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Benedetto XVI, Angelo Scola, e la decomposizione del cattolicesimo

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La Chiesa cattolica, nel Terzo millennio, attraverso il Successore di Pietro, Benedetto XVI, deve confrontarsi con le sfide che provengono da una società  sempre più scristianizzata, secolarizzata e neopagana, e da una pericolosa infiltrazione della teologia protestante nelle diocesi della Lombardia e in quella di Milano in particolare dove per 31 anni consecutivi alcuni vescovi, vicari episcopali, biblisti e teologi hanno creato una Chiesa parallela con un proprio magistero. Per questa ragione il Papa ha scelto come Arcivescovo di Milano il teologo e filosofo Angelo Scola sia perchè conosce queste problematiche e possiede la cultura per ripristinare l'ordine nella diocesi di Sant'Ambrogio, sia perchè deve normalizzare una situazione che è diventata insostenibile in tutte le diocesi lombarde in cui Scola è il Metropolita. Forse si salva Vigevano con mons. Di Mauro mentre Pavia, con mons. Giudici, invece brilla per essere una Diocesi allo sbando per la dottrina che non si basa su una sola fides e neanche per l'unità  ecclesiale attorno a Benedetto XVI.

Contrariamente a quanto possiamo immaginare, questa penetrazione, avviene dall'interno del mondo cattolico: dai teologi filo protestanti eretici, da alcuni pseudo biblisti, da alcuni pseudo teologi della Facoltà  teologica di Milano, e da alcuni parroci, con l'evidente obiettivo di cambiare la formazione religiosa delle persone, e indurli a lasciare il cattolicesimo. Tutto ciò in nome di un malinteso pluralismo teologico che mira, appunto, a disorientare il Popolo di Dio.

La comunità  cristiana viene considerata come un'appendice di una società  incapace di leggere il vero bisogno degli uomini e come una società  già  al tramonto anzichè fattore di nuova evangelizzazione, di un nuovo annuncio: Cristo risorto, presente nel mistero della Chiesa, proposta di salvezza a tutti gli uomini. Taluni di questi teologi, poi, ricorrono ad espressioni dottrinali ambigue, e altri si arrogano la licenza di enunciare opinioni loro proprie, alle quali conferiscono quell'autorità  che essi, più o meno copertamente, contestano a chi per diritto divino possiede tale vigilatissimo e formidabile carisma; e perfino consentono che ciascuno nella Chiesa pensi e creda ciò che vuole, ricadendo così in quel “libero esame” della Scrittura, che ha frantumato l'unità  della Chiesa ambrosiana, e confondendo la legittima libertà  della coscienza morale con una malintesa libertà  di pensiero, spesso discutibile per l'insufficiente conoscenza delle genuine verità  religiose.

Con un tal modo di procedere, che rifiuta ogni norma esteriore, vengono apertamente sovvertite la stessa vera natura e nozione della Teologia. Altri teologi e “cattolici adulti” come Rosy Bindi, Nicky Vendola, e Romano Prodi, vogliono incautamente adattare la morale cristiana alle inclinazioni e alle opinioni del mondo, quasi si dovesse conformare non già  il mondo alla legge di Cristo, bensì la legge di Cristo al mondo ( vedi i Dico, eutanasia, procreazione, adozioni per i singles, uso dei contraccettivi, ecc.).

Dopo l'attacco sferrato dalla cultura che si riconosceva nei tre grandi maestri del sospetto: Marx, Freud, e Nietzsche negli anni 70, ora la Chiesa cattolica, è minacciata fortemente dalla teologia protestante, e il dicastero della Curia Romana per la Dottrina della Fede, guidato dal cardinale americano William Joseph Levada, sembra impotente a fronteggiare l' attacco sferrato da teologi e preti dissidenti della Diocesi di Milano. La teologia protestante oggi va di moda in alcune Facoltà  teologiche e in alcuni Seminari del nostro Paese, lasciati ormai senza controllo e senza garanzia per lo studente che non può avvalersi della “libertà  di apprendimento”, e, viceversa, deve subire la “libertà  di insegnamento” del suo docente molto spesso non “ortodosso”, con sofismi, contestazioni alle leggi del pensiero speculativo, alla razionalità  naturale, alla validità  delle umane certezze; senza contare il dubbio, l'agnosticismo, la spregiudicatezza dell'assurdo, il rifiuto della logica e della metafisica.

Insomma un dissenso dottrinale vero e proprio incurante del Magistero ecclesiastico fino a deviare dalle verità  divine conservate e illustrate nella Chiesa dallo Spirito Santo, scegliendo il loro giudizio in luogo del pensiero della Chiesa come criterio di verità : una scelta arbitraria, “à iresis”, che porta dritti dritti all'eresia. A ciò, bisogna aggiungere, molto spesso, lo studio unilaterale del pensiero dei quattro leaders e maestri del Protestantesimo: Barth, Bultmann, Bonhoeffer e Tillich, solo per citare alcuni nomi.

Si insegna in queste Facoltà  e Seminari che, nel concetto di Chiesa, esiste il valore “pneumautico”, cioè spirituale, come se fosse l'unico perchè suffragato dalla Parola e costitutivo della Chiesa. Si contesta la legge naturale; si trascurano preghiera e Sacramenti; si contesta la Chiesa come istituzione di salvezza, si esclude il Magistero della Chiesa e la Sacra Tradizione e si mette il seguace di Cristo a contatto diretto con “la sola Scrittura” e lasciando a ciascuno un “libero esame” di essa; talvolta si mette persino in discussione l'autorità  divina della Sacra Scrittura in nome di una radicale demitizzazione; si insegna che la fede (sola fides) è l'unica base della nostra certezza religiosa; si studia che “Iddio da principio creò l'uomo, e lo lasciò in mano del suo arbitrio” (Deut. 30,19; Eccl. 15,14); si insegna altresì la contestazione sistematica del Magistero infallibile, e il Primato del Papa; si contestano, in particolare, il dogma trinitario, cristologico e mariologico ; si condanna il celibato sacerdotale; si assiste alla demolizione di San Tommaso d'Aquino; si insegna che l'Eucarestia va celebrata solo come “Memoriale” , e non gia' come “Presenza reale del Corpo e del Sangue di Cristo” ; da ultimo, il rifiuto della mediazione gerarchica sacerdotale tra l'uomo e Dio.

Potremmo continuare: l'elenco è lungo. Ma ci fermiamo qui per illustrare sinteticamente il pensiero dei leaders del pensiero protestante, a cui questi teologi fanno riferimento costante nelle loro lezioni, e che tanta fortuna ebbero nel XX secolo, al punto da condizionare fortemente gli studi di molti biblisti e teologi, che ora dissentono segretamente dal magistero di Benedetto XVI, con un loro magistero parallelo, ma che tuttavia, disonesti intellettualmente, rimangono nella Chiesa cattolica per portare a termine l'attacco più grave degli ultimi tempi.

Siamo consapevoli che, adesso, i teologi cattolici protestanti faranno i finti indignati e si stracceranno le vesti, gridando che non è vero, che sono forzature quelle che abbiamo scritto, che non è vero che ai loro studenti insegnano la teologia protestante e che nelle Facoltà  teologiche regna l'ordine, cosi come nei Seminari, e che il dialogo con i Fratelli separati sta a dimostrare l'unità .

Allora, una cosa è il dialogo con i Fratelli separati che, per esempio, nel 1999, ad Augsburg, ha portato alla firma congiunta tra cattolici e protestanti sul documento intitolato “Dichiarazione congiunta sulla dottrina della Giustificazione per la Fede”: un tema che per secoli è stato una specie di simbolo della divisione fra cattolici e protestanti. Un'altra, è il dissenso dottrinale circostanziato che abbiamo elencato e che quotidianamente viene praticato, senza una adeguata vigilanza da parte di alcuni Vescovi diocesani. Le deviazioni che vengono insegnate, ovviamente ingenerano negli studenti, confusione, ambiguità  e disorientamento.

A questo riguardo, papa Paolo VI, affermava: “Mentre il silenzio avvolge a poco a poco alcuni misteri fondamentali del cristianesimo, vediamo delinearsi una tendenza a ricostruire, partendo dai dati psicologici e sociologici, un cristianesimo avulso dalla Tradizione ininterrotta che lo ricollega alla fede degli Apostoli, e ad esaltare una vita cristiana priva di elementi religiosi.” (Quinque iam anni). Giovanni Paolo II, invece, affermava in un discorso attualissimo che “anche oggi esiste in maniera diffusa, in taluni cristiani, la tentazione di interpretare la rivelazione e le formule del Credo cristiano in modo molto parziale, permettendosi di fare una lettura della Bibbia che obbedisce a presupposti estranei alla fede, di piegare la fede a un sistema costruito al di fuori di essa, conservando le formule familiari della Bibbia o della dottrina cristiana a sostegno di queste correnti di idee eterogenee.

Il dovere del teologo è di evitare questo genere di sostituzione devastante, di vigilare sull'autenticità , come fece S. Ireneo, vescovo di Lione”. (Conferenza su S. Ireneo). Con il pretesto dell'aggiornamento” e del “rinnovamento” dai cattolici filo protestanti, le verità  di Dio nella sua integrità  e purezza non vengono accettate, cosi come il messaggio degli Apostoli. Perciò i Pastori hanno l'obbligo della denuncia e della vigilanza, di fronte ad abusi, oltre che trasmettere la fede nella sua pienezza.

La ricerca biblica, teologica e patristica, inoltre, non deve mai deflettere dalla Sacra Tradizione, dal Magistero e dalla Sacra Scrittura avendo lo scopo principale di “custodire il deposito” della fede ( 1 Tim. 6, 20). Tra i principali doveri dei vescovi eccelle la predicazione del Vangelo. I vescovi, infatti, sono gli araldi della fede, che portano a Cristo nuovi discepoli, sono dottori autentici, cioè rivestiti dell'autorità  di Cristo, che predicano al popolo loro affidato la fede di credere e da applicare nella pratica della vita e la illustrano alla luce dello Spirito Santo, traendo fuori dal tesoro della Rivelazione cose nuove e vecchie (Mt 13, 52), la fanno fruttificare e vegliano per tenere lontani dal loro gregge gli errori che lo minacciano (2 Tim, 4 1-4).

La questione del “nuovo” nella Chiesa cattolica invocata da questi teologi che guardano al Nord Europa è estremamente complessa. Limitiamoci ad un solo rilievo, che è questo: il “nuovo” nella Chiesa non può essere prodotto da una rottura con la Sacra Tradizione, come amano fare i Protestanti. La mentalità  rivoluzionaria è parecchio entrata anche nella mentalità  di tanti cristiani, di buoni cristiani. La rottura a noi concessa è quella della conversione, la rottura col peccato, non col patrimonio di fede e di vita, di cui siamo eredi responsabili e fortunati. Le innovazioni necessarie ed opportune , alle quali dobbiamo aspirare, non possono venire da un distacco arbitrario dalla viva radice, che ci ha trasmesso Cristo dal momento in cui è apparso nel mondo e ha fatto della Chiesa “segno e strumento” della validità  della nostra unione con Dio (Lumen et gentium, 1).

Anzi la novità  per noi è il ritorno alla tradizione genuina e alla sua sorgente che è il Vangelo. Chi sostituisce la propria esperienza spirituale, il proprio sentimento di fede soggettiva, la propria personale interpretazione della Parola di Dio produce certamente una novità , ma è una rovina. Cosi chi disprezza la storia della Chiesa, in ciò che ha di ministero carismatico per la tutela e la trasmissione della dottrina e del costume cristiano, può creare novità  attraenti, ma che difettano di virtù vitale e salvifica: la nostra religione, che è la verità , che è la realtà  divina nella storia dell'uomo, non si inventa, e nemmeno, propriamente parlando, si scopre; la si riceve, e per antica che sia è sempre viva, sempre nuova; perenne cioè, e sempre atta a fiorire in nuove e genuine espressioni.

“E' chiaro, dice il Concilio, che la Sacra Tradizione, la Sacra Scrittura e il Magistero della Chiesa, per sapientissima disposizione di Dio, sono tra loro talmente connessi e congiunti da non potere indipendentemente sussistere” (Dei Verbum, 10). Non sappiamo se tale frase sia altrettanto chiara a taluni biblisti. Qualcuno ora ci accuserà  che le nostre posizioni sono datate, superate, passatiste e tradizionaliste. Noi, invece, gli rispondiamo con San Paolo “Rinnovatevi nello spirito della vostra mente” (Ef. 4,23).

Abbiamo parlato di questo perchè esiste la tentazione di interpretare la Sacra Scrittura dalla Tradizione plurisecolare della fede della Chiesa, applicando chiavi interpretative che sono proprie della letteratura contemporanea o della pubblicistica. Ciò genera il pericolo delle semplificazioni, della falsificazione della verità  rivelata, e perfino del suo adattamento alle necessità  di una filosofia individuale dellla vita oppure dell'ideogia, accettate a priori. Già  S. Pietro Apostolo si opponeva ai tentativi di questo genere scrivendo: “Sappiate anzitutto questo: nessuna scrittura profetica va soggettta a privata spiegazione” (2 Pt 1,20). “L'ufficio poi di interpretare autenticamente la parola di Dio è affidato solo al Magistero vivo della Chiesa, la cui autorità  è esercitata nel nome di Gesù Cristo” (Dei Verbum, 10).

Ai cattolici delle facoltà  teologiche italiane, dei Seminari, delle Curie vescovili, che guardano solo alle “vette” del protestantesimo, trascurando la Chiesa cattolica, la madre di Dio, e i suoi Santi, il Primato del Romano Pontefice, nonchè il suo magistero infallibile, ribadiamo che questo non è progresso, ma è decadenza. Non è evoluzione, ma rivoluzione. Non è incremento, ma decomposizione. La fedeltà  alla Chiesa di papa Benedetto XVI deve essere contrassegnata, soprattutto, oggi, da piena adesione al Magistero ecclesiastico e al contenuto della Rivelazione. E' un impegno che deriva dal battesimo, e non può essere qualificato divieto e rigido integrismo, perchè è richiesto dalla fede, la quale, nella sua autenticità , non consente arbitri, cosi detti pluralistici, di opinioni personali e mutevoli, che deflettano dalla sostanza testuale della dottrina, quale il Magistero della Chiesa, nella sua responsabile funzione e nel suo arduo dovere di “custodire il deposito”, conserva, difende e logicamente alimenta e sviluppa, memore dell'esortazione dell'Apostolo: “Che la vostra carità  cresca sempre più e più nella vera scienza” (Fil 1,9).

Onorando il Magistero gerarchico, si onora Cristo Maestro e riconosciamo quel mirabile equilibrio di funzioni da Lui stabilito, affichè la sua Chiesa potesse perennemente godere della certezza della verità  rivelata, dell'unità  della medesima fede, della coscienza della sua vocazione, dell'umiltà  di sapersi sempre discepola di Cristo, della carità  che la compagina in un unico mistico corpo organizzato, e la abilita alla sicura testimonianza del Vangelo.
Paolo VI, fortemente allarmato per il dissenso e la contestazione all'interno della Chiesa, disse pubblicamente, stupendo il mondo intero, che “il fumo di Satana era penetrato all'interno della Chiesa”, e, a questi teologi in odore di eresia, diceva: “Amate l'istruzione religiosa della Chiesa cattolica, nei suoi dogmi, nelle sue espressioni liturgiche, nei suoi libri d'autorevole insegnamento. Non pensate di avere la fede senza aderire al contenuto della fede, al Credo, al simbolo della fede.

La fede è libera nell'atto che la esprime; non è libera nella formulazione della dottrina che esprime, quando questa è stata autorevolmente definita. Per quanto riguarda il pluralismo teologico che voi invocate, esso non deve toccare la fede: non deve generare dubbi, equivoci o contraddizioni; non deve legittimare un soggettivismo di opinioni in materia dogmatica, che comprometterebbe l'identità  e quindi l'unità  della fede; progredire, si, arricchire la cultura, favorire la ricerca; demolire, no! Non si deve neppure toccare la legge morale nè le linee fondamentali dei sacramenti, della liturgia e della disciplina generale della Chiesa, dirette a conservare nella compagine del Popolo di Dio la necessaria unità . Non può servire per coonestare scelte arbitrarie, contestatarie, qualunquiste, antisociali.

Un'eccessiva e spesso inesatta applicazione del “pluralismo” ha frantumato in diversi campi della vita ecclesiale e dell'attività  cattolica quell'esemplarità , quell'armonia, quella collaborazione, e quindi quella efficienza, che la presenza della Chiesa nel mondo non ha vano desiderio di attendere dai suoi figli. E' la carità  che esige l'unione; è la fede che le offre la base per goderne il corale concerto dei credenti”.

Da ultimo, la cosa più importante che vorremmo rivolgere ai teologi cattolici filo protestanti. Si tratta della Parola e della grossa confusione che fate mettendola al centro del Cristianesimo al posto di Gesù Cristo. “Nel cristianesimo il posto centrale non lo ha un “Libro” -la Bibbia- ma la persona di Gesù, sia nel senso che è Lui che parla per mezzo della Bibbia, sia nel senso che questa parla di Lui. Ciò è evidente per quanto riguarda il nuovo Testamento; ma anche per quanto concerne l'Antico Testamento, la lettura che ne fa il cristianesimo è “cristiana”, cioè è in vista e in funzione di Cristo, che è colui che “porta a compimento”, dà  pieno significato e piena attuazione all'Antico Testamento.
Ciò non significa sminuire il valore dell'Antico Testamento, che resta “parola di Dio” in tutte le sue parti, e come tale la Chiesa lo accetta e venera nella liturgia; significa soltanto collocarlo nella giusta prospettiva, che è quella di essere preparazione e annuncio profetico di Cristo, il Messia, il Figlio di Dio fatto uomo.

Nel cristianesimo, perciò, la Bibbia è il testimone privilegiato e autentico di Gesù Cristo crocifisso e risorto e dunque vivente – ieri, oggi e sempre – nella sua Chiesa”. (padre Giuseppe De Rosa, Fatica e gioia di credere, Elledici).
In conclusione, auspichiamo che il nuovo Arcivescovo di Milano, cardinale Angelo Scola, riesca efficacemente, da una parte, a difendere il Popolo di Dio dai tanti, troppi e incalzanti errori che assalgono il divino deposito della verità  rivelata e autenticamente insegnata dalla Chiesa; dall'altra, a ravvivare la pedagogia kerigmatica nella Diocesi di Milano, la capacità  di presentare l'annuncio della rivelazione divina e della umana salvezza con l'autenticità , la chiarezza di parola e la carità , in modo tale che l'apostolato della Chiesa nel mondo contemporaneo e nella Diocesi di Milano sia efficace.

(* Presidente Associazione Culturale docenti cattolici)

[17 luglio 2011]

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