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Lavoro a Venezia e in Veneto, i dati dell’occupazione

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In Veneto il mercato del lavoro è protagonista di cambiamenti importanti che meritano di essere monitorati con la massima attenzione. Le condizioni di incertezza che caratterizzano lo scenario mondiale si riflettono anche in questo settore: la crescita dei costi energetici, infatti, ha generato una vera e propria crisi accentuata dal problema degli approvvigionamenti e dal prezzo in aumento delle materie prime. C’è, poi, un altro fenomeno in corso in tutto il mondo, di cui forse si parla meno ma che si sta concretizzando anche in Veneto: ci riferiamo a quella che è conosciuta come great resignation, e che riguarda le dimissioni volontarie. Nel mese di gennaio, infatti, il 29% delle cessazioni è stato rappresentato da dimissioni volontarie: si tratta di un dato in aumento del 19% rispetto allo stesso periodo del 2021. Non è un trend da sottovalutare, soprattutto se si desidera mettere in atto una serie di misure appropriate che consentano di supportare l’occupazione e i lavoratori in generale.

Le ripercussioni della situazione internazionale

I dati appena riportati provengono da La Bussola di Veneto Lavoro, e testimoniano le conseguenze della situazione di difficoltà dello scenario economico internazionale. In questo quadro, la crisi energetica europea si fa sempre più pressante, e in più la guerra in Ucraina determina un rialzo dell’inflazione che non fa dormire sonni troppo tranquilli in relazione alle previsioni per l’occupazione per quest’anno. Va detto, comunque, che nel 2021 il mercato del lavoro Venezia e nel resto della regione aveva messo in mostra segnali positivi, con una crescita del numero di posti di lavoro pari a quasi 40mila unità, a fronte di un aumento del Pil stimato in quasi 7 punti percentuali.

I contratti a tempo indeterminato

L’inizio dell’anno in Veneto è stato contraddistinto da un aumento del numero di contratti di lavoro a tempo indeterminato; nel mese di gennaio sono cresciute in misura consistente le posizioni lavorative da questo punto di vista. Fra il 2020 e il 2022 le assunzioni sono aumentate del 3%, mentre fra il 2021 e il 2022 la crescita è addirittura del 58%. Non ci sono settori industriali in cui i saldi mensili siano negativi; il discorso è diverso, invece, per buona parte del comparto terziario e per il settore dell’agricoltura.

La domanda di lavoro

La domanda di lavoro può usufruire di una ripresa consistente soprattutto in quegli ambiti che lo scorso anno avevano dovuto fare i conti con le conseguenze delle restrizioni che erano state adottate al fine di contenere la pandemia da coronavirus, con riferimento in particolare al turismo. Va detto, in ogni caso, che continuano a esserci problemi di reclutamento in confronto al periodo precedente all’emergenza sanitaria. Le assunzioni nel comparto industriale sono in aumento rispetto al 2021, anno in cui l’impossibilità di licenziare aveva in un certo senso imprigionato il mercato del lavoro; ma il trend è in crescita anche rispetto al 2020. Entrando più nel dettaglio, per il manifatturiero si parla di una impennata del 10%, mentre per il comparto metalmeccanico si arriva addirittura al 24%.

Le grandi dimissioni

Per ciò che concerne la questione delle grandi dimissioni, il fenomeno deve essere monitorato in maniera puntuale, anche se non è detto che ci si debba allarmare. Può essere, infatti, che dipenda solo dal fatto che il periodo di stop ai licenziamenti abbia causato dimissioni ritardate. Inoltre, si può semplicemente trattare di un segnale della notevole dinamicità degli ultimi tempi del mercato del lavoro, grazie a cui i lavoratori si sono dimessi con la certezza di poter usufruire di condizioni di impiego migliori, magari anche in virtù di incentivi all’abbandono provenienti da aziende in difficoltà. Quel che è certo è che tra gennaio del 2021 e gennaio del 2022 sono pressoché raddoppiati i licenziamenti individuali ed economici, che però rimangono su valori più bassi rispetto a gennaio del 2020, periodo precedente alla pandemia.

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