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Il nostro modo di celebrare l’ 8 Marzo: un racconto di Andreina Corso

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signora anziana alla finestra

Sara parla poco con noi, non si sofferma sui nostri volti, preferisce osservare a lungo il gregge di perle del rosario e tenere stretta nel pugno la croce d’argento. A sorpresa un giorno, mentre pranzavamo, ci ha confidato con ferma convinzione e con un tono di voce uguale al suo ferreo pregare, che era stata lei ad insistere, a voler essere ricoverata in questo ospizio. Stavo bene, ci ha confidato, ma ho capito che era giunto il momento di andarmene quando mio figlio, che viveva con me, uno scapolone aperto a tutte le avventure, mi ha fatto il regalo del mio ottantesimo compleanno. E’ arrivato a casa ansimante, portandosi dietro uno scatolone enorme.

Lo aprì di buonumore e mi baciò dicendo, tanti auguri mamma. Mentre io osservavo meravigliata e curiosa cosa ci fosse mai lì dentro, mi stupì una macchia variegata di colori. Mattia fece uscire dei vasi di fiori, come fa un prestigiatore dal suo cilindro magico. Io continuavo a dire grazie, ad ogni vaso, grazie. Presto il tavolo del salotto diventò una serra, mettiamoli sul balcone, suggerii, così soffrono… Mattia mi sorrise rassicurandomi che non sarebbe successo. Sono finti, mamma, sono di plastica. Non ti devi preoccupare, vivranno per sempre.

E corse a metterli sui davanzali di tutte le finestre, ammirandoli e insistendo fastidiosamente sulle incredibili qualità di quelle cose finte. Ma, dissi io, come, non devo dare l’acqua alla terra? Ma quale acqua, rise Mattia, è tutta plastica, tu non devi fare nessuna fatica, li guardi e basta, non voglio che ti stanchi. Avrei voluto dirgli che mi stancavo di più a stirare le sue cose, cucinare, lavare i piatti, tenere in ordine la casa, anche se ai vicini dicevo che mio figlio mi aiutava e che mi trattava come una regina.

In fondo glielo dovevo, si occupava di me, insomma, mi “teneva”, come spesso rimarcava, abitava con me si sacrificava per una vecchia. Non si era neppure sposato, “per stare dietro a me”. Inoltre era sempre stanco, nervoso, non sopportava di essere contrariato, non voleva avere anche il pensiero dei fiori. Eppure sapeva che amavo curare le piante, che aspettavo con ansia la primavera per scoprire piccole foglie che nascevano sui rami, piccoli vagiti di vento dentro i primi petali illuminati dal sole. Perché aveva dimenticato la mia passione per la cura delle piante? Decisi di non dire niente, anzi lo ringraziai, ricordando che non amava ascoltare opinioni diverse dalle sue, ma fu in quei minuti che ho preso la mia intima decisione.

Aspettai qualche mese, i fiori finti mi spiavano vigili, controllavano le mie emozioni, non ho capito se dessero ragione a me o a mio figlio. Del resto loro avevano dei buoni motivi per essergli riconoscenti, Mattia li aveva sottratti alla luce al neon del supermercato, all’odore fastidioso dei detersivi che avevano accanto, al disprezzo di quei clienti che alla loro vista si allontanavano disorientati, pensando che erano orribili e che suggerivano mondi imbalsamati e temibili. Mattia nei loro confronti ha fatto un’opera buona, li ha messi sui davanzali a respirare aria pura. Non è detto che non ne avessero bisogno, che ne sappiamo in fondo del sentire dei fiori di plastica. In un momento di solitudine, approfittando dell’assenza di mio figlio, mi sono avvicinata alle finestre, li ho osservati attentamente e poi li ho toccati.

Erano più morbidi di quel che pensassi, il nostro contatto mi addolcì. Sentii che mi facevano pena, certo in un mondo pensato dai fiori non sarebbero esistiti, ci voleva la testa degli uomini per creare imitazioni grottesche e persino crudeli. Forse c’era della carta insieme alla plastica, era proprio lei, figlia della corteccia a donare il sangue ai petali. Sangue di legno come pane raffermo per gli sdentati. Ho riflettuto a lungo, prima di comunicare a mio figlio che desideravo venire qui, che c’erano due mie amiche e che mi sarei trovata bene. Non ce la faccio più a seguire te, a curare la casa, dissi a Mattia che, dopo un attimo di silenzio convenne che avevo ragione, è vero, sorrise, non puoi farcela, la casa è troppo grande, è meglio che tu vada in un posto dove ti curano e ti controllano, così anch’io mi sento più tranquillo.
Sappi però che è una decisione tua, che non si dica che sono stato io…

Lo rassicurai, dicendogli che ero io e solo io che volevo trasferirmi, perché non avevo le forze necessarie per i lavori di casa.
Sai, sosteneva Sara nel racconto, Mattia non ha detto che potevamo farci aiutare da una persona che avrebbe risolto quel problema, anche se ce lo potevamo permettere, io percepivo una pensione decorosa, ma lui non voleva nessun estraneo intorno e poi non ne sentiva la necessità. Non se ne parlava nemmeno. Perfetto, c’è stato subito accordo e dopo un mese, presentando i giusti documenti, ci hanno telefonato per confermare il mio posto letto. Mattia ha voluto festeggiare, io ho finto di gustare il vino bianco frizzante e una fetta di dolce, cin cin, ha detto Mattia, siamo stati molto fortunati, sai che c’è gente che aspetta il posto da anni! Evviva, ho detto io, sono una privilegiata! Ho salutato i vicini e i loro volti dispiaciuti per mio trasferimento, ho più volte ribadito che ero felice di quella scelta che era stata solo mia, che mi sarei trovata benissimo e che mio figlio sarebbe venuto a trovarmi tutti i giorni.

Mia figlia sarebbe venuta anche lei a trovarmi quando poteva, dati i tanti impegni familiari. Ho detto ciao ai fiori di plastica e ho pensato con amarezza che adesso ero io ad andare in una specie di supermercato, un posto chiuso dove si giace. Si sta lì e basta. Godetevi il sole, sussurrai con l’imbarazzo di provare un po’ d’invidia, ma solo un po’, per quei vasi che comunque erano esposti al sole. Constatai che la vita è un oggetto da depositare. A sorpresa Sara ci regalò un sorriso e poi una risata rumorosa, infantile, persino sguaiata che sembrava uscire da un altro corpo, non dalla posizione mesta in preghiera che sempre offriva a chi la osservava. Spiegò che era divertente ricevere consigli dai fiori di plastica che della loro immobilità fanno tesoro, sfidano il tempo e diventano saggi. Non hanno bisogno di usare la parola, si mostrano e ti fanno capire che gli assomigli.

andreina corso

[08/03/2014]

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