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Venezia e il turismo da selfie: finzione vs realtà di una vacanza indigente

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Mamma, papà e due figlie adolescenti sono finalmente giunti a Venezia. Il caldo è asfissiante, le calli intasate: i trolley sono trascinati a fatica fino a Campo delle Gorne, zona Arsenale, dove ad attenderli c’è l’alloggio prenotato online. E guai a chiamarlo “magazzino”: per loro si tratta di un “pied-a-terre”, ovviamente senza targhetta, che li accoglie in un misto di odori tra cui muffa.

Ma non importa: poco distante, infatti, hanno già adocchiato un portale di marmo sovrastato dalle frasche di un albero. Sarà “lì” che ad amici e parenti racconteranno di aver alloggiato, e per dimostrarlo basterà un “selfie”.

Il quartetto si posiziona davanti alla “location”, una figlia alza il dito per confermare: “è qui che dormiremo”. Ed è così che una due-giorni da incubo si trasforma nella “vacanza da sogno” da spacciare sui social: a Venezia, in un palazzo lussuoso, proprio come i VIP.

Venezia non è comunque un caso isolato: il “turismo da selfie” è un fenomeno diffuso che merita attenzione. Si diceva che dopo il Covid avremmo “puntato a un pubblico di qualità” quando, al contrario, l’aumento del divario tra la classe ricca e quella indigente ha ulteriormente aggravato il quadro. Quel che conta, ormai, è far credere di appartenere al primo gruppo, come gli attori o gli influencer. Poco importa se si è operai, precari o disoccupati.

La diffusione dei social ha gradualmente fatto estinguere i viaggi per diletto: i nostri nonni lo facevano due/tre volte nella vita, in luoghi che desideravano e solo quando ne avevano la possibilità. Oggi lo si fa quasi per “prassi”, soprattutto per rimarcare il proprio stato economico: “mi muovo perché posso permettermelo”.

Ogni weekend diventa così occasione per “condividere” una città, un borgo o una spiaggia. Poco importa se il budget di una vacanza verrà suddiviso tra dieci, venti mete differenti: pur di incrementare la reputazione ci si accollano pure i disagi. Cinque ore di treno per una “toccata e fuga” valgono bene il selfie da sfoggiare agli amici come le sistemazioni fatiscenti, addirittura l’addiaccio in calli e pontili, consci che di tutto ciò non rimarrà alcuna traccia. Neanche di comportamenti che a casa propria non ci si sognerebbe mai di seguire, come consumare un picnic in vaporetto o seduti per terra.

Una realtà confermata anche dagli addetti ai lavori. “Buona parte degli ingressi – spiega una barista di Piazza San Marco – è costituita da turisti che pretendono di immortalarsi all’interno senza consumare neanche un caffè”.

Altrettanto surreali le testimonianze da Riva degli Schiavoni: “a volte non facciamo a tempo a sparecchiare – denuncia un cameriere – che troviamo gente seduta, che finge di mangiare dove gli altri hanno finito, collezionando ‘prove di agiatezza’ quando, con tutta probabilità, hanno pranzato al sacco su un gradino”.

Secondo un team di psicologi padovani guidato da Serenella Salomoni, sarebbero almeno due milioni gli italiani che ogni anno “falsificano” le proprie ferie. Come riporta Adnkronos, queste persone mentirebbero “spudoratamente sull’hotel in cui si trovano, sul ristorante in cui sono andati a mangiare, sul bagno frequentato, sulla discoteca in cui hanno ballato fino al mattino o sui Vip che hanno incontrato” .

Al secondo posto tra i luoghi più millantati (18,5%) si trova addirittura l’Hotel Danieli, meta di artisti e divi del cinema, che con la foto “giusta” diventa un vanto anche per chi non ci ha dormito.

L’importante è ciò che appare sui social: publico ergo sum.

Del fenomeno esiste un’ampia testimonianza in rete: secondo Idego – Psicologia Digitale il turista-selfie “è disposto a visitare posti che non lo interessano minimamente, ma che siano notoriamente riconosciuti come famosi o, appunto, trendy”, compresa l’accettazione di “ore di fila per visitare musei e cattedrali che per lui non hanno alcuna attrattiva”. Perché la soddisfazione “non deriva tanto dalla qualità del tempo speso”, bensì “dal materiale social prodotto”.

Per Antonio Preiti dell’Huffington Post “fotografarsi accanto o dentro un’icona globale del turismo è diventato un must” alla stregua di un capo firmato. “È come se il mondo – continua – si fosse a un certo punto semplificato e condensato nella sua iconografia”. In sostanza, “la cultura narcisistica, che connota il nostro tempo, nel turismo crea un fenomeno incredibile di concentrazione, perché c’è l’assalto alle icone fotografabili”.

Di conseguenza, puntando al “minimo comun denominatore culturale”, Venezia assume il ruolo di meta obbligatoria perché universalmente conosciuta, senza bisogno di spiegazioni.

Il connubio tra la città e il turismo da selfie è toccato da Federico Emmi nell’articolo “Overtourism. Il turismo ai tempi dei social” pubblicato su Discorsi Fotografici Magazine. Secondo l’autore “la condivisione compulsiva” di immagini collaborerebbe al “consumo eccessivo delle città, delle isole, delle aree archeologiche e naturali, senza per altro raccontarne la vera bellezza, ma usandole spesso come sfondi” per soddisfare “quello strano appetito che costringe le persone a mangiare se stesse pur di rimanere in primo piano”.

A tutto ciò si somma la “produzione di rifiuti”, “un maggiore inquinamento dovuto al numero giornaliero di autobus da turismo e aerei” e il “comportamento spesso maleducato dei visitatori” a cui corrisponde “il progressivo degrado ambientale, i danni ai monumenti storici, la perdita di identità della città, l’aumento del costo della vita”.

“Venezia Capitale Mondiale della Sostenibilità”?
Mica tanto.

Nino Baldan

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15 persone hanno commentato. La discussione è aperta...

  1. È stata fatta una scelta decenni fa …si è scelto il turismo di massa …si è scelto di liberalizzare licenze e di concedere cambi d’uso ……tutto questo ha avuto le conseguenze che vediamo ogni giorno…..

  2. Ci sono bassi, presumo ex magazzini, adibiti a fittanze turistiche. Tuguri bui e privi di areazione adeguata per allocarci una tartaruga. Una conoscente lavora come gelataia da anni. Mi racconta di comitive o meglio famigliole che chiedono di assaggiare tre o quattro gusti. Dopo….scusi, facciamo u

    n giro e torniamo per comprare il gelato. Più visti. Scroccano il gelato e questo è il loro pranzo.

  3. Ci sono bassi, presumo ex magazzini, adibiti a fittanze turistiche. Tuguri bui e privi di areazione adeguata per allocarci una tartaruga. Una conoscente lavora come gelataia da anni. Mi racconta di comitive o meglio famigliole che chiedono di assaggiare tre o quattro gusti. Dopo….scusi, facciamo un giro e torniamo per comprare il gelato. Più visti. Scroccano il gelato e questo è il loro pranzo.

  4. Non capisco perchè non pubblicate le opinioni dei lettori. Quanto avevo scritto in merito all’articolo non era nè offensivo nè falso. Sicuramente non siete d’accordo con me ma perchè censurare? Che senso ha leggervi se non possiamo interloquire con altri? Sto perdendo la voglia di leggervi.

  5. Se uno fotografa la porta di ingresso di un’abitazione non commette violazione della privacy?
    Se uno mi fotografa per strada senza il mio consenso non commette violazione della privacy ?
    La legge sulla privacy potrebbe essere una buona leva per ridurre l’afflusso turistico ?

  6. L’articolo è volgare e snobistico. Credo anche che sia molto esagerato. I disgraziati che si fanno i selfie sono vittime, non delinquenti. Venezia è piena di benpensanti che vogliono il “decoro” ma in realtà vogliono gente che paghi i loro affitti esagerati e i loro ristoranti costosi. Io capisco quelli che si mangiano il panino seduti sui gradini di un ponte e farei così anch’io, come ho fatto mille volte in piazza Sintagma ad Atene o sulla piazza della Pieve ad Arezzo. E non mi sento per nulla solidale con i padroni dei ristoranti pseudo-tipici o con gli pseudo-bacari che vendono pseudo-cicchetti.

    • I veneziani che non vivono di turismo sono stufi di non poter uscire di casa senza trovare pisciate fresche dei “turisti”, di non poter attraversare il ponte di Rialto senza essere urtati da mandrie beote (magari mentre si va in ospedale), di fare code chilometriche al supermercato perchè gli “ospiti” entrano in 10 per prendere una bottiglietta da mezzo litro di acqua e altre delizie simili. Per i commenti di Aleramo, sono solidale per la parte che descrive la ristorazione fasulla. Per fortuna c’è anche quella vera e per conoscerla devi parlare con gli indigeni “veri”.

    • Purtroppo, mi creda, non si tratta di snobismo. Si tratta di una drammatica realtà del nostro quotidiano. Se lei vuole mangiarsi i panini in piazza Sintagma (o nella piazza di Arezzo) faccia pure. Ma per favore non lo faccia a Venezia. Perché se solo l’ 1% dei turisti che ci visitano ogni anno facesse la sua scelta le lascio immaginare cosa sarebbe piazza San Marco. Al di là dello snobismo esiste si il decoro (eccome) e esiste anche il rispetto per i luoghi e quello che rappresentano. La prossima volta si prenda un caffè in piedi al Florian. Proverà l’ebbrezza di bere un caffè eccellente con tanto di cioccolatino e bicchierino d’acqua a 1.20 euro. In uno dei caffe più antichi e meravigliosi del mondo. In piazza San Marco. Vedrà, si sentirà pure decoroso.

  7. Il maiale che mi ha vomitato sulla porta di casa questa notte probabilmente non si è fatto il selfie. Ne ha ben donde, trattandosi di maiale vero e non di finzione. Magari se lo è fatto la scrofa della moglie in compagnia di qualche altro simile. Assieme ai rifiuti lasciati fuori dalla porta, al pattume abbandonato sul pozzo, è la prova di cosa significa essere uno dei pochi civici di residenti in una distesa di locazioni turistiche.

    Ad esagerare coi selfie ci dicevano che si diventava ciechi, per fortuna i tempi sono cambiati, adesso si diventa solo deficienti.

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