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Chi è Messina Denaro

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Arrestato Messina Denaro, ultimo boss di ‘Cosa Nostra’, super-latitante da anni. Ma chi è Messina Denaro e, soprattutto, cosa ha fatto per provocare tutta questa notorietà?

Messina Denaro è stato arrestato dopo 30 anni di latitanza. Era l’ultimo vero, grosso, boss della mafia. Già condannato all’ergastolo per decine di omicidi tra i quali quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, oltre che per le stragi del ’92, costate la vita ai giudici Falcone e Borsellino, e per gli attentati del ’93 a Milano, Firenze e Roma.

MESSINA DENARO: CHI E’, COSA E’ STATO


“Con le persone che ho ammazzato io potrei fare un cimitero”.
In queste poche parole c’è il ritratto di un boss sanguinario, determinato, senza scrupoli.
E’ lui che, attraverso decine di ‘pizzini’, sequestrati dagli investigatori, impartiva ordini ai suoi fedelissimi, scrivendo agli altri capi di Cosa Nostra, come Bernardo Provenzano, come si dovevano stabilire i nuovi assetti dell’organizzazione o pianificare omicidi e vendette.

Definito l’ultima “primula rossa” di Cosa Nostra, ha 60 anni.
Era letteralmente sparito subito dopo la cattura di Totò Riina, avvenuta proprio trent’anni fa. E mentre la polizia scientifica si incaricava di aggiornare, invecchiandola digitalmente, l’immagine giovanile del boss, gestiva un potere infinito ma viveva come un fantasma, anche se la sua invisibilità non gli ha impedito di diventare padre due volte.

Attento a gestire la sua latitanza, e a proteggerla con una schiera di fiancheggiatori, uno dei boss più ricercati del mondo ha lasciato di sé solo l’immagine di un implacabile playboy con i Ray Ban, le camicie griffate e un elegante casual. E dietro questa immagine ormai scolorita una scia di leggende: grande conquistatore di cuori femminili, patito delle Porsche e dei Rolex d’oro, maniaco dei videogiochi, appassionato consumatore di fumetti. Di uno soprattutto: Diabolik, da cui ha preso in prestito il soprannome insieme a quello con il quale lo chiamavano i suoi fedelissimi. Un altro ancora glielo hanno affibbiato i suoi biografi “‘U siccu”: testa dell’acqua, cioè fonte inesauribile di un fiume sotterraneo.

Anche nei soprannomi Matteo Messina Denaro impersonava il doppio volto di un capo capace di coniugare la dimensione tradizionale e familiare della mafia con la sua versione più moderna. Il padrino di Castelvetrano si è sempre mosso tra ferocia criminale e pragmatismo politico. Per questo è stato considerato l’erede di Bernardo Provenzano ma soprattutto del padre don Ciccio altro boss della nomenclatura tradizionale morto da latitante nel 1998. Quando il vecchio patriarca scomparve, del giovane Matteo si erano perse le tracce già da cinque anni, nel 1993, prima ancora che fosse coinvolto nelle indagini sulle stragi di quegli anni. E da allora Diabolik era sempre riuscito, a volte con fortunose acrobazie degne dell’imprendibile personaggio del fumetto, a sfuggire ai blitz. Su di lui era stata posta una taglia da un milione e mezzo, ma per fargli attorno terra bruciata gli investigatori hanno stretto in una tenaglia micidiale la rete dei fiancheggiatori.

Matteo Messina Denaro sguardo
Matteo Messina Denaro, sguardo

Il “fantasma” di Messina Denaro era inseguito da una montagna di mandati di cattura e di condanne all’ergastolo per associazione mafiosa, omicidi, attentati, detenzione e trasporto di esplosivo. Nei più gravi fatti criminali degli ultimi trent’anni, a cominciare dalle stragi del ’92 in cui furono uccisi Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, è stata riconosciuta la sua mano. Lui stesso, del resto, si vantava di avere “ucciso tante persone da riempire un cimitero”. Ma se la fama di uomo spietato gli viene riconosciuta qualche dubbio si è insinuato sulla sua reale capacità di ricostruire, dopo gli arresti di Totò Riina e di Bernardo Provenzano, la struttura unitaria di Cosa nostra intaccata dagli arresti e da un processo di frammentazione. Un boss che ha traghettato Cosa Nostra nel secondo millennio, senza però riuscire ad evitare di fare la stessa fine dei vecchi padrini.

MATTEO MESSINA DENARO, LA STORIA


Matteo Messina Denaro, in arte Diabolik, soprattutto “per via, raccontano i pentiti, di quei due mitra che voleva sistemare sul frontale della sua Alfa 164”, comincia a farsi conoscere nel 1989, quando figlio dell’allora più celebre padre, don Ciccio, boss di Castelvetrano, incassa la prima denuncia per associazione mafiosa. Già da allora conosciuto in ambienti investigativi, non gode ancora di “fama” pubblica, ma ha preso in mano il mandamento su delega del padre-padrino ammalato che lo avvia alla successione.

Enfant prodige del crimine, destinato per legami di sangue ad assumere un ruolo in Cosa nostra, ha sempre amato sparare. A 14 anni sa maneggiare le armi, a 18 commette il primo omicidio. In linea con la strategia stragista dei corleonesi, dei quali, come suo padre, resterà sempre fedele alleato, è coinvolto nelle stragi del ’92 in cui persero la vita i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Un ruolo, quello di Messina Denaro emerso solo nel, quando la Procura di Caltanissetta, che ha riaperto le indagini sugli attentati, ha chiesto la custodia cautelare per il boss di Castelvetrano e a ottobre del 2020 lo ha fatto condannare all’ergastolo per i due attentati.

Secondo gli investigatori sarebbe stato presente al summit voluto da Riina, nell’ottobre del 1991, in cui fu deciso il piano di morte che aveva come obiettivi i due magistrati. I pentiti raccontano, poi, che faceva parte del commando che avrebbe dovuto eliminare Falcone a Roma, tanto da aver preso parte ai pedinamenti e ai sopralluoghi organizzati per l’attentato. Da Palermo, però, arrivò lo stop di Riina. E Falcone venne ucciso qualche mese dopo a Capaci. Un ruolo importante “Diabolik” lo ha avuto anche nelle stragi del 1993 a Roma, Firenze e Milano. Imputato e processato è stato condannato all’ergastolo per le bombe nel Continente.

La sua latitanza comincia a giugno del 1993. In una lettera inquietante scritta alla fidanzata dell’epoca, Angela, preannuncia l’inizio della vita da Primula Rossa. “Sentirai parlare di me- le scrive facendo intendere di essere a conoscenza che di lì a poco il suo nome sarebbe stato associato a gravi fatti di sangue – mi dipingeranno come un diavolo, ma sono tutte falsità”. Il padrino trapanese nella sua carriera criminale ha collezionato decine di ergastoli. Oltre a quelli per le bombe del Continente, ha avuto il carcere a vita per il sequestro e l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito rapito da un commando di Cosa nostra, strangolato e sciolto nell’acido nel 1996 dopo quasi due anni di prigionia.

Riconosciuto colpevole di associazione mafiosa a partire dal 1989, l’ultima condanna per mafia è a 30 anni di reclusione in continuazione con le precedenti. Il tribunale di Marsala per la prima volta gli ha riconosciuto la qualifica di capo nel 2012. E una pioggia di ergastoli il boss li ha avuti anche nei processi Omega e Arca che hanno fatto luce su una serie di omicidi di mafia commessi tra Alcamo, Marsala e Castellammare tra il 1989 e il 1992.

Matteo Messina Denaro immagini a confronto
Matteo Messina Denaro immagini a confronto

MATTEO MESSINA DENARO OGGI: RINNOVABILI, EDILIZIA, TURISMO E GRANDE DISTRIBUZIONE


Soldi; tantissimi soldi: quantificare il tesoro di Matteo Messina Denaro è difficile anche per gli investigatori. Ma una stima, per difetto, dei guadagni di una vita di traffici di droga, estorsioni, riciclaggio nei settori più disparati si può azzardare sulla base di quel che lo Stato, negli anni, è riuscito a sottrarre al padrino di Castelvetrano e ai suoi prestanome. Si parla di quasi 4 miliardi di euro. Una parte della fortuna è stata accumulata con investimenti nelle rinnovabili, in particolare l’eolico, settore “curato” per il boss dall’imprenditore trapanese Vito Nicastri, l’ex elettricista di Alcamo e pioniere del green in Sicilia, che per anni avrebbe tenuto le chiavi della cassaforte del capomafia.

Poi c’è l’edilizia e la grande distribuzione, attraverso la ‘6 Gdo’ di Giuseppe Grigoli, il salumiere diventato in poco tempo il re dei Despar nell’isola al quale furono sequestrati beni – di proprietà del boss secondo i magistrati – per 700 milioni.

E il turismo: ci sarebbero stati i soldi del capomafia, secondo i pm, nell’ex Valtur, un colosso del valore di miliardi di proprietà di Carmelo Patti, l’ex muratore di Castelvetrano divenuto capitano d’azienda che, come Al Capone, finì nei guai per un’accusa di evasione fiscale. Nel 2018 il tribunale di Trapani gli sequestrò beni per 1,5 miliardi, un delle misure patrimoniali più ingenti mai eseguite, disse la Dia. I sigilli vennero messi a resort, beni della vecchia Valtur, una barca di 21 metri, un campo da golf, terreni, 232 proprietà immobiliari e 25 società.

Sempre per restare nel turismo l’ombra di Matteo, raccontano le inchieste, si allungherebbe anche dietro al patrimonio di Giovanni Savalle, per anni un signor nessuno con piccoli precedenti per reati fallimentari, ragioniere iscritto all’albo dei commercialisti divenuto proprietario del resort Kempisnky di Mazara del Vallo. La Finanza gli sequestrò 60 milioni. A parlare dei rapporti tra Savalle e il capomafia di Castelvetrano fu il medico affiliato alla ‘ndrangheta Marcello Fondacaro, che ha raccontato di un progetto imprenditoriale del boss trapanese: un villaggio a Isola Capo Rizzuto che prevedeva la partecipazione al 33% di Cosa nostra e ‘Ndrangheta.

I tentacoli di Messina Denaro sarebbero arrivati anche in Venezuela, regno dei clan Cuntrera e Caruana che da Siculiana, paese dell’agrigentino, colonizzarono Canada e Sudamerica diventando monopolisti del narcotraffico. Un pentito “minore”, Franco Safina, raccontò che Messina Denaro aveva un tesoro in Venezuela creato investendo 5 milioni di dollari in un’azienda di pollame. Per gli inquirenti un evidente escamotage per riciclare i proventi del traffico di stupefacenti.

Ma se, come sono certi i magistrati, solo una parte del tesoro del padrino è stata trovata e confiscata, a quanto ammonta il suo patrimonio? Le ricchezze illecite ancora da scoprire sarebbero enormi. A partire dai soldi che gli sarebbero stati affidati da Totò Riina. “Se recupero pure un terzo di quello che ho sono sempre ricco”, diceva il capomafia corleonese, intercettato, parlando durante l’ora d’aria con un altro detenuto. “Una persona responsabile ce l’ho e sarebbe Messina Denaro. Però che cosa fa per ora questo Matteo Messina Denaro non lo so. Suo padre era uno con i coglioni” , spiegava all’amico mostrando una qualche diffidenza sulla capacità gestionale del boss trapanese.

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