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Disturbo di panico: cenni su cause e cure. A cura del Dott. Angelo Mercuri

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Il “Disturbo di panico”, caratterizzato da attacchi di panico in successione intervallati da evitamento delle situazioni a rischio ed ansia cronica, è attualmente assai frequente nei Paesi con stili di vita “occidentali” in cui individualismo e ostinazione nel raggiungimento degli obiettivi sovrastano i campanelli d’allarme fisiologici del corpo e del cervello riguardo a stanchezza e stress. Già questo dice qualcosa sulle cause degli attacchi di panico: un’ansia cronica crescente giunge ad un parossismo che scatena l’attacco. Parlo di stile di vita occidentale moderno, che tutti conosciamo, perché mentre del panico oggi si discute continuamente, fino a 150 anni fa tale condizione era sconosciuta e solo il medico militare Jacob Da Costa nel 1871 descrisse per primo un qualcosa di simile all’attacco di panico nei soldati reduci dal fronte, chiamandolo “nevrosi cardio-respiratoria”; il disturbo di panico fu descritto quindi in tempi relativamente recenti e in soggetti sottoposti ad uno stress psicofisico non usuale: se ne deduce che il resto della popolazione ne fosse colpito assai raramente.

E’ vero anche che non tutte le persone sottoposte a stress sviluppano attacchi di panico quindi è evidente che vi sia una predisposizione individuale. Questo è avvalorato sia dalla famigliarità del disturbo (spesso si tramanda di generazione in generazione) che dalla constatazione di un’iperattività costituzionale, nelle famiglie predisposte, di una piccola zona del cervello denominata Locus Coeruleus, un gruppetto di neuroni preposto al mantenimento del tono adrenergico: le cellule del Locus Coeruleus infatti secernono noradrenalina (l’adrenalina del cervello) che va a stimolare praticamente tutto l’encefalo e anche il midollo spinale. Sarebbero proprio tali individui predisposti all’azione che, adottando stili di vita competitivi e logoranti, rischiano più facilmente di superare il limite della stanchezza nervosa senza accorgersene. Quindi, come spesso si dice parlando di patologie, anche per il panico contano eredità e ambiente sebbene in proporzioni variabili da caso a caso.

Il primo attacco di panico dunque, sebbene sembri un fulmine a ciel sereno, ha in realtà una lunga gestazione e spesso vi sono avvisaglie che ne precedono il manifestarsi tipo capogiri, disturbi gastrointestinali, tachicardia, insonnia. Al primo attacco poi ne seguono solitamente altri perché l’esperienza negativa si scrive, incancellabile, in un altro piccolo nucleo del cervello denominato Amigdala, preposto proprio alla memorizzazione irreversibile degli eventi più drammatici della vita: il soggetto dunque, dopo il primo attacco, vivrà costantemente nel timore che un nuovo attacco si presenti e proprio questa ansia anticipatoria continua rende più probabile lo scatenarsi di un nuovo attacco.

Quanto alla terapia, la psicoterapia volta ad affrontare gli attacchi di panico con strategie comportamentali e cognitive da sola solitamente non basta considerando che il disturbo di panico improvvisamente blocca e stravolge la vita di un individuo precedentemente attivo e produttivo; vi è urgenza quindi di risolvere o almeno di migliorare la situazione in tempi brevi: si impone pertanto, il più delle volte, l’utilizzo di una terapia psicofarmacologica da affiancare a quella psicoterapica.

I primi farmaci utilizzati sono gli ansiolitici denominati benzodiazepine (diazepam, alprazolam, clonazepam, lorazepam, bromazepam e simili) che dovrebbero abbassare il livello d’ansia dell’individuo; purtroppo però, associato all’insorgere del disturbo di panico, vi è un crollo dell’umore che le benzodiazepine non risolvono o anzi peggiorano. Si rende necessario pertanto l’abbinamento ad esse di un’altra categoria di farmaci, gli antidepressivi (sertralina, paroxetina, escitalopram, clomipramina e altri) che danno, a differenza delle benzodiazepine, una sensazione di serenità. Dopo circa un mese dall’inizio della terapia antidepressiva, solitamente i sintomi del panico spariscono.

Tutto bene, dunque? Abbiamo la cura per il panico? In parte si ma vanno fatte alcune precisazioni:

  • Bisogna ascoltare i campanelli d’allarme del cervello e non superare mai un certo livello di stanchezza nervosa che in alcuni soggetti predispone al panico: il primo attacco lascia nella memoria un segno indelebile, è un’esperienza che è meglio non fare perché può trasformarsi in un disturbo cronico invalidante
  • Purtroppo molto spesso il primo attacco di panico che spalanca le porte della psichiatria a molti adolescenti d’oggi, è dovuto all’utilizzo di droghe come cannabis o altro.
  • Anche se gli ansiolitici da soli non spengono solitamente il disturbo di panico, all’inizio va fatto comunque un tentativo di usarli senza antidepressivi; sia gli ansiolitici che gli antidepressivi danno dipendenza ma la dipendenza da antidepressivi è di gran lunga più grave e difficile da estinguere: se si considera che oggi spesso il primo attacco di panico irrompe nell’adolescenza, è meglio evitare che un sedicenne diventi già dipendente da antidepressivi perché potremmo ritrovarlo a sessant’anni che ancora è costretto a prenderli.
  • Se una terapia antidepressiva si impone, è bene che venga proseguita per tre-sei mesi dopo la remissione del panico; ma dopo tale periodo va fatto un tentativo di scalare la dose ed eventualmente di sospenderne completamente l’utilizzo.

Buone vacanze e guidate con prudenza soprattutto se assumete psicofarmaci!

A. Mercuri

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