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Il 2 novembre e noi, oggi, tra chi non c’è più, i cimiteri, ecc. Di Andreina Corso

Nel Comune di Venezia sono ormai più le persone che scelgono la cremazione rispetto alla tumulazione tradizionale

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Il 2 Novembre e il nostro rapporto con chi non c’è più. I cimiteri, luoghi della memoria per chi è in vita, spazi obbligati per i defunti. La storia della sepoltura offre interessanti spunti di riflessione.

Storicamente l’uomo ha sempre identificato luoghi precisi nei quali seppellire i propri morti, spazi sacri che rappresentavano città nelle città: le necropoli di greci, romani ed etruschi, le piramidi degli egizi, i conventi, le cappelle e i cimiteri adiacenti le chiese e le abbazie nel Medioevo.

Molti uomini di cultura hanno spesso dato voce a chi non poteva più parlare: è il caso di Ugo Foscolo, che si batté accanitamente contro l’editto di Saint Cloud, emanato da Napoleone, che prevedeva lo spostamento dei luoghi di sepoltura al di fuori delle mura cittadine e l’anonimato per coloro che non potevano permettersi una grande tomba.
Nel 1806 compose uno dei suoi migliori lavori, “Dei Sepolcri“, una densa meditazione filosofica sulla morte e sul significato dell’agire umano.

Nella cultura cattolica esiste un giorno dedicato alla commemorazione dei defunti, il 2 novembre, appunto, la cui istituzione si deve all’abate Odillon di Cluny tra il 1024 e il 1033. Scrive di lui il cardinale Pier Damiani che, avendo scoperto che nei pressi di un vulcano in Sicilia si udivano le grida dei demoni cui venivano strappate le anime dei defunti grazie a preghiere ed elemosine, ordinasse che nei monasteri si celebrasse la commemorazione dei defunti il giorno successivo alla festa di tutti i Santi.
E‟ consuetudine in questo giorno portare dei fiori sulle tombe dei defunti, tradizionalmente crisantemi. Confucio definisce invece i colorati fiori del crisantemo “gloria d’autunno”: se in occidente questo fiore è tradizionalmente legato al culto dei morti, in Estremo Oriente è simbolo di vita e di regalità. (Fonte Accademia Lancisiana).

Da qualche tempo, ormai anche nel nostro territorio comunale, assistiamo alla scelta maggioritaria della cremazione delle salme (il 66%), che saranno poi inserite in apposite urne negli ossari. Un altro elemento, particolarmente suggestivo e di forte impatto emotivo è la scelta di spargere le proprie ceneri in mare, o in laguna, quasi a immaginare un incontro spirituale con l’acqua, che è vita, con la morte che non vuol morire. O per una specie di alchimia capace di fermare il tempo, di trasformarlo in qualcosa che l’uomo non potrà mai comprendere a fondo.

Il bilancio emerso dall’incontro tra l’assessorato ai Lavori pubblici del Comune di Venezia e Veritas, ha toccato la qualità dei servizi e la previsione di spesa per la manutenzione dei sedici cimiteri esistenti tra la città d’acqua, le isole e la terraferma che accolgono 260 mila defunti.
Trentamilioni di euro in cinque anni, la previsione di spesa per rimediare a problemi di accessibilità e di sicurezza nei camposanti, per portare a termine quei lavori, come le ristrutturazioni delle strade, delle chiese e di altri monumenti e la messa a norma per consentire l’accesso ai disabili.

L’Assessora Francesca Zaccariotto, affiancata al direttore del settore di Veritas, Adriano Ercole ha altresì informato che molti lavori sono stati posti in essere e che con gli investimenti previsti di 16milioni per l’area insulare e 14 per la terraferma, si darà corpo a una ristrutturazione generale, con particolare attenzione per l’area verde e la cura delle piante e dei fiori, la ghiaia nei vialetti, e l’utilizzo migliore degli spazi che si libereranno, per consentire, vista la tendenza ormai abilitata alla cremazione, strutture e loculi per accogliere le urne.

E qualora crescesse la tendenza a spargere le ceneri in mare, sarà necessario ripensare ai camposanti, alla luce perpetua, al conforto di portare dei fiori sulla tomba del proprio caro.

La tomba, ci dice Ugo Foscolo, ” è il luogo nel quale si uniscono pietà e ricordo, è il simbolo della memoria di una famiglia attraverso i secoli realizzando una continuità da padre in figlio, è il segno della civiltà dell’uomo. Racchiude in sé i valori di un popolo resi eterni dal canto dei poeti: serve ai vivi più che ai defunti in quanto è ricordo di una presenza divenuta assenza cui l’uomo non riesce a far fronte”. Il tempo lo dirà ai posteri se in realtà di quel luogo tangibile della memoria l’uomo possa fare a meno.

Ma c’è un altro aspetto della modernità che ci deve indurre a profonde riflessioni: la diffusione dell’uso dei social network, che sono oggi le nostre potenziali tombe! Costituiscono già ora un “cimitero virtuale” con infinite capacità di “memoria”: a oggi ci sono più di 30 milioni di profili online di “scomparsi” e dopo il 2065 ci saranno più account di utenti deceduti che di vivi. La rete conserva praticamente per sempre informazioni immesse consapevolmente e non, e il nostro patrimonio digitale costituisce oggi prova e memoria della nostra esistenza.

Ma chi gestisce dopo di noi le informazioni che vi abbiamo affidato? Ma dovremo anche rassegnarci a essere dei “dati eterni”, ad avere un’immortalità digitale; è questa l’eternità (terrena!), o possiamo predisporre processi di autodistruzione dei dati come tentativo estremo di tutela della privacy? Diceva Borges che “l’impossibilità di dimenticare è una delle più grandi disgrazie che possano capitare a un essere umano”; per noi la rete non dimenticherà. I social network si stanno comunque attrezzando, e dal 2011 Facebook ha previsto l’ipotesi del “profilo commemorativo” e del “contatto erede” che consente a persona di fiducia di continuare a gestire il profilo di un individuo, ma anche il contrario (morte digitale!) (Fonte Accademia Lancisiana).

Preme l’urgenza di una riflessione che ci parli della nostra umanità.

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