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Mira, riduce la madre in fin di vita a martellate

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Nessuno è in grado di capire, per il momento, quale possa essere stata la causa di quell’aggressione violenta contro la madre di 77 anni, fra le mura di casa a Mira, forse una discussione, un raptus, una rivendicazione, che il figlio di 46 anni non è riuscito a controllare, a respingere e le conseguenze ora le sta valutando dal carcere.

Violata la sacralità che il rapporto madre e figlio richiama, si fa strada e si evidenzia una quotidianità piena di interrogativi. Quel martello scagliato sulla testa della donna, cosa voleva respingere o affermare? La richiesta di denaro, un rapporto di difficile convivenza? Una dipendenza da ludopatia, come bisbigliano i vicini che sembrano aver sentito le urla, ma che non sono intervenuti, perché “i due litigavano spesso …”.

E’ lui, il figlio a chiamare il 112 quando vede la madre invasa dal sangue, pensa che sia già morta e all’arrivo della polizia e dell’ambulanza, lo trovano a terra, accanto al corpo con il martello tra le mani. La madre è ancora viva, viene trasportata d’urgenza in ospedale è in rianimazione e i medici stanno tentando l’impossibile per salvarla, stanno valutando l’eventualità di un intervento chirurgico, ma ancora non sono in grado di pronunciarsi.

Questi i fatti di una cronaca semplice e insieme complessa perché si frappone in un rapporto esclusivo che sempre caratterizza quello tra madre e figlio. E poi il contorno, che come sempre è ambivalente. Un fatto cui purtroppo ci siamo abituati (quasi) a leggere dentro una quotidianità sinistra, che ogni volta rinnova l’orrore e sempre più ci dice quanto grande sia la violenza dentro e fuori le mura di casa.

Pare che l’uomo fosse seguito dal Centro di salute mentale e che i suoi comportamenti fossero affettuosi nei confronti della donna, che camminava con qualche difficoltà motoria, l’accompagnava a braccetto a fare la spesa, lei era rimasta vedova qualche anno fa e lui sembrava voler bene alla madre, l’accudiva anche quando è stata ricoverata in ospedale.

Ora i vicini dicono che si “avvertiva” una situazione di disagio, nell’osservarli, nel vederli stare insieme. Lui lavora in una cooperativa a carattere sanitario e i vicini ripetono che mai avrebbero pensato potesse succedere un fatto così grave. Sì, li sentivano litigare, anche questa volta, ma nessuno ha pensato di intervenire, suonare il campanello, chiedere se ci fosse stato bisogno di aiuto. No, non si sono preoccupati i vicini, erano liti quotidiane, sostengono.

E adesso che questa madre si trova in gravissime condizioni in un letto d’ospedale e il figlio in una cella carceraria, in attesa dell’udienza di convalida, la storia è giunta all’epilogo di una famiglia distrutta dalla violenza e dal penoso travaglio che quasta volta ha visto come protagonisti una madre e suo figlio.

Andreina Corso

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