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FORSE, NON SO. di Daniele Rondinelli [concorso letterario]

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Concorso Letterario de “La Voce di Venezia”. Prima edizione: “Racconti in Quarantena”

Quando gli effetti del coronavirus entrarono con prepotenza e senza indulgenza nelle nostre vite, l’inverno, il primo degli anni Venti, aveva già le valige sulla porta. Le ombre erano ancora terse ma al sole l’aria scottava. Era tutto pronto per la nuova collezione primavera/estate e la fioritura, come la movida, stavano per “sbocciare” quando d’improvviso il detto dopo… potrebbe essere troppo tardi divenne un modo di dire inadeguato e i comportamenti conseguenti proibiti.

Si aprì una parentesi storica in cui l’umanità si ritrovò a vivere il domani che assomigliava a ieri e poi ancora a un altro oggi. Ci dissero che eravamo nella globalità, quella vera, ovvero la pandemia, una cosa che, per capirla, necessitava di esperti riuniti in comitati tecnico scientifici.

È una semplice influenza, magari un po’ più aggressiva. È una guerra! Non può essere assolutamente paragonata a una guerra…

Di fatto ci obbligarono a vivere isolati nonostante da sempre per esistere avessimo avuto la necessità di riunirci. Il Super Ordine Mondiale della Sanità lo chiamò distanziamento sociale e lo indicò come l’unico espediente in grado di rallentare la diffusione del virus. Oltre ai contagi proliferarono le zone rosse, i DPCM e gli #. Il vento del cambiamento divenne un turbinio di novità che celava un imperativo: fate domani quello che potreste fare oggi!

A quel punto sui piatti della bilancia salirono da un lato: progetti creativi e nuove idee smart, sull’altro: cupe preoccupazioni e fragilità analogiche. Fu un periodo dentro al quale pure l’ansia, vicina a terminare le scorte, auspicò la chiusura della parentesi.

La velocità di trasmissione obbligò ad assumere comportamenti che di umano avevano poco o nulla e costrinse le comunità a farlo in tutta fretta ribaltando tra gli altri due paradigmi fondamentali: lo spazio e il tempo.

Le forze dell’ordine vennero schierate sulle strade e mentre il virus mutava, mutò anche la percezione del passare delle ore e dei giorni. Apparvero lenti e noiosi e intanto lo spazio d’improvviso si ridusse frammentandosi in piccolissime isole di un metro quadro i cui confini erano richiusi intorno a noi. Fummo costretti a vivere come numeri primi mentre chi decideva, i numeri, li strumentalizzava per supportare e difendere le proprie scelte. Alcuni morirono senza nemmeno un ultimo saluto, altri, i più fortunati, s’inventarono nuovi modi per “ammazzare” il tempo.

In realtà non fu così per tutti perché privati della socialità alcune professioni divennero frenetiche e creative mentre altre aspettavano che la luce sfumasse nel buio private dei rumori dell’abitudine, senza il rassicurante disordine, senza gli adrenalinici squilli dei telefoni e le loro giornate passarono in moratoria, nell’attesa di…

Emersero lati, chi scopriva, chi si riscopriva e chi si nascondeva. Si festeggiarono i compleanni sulle piattaforme, si moltiplicarono le lezioni online, i webinar e le degustazioni virtuali. Nacquero improvvisati flash mob dove alcuni si riconobbero nel messaggio di speranza andrà tutto bene mentre si sviluppavano nuove dipendenze: gli aggiornamenti dei bollettini, le pulizie domestiche, le serie TV e le rassicurazioni delle massime cariche istituzionali che continuavano a sostenere che era tutto sotto controllo, anche quando la progressione, dichiarata da loro stessi, li contraddiceva.

La sanità sfiorò il collasso e contò i morti mentre l’economia temeva d’esser colpita dall’altra epidemia, quella dell’insolvenza e della decrescita infelice.

La parentesi finalmente sembrò chiudersi e il mondo riaprirsi, ma al tatto ancora non fu permesso ritornare ad abbracciare gli altri quattro sensi. Mentre le temperature estive salivano si sperava che nella medesima stagione in cui tutto aveva avuto inizio, il virus scomparisse allo stesso modo di come era apparso, anche a costo di non averci capito nulla, purché qualcuno si assumesse la responsabilità di dire: è finita! Ci giurerei sarebbe bastato.

Questo non volle dire che non si cercarono delle spiegazioni, anzi lo si fece a ogni livello. Il mondo scientifico, quello religioso, il filosofico e persino l’occulto si posero domande a cui al momento non riuscivano a rispondere.

Sembrò che il tempo e lo spazio lentamente si fossero riequilibrati ed essendo privi di stupidità umana lanciarono un monito utilizzando una frase tratta dal film “Ogni maledetta domenica” dove un caratterizzato Al Pacino ammoniva: O vinceremo come collettivo o perderemo come singoli individui.

Pur afferrando e condividendo il concetto mi venne da pensare, forse.

Il dubbio si era diffuso in me.

Immaginai e sperai che ognuno di noi avesse tratto degli insegnamenti ma assistevo incredulo a cose che nutrivano quel dubbio. Sostenevo da sempre che la fortuna era una virtù e consideravo quindi virtuose le persone che dopo quello che era accaduto erano riuscite a dare un senso ai cambiamenti.

I cambiamenti… ovvero processi a cui spesso ci opponiamo e per i quali necessitiamo di tempo e di forti motivazioni o interessi. In altre parole, trovare gli stimoli per modificare le nostre abitudini anche perché capita sovente siano proprio le abitudini a fare per nostro conto.

Non sarà stata una guerra ma che abbiamo combattuto penso si possa dire. Dopo mesi di trincea, per restare in tema, finalmente siamo scivolati fuori dai nostri divani e siamo ritornati a camminare eretti fuori di casa e senza la necessità di compilare alcuna autocertificazione. Tutto ciò è accaduto non perché abbiamo sconfitto il cattivo ma grazie a una formula: R con zero. Un sospiro di sollievo, una tregua. Breve, brevissima, ora ci si deve occupare delle sacrosante e fondamentali esigenze socioeconomiche accantonate da troppo tempo.

Una delle raccomandazioni fatte col cuore in mano durante l’emergenza fu non vanifichiamo gli sforzi fatti fino a qui. Quella frase evocava per alcuni il presente ma per altri un passato remoto.

Emergenza sanitaria o economica?

Una guerra nella guerra: R con zero versus P.I.L.

Ci furono morti da entrambe le parti. Il fatto curioso fu che i contendenti erano la rappresentazione di due facce della stessa medaglia.

I morti sono morti.

Sperando di aver superato il punto di svolta ovvero aver oltrepassato il momento in cui la narrazione esce dalle nebbie, ci si avvia al finale e s’inizia a capire la storia.

Capire la storia…

È una domanda ricorrente: cosa ho capito da questa storia?

Mi rispondo che capire, se poi non vi faccio seguire un’azione non basta e non cambia le cose.

È il fare la chiave per cambiare, non il capire. Forse. Non so.

Anche perché fare cosa?

Stare distanti un metro? Meglio due. Congiunti sì? Congiunti no! Gli asintomatici contagiano? Ma che domande fai? Nelle discoteche i ragazzi ballano. Ci vorrebbe Mussolini! Gli asintomatici non contagiano. Balle… negli ospedali si è sviluppata una nuova patologia: l’insofferenza rissosa ed è contagiosissima. I guanti sono essenziali! Soffro con questa mascherina. Ho caldo. E la cassa integrazione quando arriva? Non dimenticare la mascherina! Questa è una dittatura! Lo sapevi che si può essere debolmente positivi? Non ci credo. I guanti sono portatori di virus. Ma come!? Non respiro. Ah sì eh? Avrò diritto anch’io a un bonus, voglio dire… Mi raccomando, non starnutire.

Sì l’ammetto sono disorientato e anche un pochino perplesso e penso di non essere il solo, però in ultima ratio, posso dire con orgoglio di aver imparato delle cose:

Ho imparato che il silenzio non è innaturale, al contrario, è naturale.

Ho imparato che una mia vicina di casa si chiama Maddalena e da ragazzi vivevamo nello stesso paese.

Ho imparato il contenuto dei DPCM senza leggerne una riga perché avendo orecchie per sentire ho ascoltato una signora che sul balcone faceva lunghe telefonate ai suoi parenti per spiegarne i contenuti.

Ho imparato che le persone hanno paura di morire e s’illudono di controllare la morte, nonostante sappiano sia l’unica certezza della loro vita.

Ho imparato che se trasmetti paura puoi controllare gli uomini e le donne.

Ho imparato che i debiti sommati ad altri debiti non salveranno le nostre aziende.

Ho imparato che l’incoerenza abbassa le difese immunitarie e crea sfiducia in sé stessi, negli altri e nelle istituzioni.

Ho imparato che mi devo lavare spesso le mani e bene.

Ho imparato che siamo meravigliosamente ironici.

Ho imparato.

Forse. Non so.

 

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