Durante l’esplosione dei casi eravamo come soldati. Ci si aiutava l’un l’altro stando attenti a non lasciare indietro nessuno. Era un gruppo unito, coeso. Ma non era rassegnazione, era paura. La paura ci aveva avvicinato tra di noi e non volevamo rimanerne schiacciati.
Si signori, avevamo paura, anche se non potevamo dirlo a nessuno. Nell’ospedale dove lavoro, a Mestre, a noi è vietato parlare, ma anche noi avevamo paura. Per noi, per le nostre famiglie. Per la prima volta ci trovavamo a combattere una guerra contro un nemico invisibile che non si conosceva affatto. E sfido oggi scienziati, dottori, politici, a dire che non era vero che si pensava che poteva succedere di tutto. Anche “una fine del mondo”.
Per questo tra noi s’era creato uno spirito di collaborazione che ci aveva compattato come succede sempre quando emerge la necessità di combattere un nemico comune, una situazione molto più grande della normale quotidianità che ti fa dimenticare tutte le piccole criticità personali e interpersonali.
Compattezza, questa è la parola giusta. A qualsiasi livello. Non c’era più suddivisione di ruoli (non sulle cose da fare, chiaramente ognuno ha sempre la propria specializzazione) ma a livello umano: ognuno era amico e disponibile con tutti e per tutti.
Ora è finito tutto. Non è finito il virus, naturalmente, ma quel tipo di solidarietà, sì. Non è finito il virus, è bene specificarlo, fa meno paura, questo sì, ma non è finito.
Secondo voi può essere finito se oggi (agosto) arrivano e vengono messe in opera barriere in plexiglass che ieri non c’erano? (E non sono mai state messe neanche a febbraio o marzo).
Tornando ai rapporti interpersonali dentro il luogo di lavoro, quello che mi fa più male oggi è riscontrare che quello ‘spirito di corpo’ che ci univa nei giorni difficili, non c’è più. Si è dissolto con la maggior parte delle paure.
Ai giorni di oggi sono tornate più importanti piccole beghe, rigidità di posizioni, obiettivi personali. Queste sono tornate ad occupare la priorità delle nostre giornate.
E su questo si dovrebbe riflettere.
lettera firmata
(foto da archivio)