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J. Edgar (2011) – uccidere è necessario [video]

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di Luca Ferrari
ferrariluca@hotmail.it

Ordine & Legalità . Tormento & Sacrificio. Segreti & Fragilità . John Edgar Hoover, per 48 anni consecutivi è stato a capo del potente Federal Bureau of Investigation, l’FBI. Un uomo che mimetizzò tutti i suoi lati oscuri in una ossessione (crociata) contro la criminalità  e il comunismo. Una dedizione totale alla causa dello Stato senza risparmiarsi. Clint Eastwood ci racconta la sua storia, valorizzando al massimo la verve drammatica di Leonardo DiCaprio. Alzando il microfono sui pensieri più intimi di un uomo che si chiuse dietro una rigida maschera marziale, trascurando l’importanza di esercitare il proprio americano diritto alla felicità , come la stessa Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti sancì nel lontano 1776.

J. Edgar Hoover. Un uomo contradditorio. Indiscusso padre dell’indagine scientifica. Un innovatore. Un fermo tutore della legge che non si fece mai scrupoli a forzare la mano per scovare il “cattivo”, né si mostrò mai tenero verso i contestatori. Un bulldozer in doppiopetto pronto a distruggere la credibilità  di chi ritenesse un pericolo per la propria nazione (su tutti, il pastore attivista per i diritti civili, Martin Luther King). J. Edgar Hoover, antenato del controllo totale post-11 settembre. J. Edgar Hoover, padre putativo della carcerazione modello Guantanamo e di tutta quella politica brutale che portò alla creazione del fenomeno “rendition” (cattura/detenzione illegale) durante la politica del presidente George W. Bush.

Sopprimendo le proprie emozioni, e restando “Freudanamente” a vivere con la madre fino alla di lei morte, ecco il ritratto di uno degli uomini più importanti d’America. J. Edgar Hoover, interpretato da un sempre più intenso Leonardo DiCaprio. È lui il J. Edgar invecchiato che narra la propria storia durante l’era presidenziale di Richard Nixon. È lui che la vive in prima persona negli anni della rifondazione dell’Agenzia quando i cannoni della I Guerra Mondiale tuonavano in Europa, e negli anni della Grande Depressione gl’implacabili gangster come “machine gun” George R. Kelly, Al Capone o l’ancor più celebre John Dillinger, venivano vezzeggiati dalla stampa. Per Hoover questo è inaccettabile. Nell’America che s’impegna a costruire giorno e notte, l’infame non può essere l’eroe e viceversa. Vuole che i bambini giochino (e aspirino) a diventare agenti dell’FBI. Fumetti e cinema saranno veicoli per farsi autopromozione, e mettere finalmente le luci della ribalta sull’Agenzia, e su di sé in particolare.

Al centro della sceneggiatura Eastwoodiana però, non c’è solo l’eccentricità  di Mr Hoover o la sua sete di voler controllare quella fetta di America, a suo giudizio, pericolosa e fuori controllo. Ci sono le paure relazionali di Edgar. Dubita di tutti. Si fida di pochissime persone, tra cui la sua segretaria personale Helen Gandy (Naomi Watts). È incapace di ballare con una donna, ma molto più attratto dall’universo maschile e in particolare da Clyde Tolson (Armie Hammer), direttore associato del Federal Bureau of Investigation, che lui stesso volle al suo fianco. Un aspetto questo su cui il regista californiano accende i riflettori, ma di cui in realtà  non si è mai saputo molto. E anche nel film si vede e non si vede. Ci sono sguardi. Parole. Una relazione con il compagno di lavoro che si sviluppa nell’ombra. Poi tutto rischia di finire. Presumibilmente istigato dall’opprimente figura materna, Anne Marie (Judi Dench), che gli aveva chiaramente sottolineato di preferire un figlio morto che non affetto da “quella malattia”, Edgar è lì lì per cedere a un matrimonio di forma con una donna, ammettendo davanti a Tolson di aver avuto anche rapporti carnali. L’amico a quel punto, sempre sorridente e misurato, sbotta e reagisce duramente. In modo violento. Da vero innamorato tradito. E allora J. Edgar non si può più nascondere. Con il viso insanguinato e la voce tremante, glielo dice, “quando ci siamo visti nel mio ufficio per il tuo colloquio, sudavo perché avevo capito che avevo bisogno di te”.

Alla morte della madre, la telecamera, senza inutili effetti tridimensionali, arriva al dolore delle tempie di uno scombussolato Edgar. Il mastino può finalmente provarsi un abito da donna, e mostrarsi a se stesso con naturalezza, senza il peso di costosi intarsi di rigida sartoria testosteroica. Ma è un attimo. Il senso del dovere lo porta a sopprimere quello che ha dentro. A suo modo, è lui stesso un dissidente e un radicale. Un dissidente della morale comune e questo non può essere rivelato. È ancor più commovente la scena di un invecchiato e malconcio Clyde quando apprende della morte del “suo” John. Zoppicante sale le scale. Una volta entrato nella stanza piena di statue e oggetti monumentali, con il volto trafitto dalle lacrime, cammina barcollando fino a trovare il corpo sul pavimento seminudo e senza vita. E lui, vi si accascia sopra. Proteggendolo con una coperta in un ultimo e delicato gesto d’amore.

Da Mystic River (2003) in poi, il vecchio Clint non ha più sbagliato un colpo alla regia. Film di spessore. Profondi. “Million Dollar Baby” (2004), “Flags of Our Fathers” (2006), “Lettere da Iwo Jima” (2006), “Changeling” (2008) con una straordinaria Angelina Jolie, “Gran Torino” (2008), “Invictus” (2009) con Morgan Freeman nella parte del premio Nobel per la Pace, Nelson Madela, “Hereafter” (2010) e ora “J. Edgar”. Per Leonardo DiCaprio è l’ennesima prova sopra le righe, sempre più a suo agio nella strada “seanpenniana” di interpretazioni decise a sviscerare ogni sfaccettatura dell’essere umano. Tra forza e sensibilità , in uno mix di alterne e inconsolabili prevalenze interiori..

“Una società  indifferente e riluttante a imparare dal passato non ha futuro” disse J. Edgar Hoover (1895-1972). Parole sacrosante, ma raramente messe in pratica. E se continueremo a passare la nostra vita a tenere la guardia alzata e accumulare i segreti di tutti, che cosa lasceremo alle nuove generazioni a parte il ricordo delle nostre impronte digitali? Poco. Solo un impolverato manoscritto con i travisamenti di quello che abbiamo egoisticamente vissuto senza nessuno al nostro sincero fianco. Il mondo del domani si merita qualcosa di più.

[12/01/2012]

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