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Terrorismo a Venezia, Arjan Babaj non parla al Gip, mentre la gente chiede chiusura della moschea

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Jesolo e il diritto a pregare degli islamici

Silenzio. Sceglie la strada della bocca cucita, preferisce non rispondere al giudice. E questo la dice lunga su quanti avevano ancora dubbi sulla mentalità dei terroristi appena arrestati a Venezia. Silenzio dopo le professioni di fede ad Allah e la voglia di uccidere invece sbandierata senza ritegno sui social.

“Non parlo…”, questa la scelta fatta davanti al Gip da Arjan Babaj, il 28enne definito come ideologo della cellula jihadista sgominata ieri a Venezia.

Il kosovaro definito la ‘guida spirituale’ del gruppo, pronto a far esplodere una bomba sul Ponte di Rialto, si è avvalso della facoltà di non rispondere nell’interrogatorio di garanzia sostenuto oggi nel carcere di Venezia.

Dake Haziraj (26 anni) e Fisnik Bekaj (25 anni), gli altri due suoi connazionali finiti in manette, saranno sentiti domani nelle carceri di Belluno e Treviso.

Un quarto presunto terrorista è un 17enne, in stato di fermo nel carcere di Treviso; sarà sentito sempre domani dal Gip che dovrà decidere se procedere con l’arresto o meno.

L’inchiesta vede altri 4 indagati con un ruolo ‘minore’, per i quali si prospetta una rapida espulsione dall’Italia. Vivono tra Venezia, Mestre e Treviso. Solo per uno di loro l’iter potrebbe essere meno veloce, perché aveva appena richiesto il rinnovo del permesso di soggiorno.

Sul fronte delle indagini, appare invece sempre più chiaro come per Bekaj fosse il web, al momento, parole sue, il vero campo di battaglia. “Io consiglio di lavorare continuamente in internet – diceva in un’intercettazione – perché anche questa è jihad, non è niente di meno di quello che fanno nei campi di battaglia con il permesso di Allah”.

Sempre l’ideologo del gruppo inneggiava sui social alla guerra santa per il Califfato, sottolineando che “lo stato islamico si fa con gli uomini, e non con i cetrioli”.

E proprio sulla rete si sta concentrando l’interesse investigativo delle forze dell’ordine. Nelle loro mani, oltre a tanti documenti cartacei trovati nel corso delle 12 perquisizioni, vi sono i pc e gli hard disk degli arrestati.

Allo stesso modo i tecnici di Polizia e Carabinieri stanno passando al setaccio le memorie dei telefonini usati dai 4 kosovari per mandare sms o ‘predicare’ la jihad via Istagram. Proprio dall’account di Haziraj gli investigatori sono risaliti ad un ulteriore profilo, più inquietante, cogestito con Bekaj, che aveva ben 18mila followers, tra cui alcuni foreign fighters.

Bekaj, che si firmava “gurhaba”, appare come una vera star del proselitismo jihadista: attraverso i molti ‘like’ ai suoi post, gli inquirenti sperano giungere ai sostenitori del gruppo ‘veneziano’.

Intanto il clima si surriscalda anche nella comunità musulmana che frequenta la moschea di via Fogazzaro a Mestre. Era qui che Fisnik Bekaj si recava a pregare. Oggi i residenti sono tornati a chiederne la chiusura, perchè era proprio nella minuscola moschea di via Fogazzaro, nel dedalo di viuzze multietniche di Mestre, a due passi dalla stazione ferroviaria, che Fisnik Bekaj, 25 anni, uno dei quattro componenti della cellula jihadista scoperta ieri a Venezia, si recava a pregare.

Ed è qui che ora torna a salire la tensione, con i comitato dei residenti tornato in strada per chiedere la chiusura del centro islamico. La moschea mestrina è a maggioranza bengalese, ma è frequentata da molti musulmani kosovari. Come Fisnik ed i suoi ‘fratelli di jihad’, Arian Babj, 28 anni, l’ideologo del gruppo, e Dake Haziraj, 26 anni, ossessionato dalla forma fisica e dalla palestra, che frequentavano, pur saltuariamente, il centro di via Fogazzaro.

“Noi non possiamo mica chiedere i documenti a chi viene qui a pregare – risponde il portavoce del centro culturale, Syed Kamrul, bengalese – Ho letto dell’inchiesta, ho visto le loro foto; personalmente non li conosco, però sì, uno dei tre ragazzi veniva qui a pregare. Non frequentava spesso, credo di averlo visto l’ultima volta diversi mesi fa”. “Ma questa cosa – aggiunge Kamrul – non c’entra con la religione. Nessuna religione, ne’ musulmana, ne’ cristiana ne’ buddhista dice di buttare bombe, parlano solo di pace”.

Nel ‘mirino’ delle autorità il centro musulmano di Mestre lo era comunque. Non certo per vicende di terrorismo, ma perché mal sopportato da parte dei residenti, che soprattutto nella giornata del venerdì vedono confluire qui tantissimi islamici per la preghiera del Corano. “Abbiamo fatto vari esposti e ci è stato riconosciuto che abbiamo ragione – spiega Luigi Corò, portavoce del comitato ‘Difesa del cittadino’ – Hanno cercato, spacciandolo per centro culturale, di allestire una moschea dove non si può. Dall’illegalità non ci si può aspettare legalità. Se questi sono i loro rappresentanti religiosi, come ci si può aspettare che i fedeli rispettino le nostre leggi?”.

Così oggi il centro islamico ha vissuto ore convulse, per il rischio incombente di chiusura. Il locale era quello di un ex negozio, poi trasformato in luogo di culto. Il Comune di Venezia aveva emesso un’ordinanza, in scadenza oggi, per sanare alcuni abusi riscontrati. Il controllo effettuato della polizia municipale è coinciso però con l’emotività del giorno dopo il blitz anti-terrorista. Così in strada si sono rivisti i comitati cittadini da una parte, e i frequentatori della moschea dall’altra.

(foto di repertorio)

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