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Anita, Vincenzina e la fabbrica. Di Andreina Corso

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Correva l’anno 1901 e Anita Mezzalira aveva quindici anni quando, grazie ad un certificato che attestava la sua condizione di ‘miserabile’, divenne un’operaia della Manifattura Tabacchi, Monopolio di Stato La fabbrica veneziana si avvaleva delle mani, dei cuori e della salute delle sue operaie, che lavoravano anche dodici ore al giorno in un ambiente malsano provocato dalle esalazioni del tabacco. Fu in quel posto e dentro la relazione umana, nonostante tutto, che nacque una coscienza politica in Anita e nelle sue compagne, legate dalla fatica, dai problemi comuni: i figli piccoli lasciati in accudimento alle nonne, ai parenti ai vicini di casa, fin dalle prime ore del giorno. E poi la fatica di un duro lavoro a cottimo e sempre sedute, da sommare al loro impegno di mogli, madri, figlie e nipoti impegnate nel lavoro di cura della famiglia.

Nel 1887 il filantropo conte Giustinian fece aprire un asilo “per lattanti e slattati” nei pressi della fabbrica, in modo che le tabacchine potessero accudire i loro figli durante le pause. La Manifattura Tabacchi di Venezia fu attiva dagli ultimi decenni dell’Ottocento, con oltre 1500 posti di lavoro (ridotti a 1200 nei primi anni del Novecento), fino alla chiusura nel 1996, con solo 178 dipendenti. Si devono ad Anita e alle ‘altre’ gli scioperi (il primo nel 1884), per rivendicare un salario migliore, la pensione e la salubrità dell’ambiente di lavoro. La giornata delle tabacchine iniziava all’alba, la storica Franca Trentin le ha descritte, mentre con gli zoccoli rumorosi davano il buongiorno alla città, a ponti e calli per recarsi al lavoro. Spesso, cantavano, sì cantavano per sentirsi libere, almeno per strada, visto che in fabbrica questo lusso era concesso solo a Natale e Pasqua.

Il lavoro era durissimo, sia per l’ambiente insano in cui le operaie trascorrevano gran parte della loro giornata, sia per la disciplina e le umiliazioni che dovevano subire. Le pesanti perquisizioni corporali erano una prassi giornaliera, a cui le lavoranti venivano sottoposte alla fine del turno, per evitare i furti. Dovevano chiedere il permesso per bere, andare in bagno e penoso era l’obbligo di indossare grembiuli, cuffie, e indumenti pesanti nonostante il calore all’interno manifattura, per evitare eventuali promiscuità di natura sessuale. Un ‘riguardo’ tutto rivolto, solo alle donne. Anita Mezzalira, popolare e amata sindacalista, fu anche la prima assessora del Comune di Venezia.

E Vincenzina davanti alla. . . fabbrica, Vincenzina vuol bene alla. . . fabbrica: poesia e canto di Enzo Iannacci, che nel narrarci il rapporto degli operai con il mondo del lavoro, sceglie il ritratto di una ragazza emigrata dal sud intenta ad affrontare la realtà industriale. Fu composta per la colonna sonora di Romanzo popolare, film del 1974 diretto da Mario Monicelli. Vincenzina è una ragazza che affronta per la prima volta l’ingresso nella fabbrica, con tutti i suoi misteri e il suo fascino: la voce malinconica e trascinata di Jannacci ne fa un’icona universale del mondo del lavoro.

Vincenzina e la fabbrica
Vincenzina davanti alla fabbrica,

Vincenzina il foulard non si mette più.
Una faccia davanti al cancello che si apre già.
Vincenzina hai guardato la fabbrica,
come se non c’è altro che fabbrica
e hai sentito anche odor di pulito
e la fatica è dentro là. . .
Zero a zero anche ieri ‘sto Milan qui,
sto Rivera che ormai non mi segna più,
che tristezza, il padrone non c’ha

neanche ‘sti problemi qua.

Vincenzina davanti alla fabbrica,
Vincenzina vuol bene alla fabbrica,
e non sa che la vita giù in fabbrica
non c’è, se c’è com’è ?

Ad Anita e Vincenzina va il nostro pensiero in questo Primo Maggio.

Andreina Corso

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