapevano piangere, uomini tanto consapevoli della loro umanità che non potevano vergognarsi delle proprie lacrime, quell’epoca è finita per sempre”.

La vita, la morte, la nostalgia, il rimpianto per l’età perduta, l’ira, la superbia, il pentimento, sono sentimenti che appartengono al pianto, allo scorrere e mostrare il volto dell’anima. Il guerriero, il filosofo, il poeta, l’eroe, piangono di lacrime vere il mondo cui sono stati assegnati. L’uomo di oggi ne ha raccolto l’eredità ma dubbia è la consapevolezza del significato del nostro piangere ai giorni nostri e a quelli a venire.
Chissà se quegli uomini russi che stuprano le donne e i bambini, che sono peggiori delle armi, chissà se sono uomini? Chissà se piangono come gli eroi greci. Per ora sono una disgrazia di nome uomo: maschile singolare o plurale, sono maschi feroci indegni di dirsi uomini. Uomini al comando che ne comandano altri. Eppure Papa Francesco ci ha detto che in ogni uomo c’è una parte buona, Attendiamo fiduciosi, nonostante tutto.

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4 persone hanno commentato. La discussione è aperta...

  1. Mi inserisco nelle riflessioni dei nostri gentili lettori, con questa notizia, risalente a un anno fa.
    Un eurodeputato irlandese accusa la belligeranza degli Stati Uniti, denominando gli USA come quel che ha effettuato il maggior numero di attentati al mondo negli ultimi 20 anni.
    “Per troppo tempo i media mainstream si sono rifiutati di dire la verità sulle guerre americane, agendo come uno strumento di propaganda per il suo spietato imperialismo”, ha scritto Mick Wallace, un membro del Parlamento europeo (EP), in una serie di messaggi pubblicati su Twitter ..
    Wallace ha aggiunto che negli ultimi due decenni gli Stati Uniti, rispetto ad altri paesi del mondo, “hanno lanciato più attacchi aerei su altre nazioni, hanno armato gruppi terroristici e hanno allontanato decine di migliaia di persone dalle loro case “, in riferimento ai bombardamenti lanciati su Iraq, Siria e Afghanistan, tra gli altri luoghi.
    Dopo quest’ultima annotazione, il legislatore ha chiesto la fine della politica egemonica degli Stati Uniti, che con la sua promozione in tutto il mondo per soddisfare i suoi desideri imperialisti, ha causato infiniti drammi umani in tutto il pianeta con la perdita della vita di milioni di persone . “Vogliamo la pace e non la guerra”, ha sottolineato.
    Ci dovrebbe consolare questa riflessione?Al tempo della guerra del Golfo, all’inizio degli anni Novanta, non pochi osservatori si chiedevano se ci si trovasse di fronte al primo grande conflitto del dopo guerra fredda o, invece, all’epilogo concitato di quell’era contraddittoria di tensioni e distensioni – la lunga pace armata – che aveva caratterizzato l’ordine bipolare nella seconda metà del XX secolo. Ormai addentro nel primo decennio del XXI secolo, la guerra di lunga durata (o meglio lo Stato di belligeranza a largo spettro) che coinvolge la potenza principale, gli USA, e il fronte composito del fondamentalismo in armi, degli Stati fuorilegge e dei santuari del terrorismo globale (Afghanistan, Iraq, etc.), ripropone l’interrogativo se si sia aperta, – e quando – una nuova epoca dei conflitti nelle relazioni internazionali..Ci dovrebbe consolare che la premonizione si sia avverata? L’e guerre nel mondo in corso sono 59 e l’invasione russa dell’Ucraina è solo l’ultimo di un lungo elenco di conflitti. Dall’Afghanistan, alla Libia, al Myanmar, alla Palestina, alla Nigeria, sono molte le popolazioni del mondo per cui il conflitto è la tragica normalità. Ci dovrebbe consolare un sommario “mal comune mezzo gaudio?”. No, non consola, è volgare. La morte sempre offende e grave è la nostra cecità. Abbiamo in cuore e nella mente abbastanza capacità d’indignazione nei confronti della guerra, la guerra vera, non solo quella del nostro immaginario. La graduatoria di chi è più spietato, non mi appassiona. Occorre, io credo, anche se sono nessuno e poco conta il mio pensiero, rivolgere la nostra attenzione ai popoli di ogni dove che le guerre le subiscono e che sono le vittime della spietatezza dell’uomo.
    Grazie, so che non accontenterò i lettori, ma vi offro questi pensieri, sperando che oggi non giungano ancora immagini di persone ucraine massacrate dal potere feroce di Putin.

  2. Stimata dottoressa, ho sempre apprezzato quanto da lei scritto così come questo giornale, ma mi sorprende che anche lei sia pienamente allineata a un pensiero Che non risponde a verità ma è frutto di una incredibile propaganda mediatica occidentale. Forse Biden, Johnson, Schulz, Draghi, Macron sanno piangere?Sanno piangere per i morti, i massacri, gli stupri, le torture, le uccisioni di donne e bambini Della ex Jugoslavia, dell’Afghanistan, della Libia,della Siria, o dell’Iraq? L’Europa e l’Italia hanno forse mandato armi e mezzi militari per difendere gli iracheni, i serbi, gli afghani, eccetera, dall’aggressione americana, mai autorizzata dall’ONU e quindi ingiustificabile?No?Hanno preferito mandare aerei militari, partiti anche dalle basi nato in Italia, a bombardare quei paesi assieme agli anglo americani? Mi pare proprio sia così o sbaglio? E come mai? Non sono contro le aggressioni ai paesi sovrani? Non solo per la pace e la democrazia? Non sono contro le violenze su donne e bambini, come dicono sempre in merito all’Ucraina? Forse davvero ci sono vittime, bambini, donne, massacri, genocidi di serie A e di serie B…! Le chiederei una cortesia, per completezza giornalistica: potrebbe gentilmente scrivere Almeno una decina di articoli e intervistare almeno un paio di persone sul Taciuto genocidio e crimini contro l’umanità messi in atto, con l’appoggio dell’Occidente, nel Don Bass? Attendo fiducioso e grazie.la saluto con stima

  3. Purtroppo Signora Andreina vi sono morti di serie A e morti di serie B ….pochi al mondo sanno che cosa hanno subito gli abitanti delle ” repubbliche” del Donbass per otto lunghi anni …uomini , donne e bambini …fosse comuni esecuzioni ….per fortuna alcuni giornalisti erano li e alcuni come Andrea Rocchelli ci hanno rimesso la vita l’OCSE ha documentato tutto ….ma servirà a far avere ai loro cari un minimo di pietà umana ? Non lo credo oggi tutti i media sono puntati sugli ancora presunti crimini di Putin ( che assolutamente NON doveva invadere l’Ucraina ) e su queste altre povere vittime colpevoli solamente di essersi trovati nel mezzo di un risiko mondiale con gli Usa pronti a mettere la loro bandiera sul territorio Ucraino ….. Dovremmo piangere per tutte le vittime ….non solo per quelle che qualcuno decide per proprio comodo di farne venire a conoscenza …..Questo non dovrebbe essere più il secolo degli eroi ,dei combattenti impavidi e delle vittime innocenti ….dovrebbe essere il secolo dell’innovazione , della giustizia giusta e dei leader pacifici che pensano solo al benessere della gente …e non al benessere dei fabbricanti d’armi…

    • Premesso che la Russia in realtà non aveva scelta se non Attaccare l’Ucraina (Ovvero In realtà Attaccare la Nato e l’America che da anni avevano ammassato una quantità allucinante di armi nel Don Bass Ucraina Per sferrare il colpo decisivo per eliminare quello che consideravano il nemico numero uno ovvero la Russia) per mettere fine a massacri torture donne e bambini uccisi nel Don Bass da parte di nazisti dell’esercito ucraino, persino addestrati in Canada(Che vergogna! Inenarrabile), Concordo pienamente con il suo commento e la ringrazio per aver dato voce a quella verità che ormai nei media occidentali non si trova più!(Altrimenti si fa la fine di Assange, di cui nessuno più parla…!)

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