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Studiare a casa? Un orizzonte che ci riguarda. Di Andreina Corso

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Quanti bambini, quanti ragazzi sognerebbero di non andare a scuola, di studiare a casa, magari supportati dai genitori, se non devono andare a lavorare, dai nonni, dagli amici, dai vicini, guidati dai loro interessi nella scelta degli argomenti che più li appassionano, e che hanno voglia di approfondire?
Poi ci sono gli altri, i più, che vanno volentieri (un po’ sì, un po’ no) a scuola, che si sono abituati a orari precisi e a un ritmo di studio, all’imparare insieme, che incontrano gli amici, che si sono adattati, per così dire, al loro essere scolari e studenti che si affezionano all’ambiente (un po’ sì e un po’ no) ai loro docenti, alcuni dei quali da ricordare per tutta la vita. Nel bene e nel male.
Ogni tanto qualcuno dà slancio all’inedito di una questione che assume un carattere sociale e culturale che non può essere semplificato in giudizi frettolosi, ma approfondito e compreso.
‘Imparare a imparare’ è la finalità dei genitori, spesso professionisti, come il presidente di Laif l’associazione per l’istruzione parentale, Sergio Leali, architetto, e della moglie insegnante di lingue straniere alle superiori, che hanno adottato, insieme ad altri, questa scelta per i loro figli.

Dai dati del Ministero dell’Istruzione pubblicati da AdnKronos, apprendiamo che” Dal 2018-2019, ultimo anno scolastico prepandemico, al 2020-2021, la stagione appena lasciata alle spalle e vissuta tutta sotto la pressione del virus, gli homeschooler sono passati da 5.126 a 15.361.
Nel 2019-2020 gli allievi in homeschooling erano ancora soltanto 6.212: la forte crescita è arrivata quando si è compreso che il coronavirus non sarebbe stata un’infezione passeggera.
Il fatto che i ragazzini istruiti fuori dalla scuola siano triplicati in così breve tempo indubbiamente rende conto di un malessere nel sistema dell’educazione e una volontà di trovare delle soluzioni alternative. Tuttavia al tempo stesso apre a problematiche nuove, sia sul piano amministrativo che culturale”.
In Veneto sono oltre mille gli studenti che studiano a casa e che a fine anno devono affrontare un esame di idoneità nella scuola pubblica.
Il coronavirus, la didattica a distanza hanno incoraggiato molti genitori ad affidarsi all’istruzione parentale, ma la principale motivazione sta nella filosofia dell’apprendimento in quanto frutto delle risorse che gli adulti possono offrire ai bambini e ai ragazzi che sono i veri protagonisti di questo percorso. E che dagli stimoli che ricevono possono appassionarsi allo studio e agli argomenti preferiti, affiancati dagli adulti che li seguono e valorizzano i loro orientamenti, i desideri, le curiosità.

Qualche riflessione la suscita l’organizzazione di questo apprendimento alternativo, che pur rivela aspetti interessanti e pedagogicamente motivati.
Sarebbe bello che in ogni casa vi fosse una libreria ben fornita da consultare, un adulto preparato e un po’ competente rispetto i concetti da trattare, un tempo sufficiente da poter dedicare ai ragazzi, che spesso non coincide con le esigenze lavorative della famiglia.
Torna alla memoria Don Lorenzo Milani, quando scriveva: “La scuola dovrebbe preoccuparsi dei ragazzi che perde”. Sì, erano altri anni, allora c’era la povertà, i bambini che lavoravano invece di andare a scuola. Ora c’è l’uso informatico del tutto, anche della persona e la sua sostituzione con un clic.
La scelta del’Homeschooling (pochi resistono all’inglese), affermano alcuni genitori, “aiuta i ragazzi a responsabilizzarsi, la loro libertà è quella di scegliere bene, consapevolmente, le cose da fare. Non è che si sta a letto fino a mezzogiorno, per capirci, s’impegnano con orari e modi finalizzati allo stare insieme agli altri, giocare, conversare e a studiare”.

Rimane comunque visibile la traccia che rivela una sfiducia nella scuola, che pur con i suoi malanni, cerca di resistere e l’ha dimostrato con generosità nel momento più delicato della pandemia. Una mamma ha dichiarato alla Nuova Venezia: “Un ragazzo appassionato di determinati argomenti – che possono essere le scienze, la geografia – apprenderà le nozioni più approfonditamente rispetto a un coetaneo che frequenta la scuola normale. È un investimento sul lungo periodo, ma è importante che i bambini non siano imbrigliati entro schemi che non tengono conto della loro unicità». Il suo punto di vista è sostenuto da Erika Di Martino, ex insegnante di matematica, pioniera in Italia dell’istruzione familiare, in una sua intervista a Fast Web;
“La scuola, come era organizzata non mi convinceva. Mio figlio ha frequentato per un anno la scuola dell’infanzia e al momento di scegliere in quale primaria iscriverlo ci siamo accorti della rigidità del sistema scolastico italiano, non in grado di rispondere alle nostre richieste. Di fatto non avevo proposte scolastiche che ci avessero soddisfatto. Mi sono documentata e ho approfondito il tema dell’homeschooling. Abbiamo anche consultato, con mio marito, un avvocato che ci ha rassicurato sulla legalità della nostra proposta. Da li ho creato un blog e ho iniziato questa esperienza“.

E continua
“La forza è la rete delle famiglie e la riscoperta della società, come luogo vivo da esplorare. I bambini, come gli adulti e gli anziani, vivono una vita che è molto “inscatolata”, chiusa. Gli anziani sono sempre più emarginati, gli adulti al lavoro e i bambini a scuola. L’homeschooling stravolge tutto, connette bambini, adulti, anziani. Questa è una ricchezza. Come genitore ti metti alla prova, così come i fratelli, che passano molto tempo insieme; il vicinato si arricchisce, così come la società. A ogni angolo, in Italia, abbiamo monumenti da scoprire e guardare. È un cambio di paradigma. Io non sono assolutamente contro la scuola, ma fa un lavoro standard, di gruppo, le aule sono composte da molti bambini e alcuni insegnanti fanno l’impossibile con pochi mezzi e spazi. Nella scuola c’è tanta rigidità. A volte mi chiedono perché non ho messo queste energie nella scuola: semplicemente perché ho visto che spesso non ci sono ritorni, preferisco lavorare e dare un esempio virtuoso, anche per altre famiglie.”

Nell’homeschooling chi sono gli insegnanti? Esclusivamente i genitori?
“È necessario che ci sia un ‘cerchio’ di persone che condivide questa esperienza, ma il genitore ha la responsabilità di questo percorso. Per la musica, ad esempio, ci siamo rivolti a un insegnante. A volte ci uniamo tra famiglie, così da dividere i costi, e proponiamo approfondimenti di vario genere, tipo cinema o la scuola di fumetti. Non bisogna replicare la scuola, perché i tempi sono molto ridotti e diversamente organizzati. In alcuni casi si può prevedere la presenza di un tutor, altri seguono programmi della scuola pubblica, altri no. Noi seguiamo molto la tecnologia, c’è chi segue il metodo Montessori, chi Steiner, sono approcci diversi. Usiamo siti gratuiti per le lingue, la matematica, per molte delle discipline. Non c’è una ‘settimana tipo’ dell’homeschooling. Incentriamo i nostri insegnamenti sull’apprendimento naturale e sui suoi tempi. Abbiamo un’organizzazione flessibile, con alcuni appuntamenti fissi, ma ci lasciamo provocare dalla quotidianità. Vorrei che nelle scuole entrasse più vita, più realtà.“


 

Sembra di capire, che la casa sia vissuta come una fortezza, un posto che difende il bambino, il ragazzo dalle delusioni, sono molti i genitori che li hanno ritirati da scuola, proprio perché hanno vissuto esperienze negative e temevano non fossero compresi alcuni aspetti specifici o vulnerabili del carattere o i tempi di apprendimento dei loro figli. Ma sarebbe riduttivo non considerare un progetto che richiede in ogni caso un grande sforzo per seguire adeguatamente i ragazzi nello studio. Ed è interessante la compartecipazione familiare e amicale nello studio.

Quel che fa riflettere (amaramente) è la manifesta sfiducia nella scuola, che meriterà anche alcune critiche, ma alla quale si deve il riconoscimento del valore sociale e culturale che imprime nella comunità, con l’affermazione del diritto allo studio per tutti e per ognuno. Sembrava che l’isolamento causato dal Covid avesse provocato molta nostalgia fra i ragazzi che non vedevano l’ora di ritrovarsi a scuola, di stare insieme, di condividere gioia e rabbia, di piangere e ridere. Sembrava.
Se come ha scritto Sigmund Freud, educare è un mestiere impossibile, chi può affermare in tutta sincerità di essere in grado di farlo, di aver trovato la formula giusta per dimostrarlo?

Andreina Corso

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3 persone hanno commentato. La discussione è aperta...

  1. Buoingiorno, sono un’insegnante e mi pare che la scelta di far scuola in casa, non sia giusta. I bambini devono imparare insieme a altri bambini, è anche una scelta di democrazia perché offre le stesse opportunità a tutti. Non nego che la scuola qualche volta delude, ma sono veramente tanti gli insegnanti che lavorano bene e che meritano rispetto. Senza offesa, mi sembra una scelta un po’ egoistica.

  2. Molto difficile, ma interessante.
    Si arriva a questo, però, per la mancanza di una scuola pubblica che privilegi la qualità con classi di pochi alunni, tanti insegnanti capaci e motivati, tante ore dedicate anche all’attività fisica e alle uscite culturali.
    Questo richiede uno sforzo e impegno economico, ma ne vale del futuro di un paese

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