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Giorgia Meloni a testa in giù: il brutto gesto evocatore di Piazzale Loreto. Di Andreina Corso

Giorgia Meloni e la foto dei libri a testa in giù: perché? A un ricercatore di Cà Foscari non sarebbero di certo mancate le parole per esprimere civilmente un dissenso nei confronti dell'esponente di Fratelli d'Italia.

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Un impulso brutto e sconsiderato quello del professor Simon Levis Sullam, ricercatore all’Università di Ca’ Foscari. Brutto, provocatorio e inutilmente crudele, un gesto che non giova alla satira, allo scontro politico, un gesto che indigna ogni essere umano che ha a cuore la civile convivenza e che offende chi, in piena coscienza e ragione si confronta e si scontra sui temi della politica e della vita, con lealtà e rispetto.
Non giova a nessuna argomentazione di civiltà aver pubblicato, sul proprio profilo social, la fotografia a testa in giù, della deputata di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, autrice di successo con il suo libro ‘Io sono Giorgia’, edito da Rizzoli, accompagnato da un’infelice didascalia: «Nelle librerie Feltrinelli può capitare».
Ancora non è chiaro se la fotografia l’abbia scattata lo stesso docente di Ca’ Foscari, o se l’abbia ricevuta ‘in dono’. Sta di fatto che la pubblicazione, evidentemente figlia dell’avversità per la deputata, poi rimossa, forse per motivi di decenza, forse di ripensamento, forse su sollecitazione dello stesso Ateneo, ha rimandato la memoria a quel giorno di Aprile del 1945 e a Piazzale Loreto, dove il corpo di Benito Mussolini è stato appeso per i piedi a testa in giù e esposto al mondo.

Settant’anni sono passati da allora e la società col nascere della democrazia e con le parole della Costituzione, ha cercato di formarsi una coscienza civica, anche rispetto le parole della politica, degli slogan, che si pronunciavano in quegli anni (e purtroppo non è finita) con incosciente convinzione durante le manifestazioni, magari ridendo, che per pudore non riportiamo, ma che sappiamo aver dato alla luce a un linguaggio violento, indifferente, inutile: senza comunicazione e senza ascolto. Le parole sono pietre, scriveva Carlo Levi e con le immagini cruente diventano massi, dai quali sarà difficile sollevarsi. Il linguaggio dell’odio è pesante e contagioso.

Perché un ricercatore di Ca’ Foscari, abituato all’ascolto di giovani che hanno ragionato sulle sue lezioni, che si sono nutriti delle parole del Professore Associato di Storia Contemporanea, che li ha intrattenuti con ore di studio dedicate alla storia degli ebrei, dell’antisemitismo, dell’Olocausto? Perché un intellettuale del suo livello, interessato all’umanità della vita politica e al confronto delle idee, è potuto ‘scadere’ a un livello così inquietante e incomprensibile?

Non gli sarebbero certo mancate le parole per esprimere civilmente un dissenso nei confronti di Giorgia Meloni, qualora avesse ritenuto di esprimerlo. Ma se a tutti va richiamata la forma e la sostanza nel comunicare (ai politici, ai giornalisti) che devono essere corrette e urbane, a maggior ragione per un docente di Storia è d’obbligo attenersi a questo codice civico.


 

In questo momento il prof. Simon Levis Sullam, si trova all’estero, per partecipare a un convegno e già la rettrice di Ca’ Foscari Tiziana Lippiello, dissociandosi e distinguendosi a chiare lettere da quel post e da quei metodi, ha fatto trapelare la necessità d’immediati chiarimenti e di conseguenti provvedimenti.

Comprensibile l’amarezza e la giusta la reazione di Giorgia Meloni e di quanti sono stati solidali con lei e si sono indignati per questa violenza che ancora una volta ci dice quanto sia lontano l’esercizio della democrazia. E quanto fa male che chi ha il compito di formare e di educare, scada su comportamenti che potrebbero essere imitati dai giovani che sui social comunicano con disinvoltura.
Sì una brutta storia, da non dimenticare.

Andreina Corso

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