A volte la verità deve essere sbattuta in faccia (o tra le pagine) perché le persone l’affrontino. Si cerca un capro espiatorio, si cerca qualcuno a cui affidare le colpe che, a volte non sappiamo prenderci. E così Igiaba Scego ci mette davanti alla sua realtà con Adua (edito da Giunti) raccontando la storia di questa donna di orini somale che ora abita a Roma e confida la sua infanzia alla statua dell’elefantino del Bernini in piazza Santa Maria. All’immagine dell’animale la donna parla del suo giovane marito, un richiedente asilo sbarcato a Lampedusa e delle sue paure dei suoi timori di un passato governato dalla figura di un padre che non riconosce tale. Lo stesso padre, Zoppe, al quale sono dedicati gli altri capitoli del libro.
Ecco perché Adua può essere considerato un romanzo a più voci, una sorta di a parte teatrali dove la Scego riesce a mettere in scena tre tappe storiche fondamentali – il colonialismo italiano, la Somalia degli anni ’70 e la nostra attualità, con i profughi – che interagiscono con personaggi fortemente caratterizzati sotto l’aspetto emotivo che prendono il lettore in vortice di sensazioni contrastanti, di profumi e odori di terre lontane, ma sempre più vicine a noi.
Raccontare il presente partendo dal passato, da una terra che spaventa e ammalia, dalla terra che prima di dare origini a Adua è la patria di Zoppe, partito a cercar fortuna come traduttore in un’Italia fascista, che guarda con sospetto il diverso e non si fa problemi ad usare le maniere forti verso lo straniero. Eppure il sogno di una Roma accogliente e pronta a fargli realizzare il sogno di sposare la bella Asha si infrange, in una città ben diversa dalle sue speranze. Inizia così un percorso verso la libertà, sudata e agognata come lo è quella di Adua che, anni dopo, è alla ricerca della stessa identica cosa.
Una promessa non mantenuta di un paese che vende meraviglie e regala incubi, l’opera di Scego è una storia di una guerra interna, prima che esterna, di una lotta verso la realizzazione di un sogno che si allontana e si avvicina al tempo del respiro. Adua cerca di aprire le coscienze del lettore, di fotografare una realtà a tratti razzista, spingendoci a fare i conti con le nostre coscienze, il tutto attraverso uno stile diretto, che difficilmente fa uso di mezzi termini, ma che non dimentica nemmeno la bellezza delle parole, diventando anche poetico.
Scego non punta il dito verso una nazione in particolare, ma verso le persone, quelle che non riescono a provare compassione, che non riescono ad allungare una mano verso i veri bisognosi, ma che preferisce voltare le spalle all’altra faccia della medaglia. Adua è il racconto di una battaglia, vissuta su vari livelli, è la storia di un padre e di una figlia, diversi, ma fatti della stessa pasta, due esseri umani che lottano per imporre loro stessi in un mondo che ama non guardare negli occhi il prossimo. Per un futuro migliore.
Sara Prian
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