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Conte si è dimesso. Cosa succede ora

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Conte si è dimesso. Entra in campo il Presidente Mattarella: è mezzogiorno quando il premier Giuseppe Conte sale al Quirinale e formalizza le dimissioni al Capo dello Stato.
Dimissioni annunciate, arrivano dopo che ogni tentativo di allargare la maggioranza dell’attuale governo è naufragato.
Ora la crisi passa nelle mani di Sergio Mattarella che chiamerà al Colle i partiti per capire se vi siano i margini per un nuovo esecutivo sempre guidato dall’ex avvocato del popolo.
Numeri solidi e un programma chiaro sono i presupposti necessari per far partire il Conte-ter, nel disegno del Colle.
E a sera il premier sceglie un post su Fb per lanciare quello che suona come un appello: il Paese ha bisogno di “un governo di salvezza nazionale”.
Per questo ha fatto un passo indietro ora e per le stesse ragioni chiama “un’alleanza europeista: è il momento – invoca – che emergano in Parlamento le voci che hanno a cuore le sorti della Repubblica”.
Perché ciò da cui non si può prescindere “è una maggioranza ampia e una prospettiva chiara”. Ma non solo. Conte sembra voler sgombrare il campo da questioni personalistiche, dando un respiro di lungo periodo alla sua missione: “l’unica cosa che davvero rileva – afferma è che la Repubblica possa rialzare la testa”.
C’è la Giornata della memoria da onorare, che cade proprio il 27 gennaio, e dunque le consultazioni non potranno che partire nel pomeriggio e andranno avanti fino a venerdì sera.
Tre giorni per continuare l’incessante caccia ai volenterosi, ovvero quel drappello di responsabili che dovrebbe puntellare una nuova squadra a Palazzo Chigi e che renderebbe Conte, ma anche i Dem e il M5s, meno esposti alle mosse di Matteo Renzi.
Renzi che resta inesorabilmente un protagonista della scena.
I gruppi di Italia Viva si riuniranno al termine del primo giorno di consultazioni ma intanto l’ex sottosegretario Ivan Scalfarotto mette agli atti una presa di distanza da Giuseppe Conte: Iv quando andrà a colloquio con Mattarella “non farà un nome”, dice; ma Iv non si farà neanche annebbiare dai “pregiudizi”, scrive successivamente nella sua e-news Renzi sostenendo la necessità di “un governo di legislatura ed europeista”.
Le trattative per mettere in piedi un gruppo autonomo di responsabili vanno avanti.
L’ex 5S Gregorio De Falco chiede di poter dare vita a un gruppo che faccia riferimento al Centro democratico di Bruno Tabacci. “Siamo una decina”, fa sapere, ma poi si capisce che non si tratta di nomi aggiuntivi e quindi non cambierebbe granché ai fini della conta.
La differenza consisterebbe nel fatto che probabilmente il neogruppo potrebbe partecipare alle Consultazioni.
La giornata per il premier è iniziata presto, alle 9 era a Palazzo Chigi, dove ha convocato l’ultimo Consiglio dei ministri del Conte II:

si tratta di un passaggio formale, deve comunicare le dimissioni alla sua squadra.
Nel farlo, rivendica l’orgoglio con cui lui e i suoi hanno “servito” il Paese in un momento così drammatico come quello della pandemia: “possiamo andare tutti a testa alta”, dice guardandoli negli occhi. E scatta l’applauso.
Le parole sono tutte di sostegno, Franceschini ma anche Bonafede promettono di essere “compatti attorno al suo nome”.
Anche se in serata il capogruppo Dem Andrea Marcucci è meno netto: “Non c’è un Conte a tutti i costi: è il buonsenso – dice interpellato dai cronisti – che ci guida oggi in quella direzione”.
Sì perché il timore delle prossime ore è sempre lo stesso: quella che si è aperta è una crisi al buio e non c’è certezza che Mattarella riesca a dare il reincarico al presidente del Consiglio, che pure ha il favore del 40% degli italiani secondo un sondaggio Demopolis.
L’alleanza Pd-M5s-LeU che ha consentito 17 mesi mesi fa la nascita del governo può avere un respiro anche di “prospettiva”, ammonisce Dario Franceschini.
Il Nazareno si prende 24 ore per riunire la Direzione: l’appuntamento è per le 14 di mercoledì ma intanto attraverso la vicepresidente Deborah Serracchiani respinge le accuse di disegni sotterranei: il nome di Conte è “imprescindibile”, viene ribadito. Ma soprattutto fa un passo verso Italia Viva assicurando di non avere alcun veto” nei confronti di “nessuno” e dunque neanche di Renzi.
Chi al Conte ter non sembra proprio disposto ad aprire resta il centrodestra, che pure segnato dai distinguo, convoca un vertice con i tre leader per annunciare che al Colle salirà unito. Scelta che non è detto serva a neutralizzare le differenze: Fi infatti continua a dirsi disponibile a un governo di unità nazionale mentre FdI punta sulle elezioni e la Lega dice no a “esecutivi pasticciati”.
Intanto in Senato i pontieri di Conte lavorano perché si materializzi in tempo per le consultazioni quel nuovo gruppo che dia legittimità politica al tentativo di un incarico “ter”.
“Liberaldemocratici e ambientalisti europeisti”, è il nome ipotizzato per il gruppo,

mentre il premier dimissionario via Facebook lancia l’ultima chiamata ai responsabili ‘in sonno’. Ma anche a Matteo Renzi: a lui sembra tirare ‘l’amo’ della riforma costituzionale con la sfiducia costruttiva.
In una prospettiva di legislatura, il premier apre a tutti coloro che ci stanno. Con un’apertura che prova a rimettere insieme e motivare una maggioranza che in Consiglio dei ministri e nelle segreterie dei partiti si mostra ancora compatta, ma che in Parlamento inizia a mostrare tentennamenti sul nome del presidente del Consiglio. E con una postilla ‘istituzionale’, sull’augurio che l’Italia rialzi la testa “al di là di chi la guiderà”, che le fonti parlamentari più maliziose leggono già come una disponibilità a un passo di lato.
La strada del reincarico, nel giorno delle dimissioni, appare in salita. Lo si avverte nel pessimismo che serpeggia tra i ministri e nei gruppi di maggioranza, tra le cui fila nomi diversi da Conte circolano anche come antidoto alla paura delle urne.
A dar corpo ai timori è l’atteggiamento critico con cui la delegazione di Italia viva si presenta al Quirinale.
Le carte restano coperte, come del resto quelle di tutti i giocatori della partita per il nuovo governo.
Ma la critica di Renzi a Conte, nelle aule parlamentari e in tv, è stata così distruttiva che gli (ex) alleati non mostrano dubbi sul fatto che il senatore di Rignano, se potesse, al Quirinale indicherebbe il nome di un altro premier.
Lui per ora inverte l’onere della prova e sfida Conte a mostrare di potersi riprendere Iv in maggioranza. La condizione è “cambiare nel metodo e nel merito”. Come a dire: un ruolo di Conte ridimensionato rispetto ai partiti della sua maggioranza e pari peso di Iv.
Se Mattarella darà al premier uscente un reincarico, si aprirà per il premier

una partita assai difficile, sul programma e sulla squadra.
A Palazzo Chigi si lavora fino all’ultimo, in asse con i pontieri di Pd e M5s, per allargare e sminare. L’obiettivo, finora mancato, è rendere Renzi non indispensabile al Senato.
Nei corridoi parlamentari si ragiona però già del piano B, se al Quirinale una maggioranza così chiara per Conte non dovesse emergere.
Il primo passo, secondo i rumors, sarebbe tentare la via di un nome M5s: si citano Stefano Patuanelli (super-contiano, in chiave alleanza col Pd), Roberto Fico (figura istituzionale, lascerebbe il posto a una personalità come Dario Franceschini), Luigi Di Maio (che da tempo viene citato come prima scelta di Renzi ma a più riprese ha smentito).
Far uscire nomi ora è un modo per bruciarli, dicono da Iv. Mentre dal M5s assicurano che la linea è unitaria sul nome di Giuseppe Conte. Ma nei gruppi pentastellati – già profondamente divisi sul ritorno di Renzi – sembra prendere corpo il fronte di chi non intende “consegnarsi” a Conte, anche in prospettiva futura.
Anche dal Pd liquidano come voci infondate le ipotesi che si fanno su nomi come Dario Franceschini, Lorenzo Guerini, Roberto Gualtieri. “Non siamo noi a dare le carte – taglia corto una fonte Dem – in Parlamento i nostri gruppi valgono meno del 15% alla Camera e al Senato”.
Ma intanto la prospettiva “europea” fa tirare in ballo anche nomi finora fuori dalla mischia come David Sassoli o Paolo Gentiloni. I nomi di Marta Cartabia, Carlo Cottarelli o Luciana Lamorgese si fanno in una prospettiva elettorale, se le consultazioni dovessero fallire. E poi c’è chi cerca di immaginare un premier costruito su misura di una maggioranza Ursula, che includa anche Forza Italia e qui tornano i nomi dei ‘dialoganti’ Franceschini e Guerini.
Ma sono temi del dopo, come anche il totonomi di un Conte ter con dentro anche Renzi ministro. Il primo giro di consultazioni si farà sull’ipotesi del “ter”: le delegazioni Pd, M5s e Leu faranno sicuramente il suo nome. Se fallisse, si aprirebbe la partita per un premier o una maggioranza alternativa. O, dice un sottosegretario Dem, più probabilmente la via delle urne, con Conte leader di un’alleanza contrapposta a quella di Salvini e Renzi ai margini.

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