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“Sbagliato considerare un traditore chi va via da Venezia, sbagliato dare dell’approfittatore a chi vive col turismo…”. La lettera

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Ciò che più mi dispiace nel leggere notizie su Venezia sono i commenti, di veneziani e non, che si accaniscono l’un l’altro per le proprie scelte personali.

E’ come se chi decidesse di andarsene da Venezia fosse un “traditore, uno che si arrende e che contribuisce all’abbandono della città in nome della comodità” o “un povero frustrato perché non può permetterselo”, mentre chi rimane “è un folle, approfittatore del turismo e che sguazza borioso, sicuramente ricco, attaccato ad un tempo che non c’è più, in una città in declino”.

Penso che la verità stia nel mezzo e che quello che dovremmo fare, invece di sputare rabbiose sentenze sulle vite altrui sia trovare nuove proposte insieme per salvare una città meravigliosa ma in evidente affanno (quello che le amministrazioni non fanno adeguatamente).

Perché invece non unire le forze per portare a casa un risultato comune invece che dividerci in due fazioni? Mi sembra tanto la guerra dei poveri.

Io sono una “veneziana di adozione” che ha studiato, vissuto, lavorato e trovato l’amore a Venezia. Penso di essere oggettiva nel vedere sia le meraviglie della città sia le difficoltà.

La “mia famiglia adottiva” (quella del mio ragazzo) è una tipica famiglia venezianissima che mi ha fatto subito sentire accolta e che mi ha mostrato il meglio di questa città. Dalle dolci coccole che si possono trovare al loro bar frequentato da diversi residenti di generazione in generazione, al portarmi in escursione per la laguna mostrandomi come si voga alla veneta.

Questo non significa che la mia permanenza a Venezia sia un idillio, come ci sono dei veneziani che, anche avendone avuto la possibilità, non hanno vissuto di solo turismo e che mi hanno accolta a braccia aperte condividendo con me un pezzetto della loro “vera” Venezia, ci sono stati tanti veneziani che mi avrebbero fatta scappare a gambe levate, guardandomi sempre con aria di sufficienza e superiorità.

Come, per esempio, chi al bar mi faceva pagare una brioche più cara di quanto invece la facesse pagare al mio ragazzo perché sentiva dall’accento che ero “foresta” (e ocio, che sono comunque veneta..) o come il fatto che venga considerata una turista da ogni ufficio comunale e che debba stare in fila secondaria ai vaporetti perché, pur lavorando, contribuendo all’economia locale, e avendo in affitto casa e persino il medico qui da alcuni anni, con il domicilio avevo gli stessi diritti dei turisti.

Secondo me il problema non è chi lascia o chi rimane a Venezia, ma il problema è che non siamo nella posizione di poter scegliere liberamente se rimanere o andarsene.

Diversi nostri amici, nati veneziani e che tuttora lavorano a Venezia, sono stati costretti ad andarsene in terraferma per coronare il loro sogno di comprare casa. Cosa che qui avrebbe richiesto delle spese che delle persone che economicamente nella media non possono permettersi se non vendendo un rene.

Io stessa ho visitato diverse case per spostarmici con il mio ragazzo, e ci venivano offerte delle soluzioni in cui non c’era nemmeno l’impianto elettrico e il riscaldamento, eppure i prezzi superavano di molto il mezzo milione (e non stiamo parlando di metrature incredibili o zone prestigiose).
(Ndr Siamo entrambi architetti, quindi un pochino in materia mi posso esprimere.)

Ma ho anche diversi amici che una volta provata la terraferma non potrebbero più rinunciare alle sue comodità, alla facilità con cui si possono trasportare oggetti con l’auto, a come si può far vivere una vita più dignitosa ad anziani e disabili con ascensori e strade/negozi accessibili.

Questo fa di loro traditori o semplicemente persone con esigenze e desideri diversi? Io e il mio ragazzo siamo molto in difficoltà per cercare di capire dove costruire il nostro nido, stiamo prendendo in considerazione tuti gli aspetti: emotivi, economici, funzionali, sociali, lavorativi ecc. Strapparlo da Venezia sarebbe strappargli un pezzo di cuore (e devo ammetterlo, anche per me pur non essendo nata qui è dura) ma anche lui si rende conto di alcune difficoltà oggettive che fatichiamo a superare con il semplice sentimentalismo che ci lega alla città.

Allora dico, la smettiamo di accanirci l’un l’altro sapendo che tutti stiamo facendo delle scelte difficili e non a cuor leggero e che forse potremmo invece impegnarci per migliorare questa città?

Sicuramente Venezia rimane una città particolare in cui su alcune situazioni non ci saranno compromessi e bisognerà accettarle, ma possiamo renderla più vivibile, più accessibile, anche economicamente.

Possiamo indignarci non di noi, ma delle amministrazioni che sembrano non avere idea di come tutelare la città o agevolare la residenzialità. Come quando i vigili intervengono per dei monopattini lasciati dai bimbi fuori l’asilo ma non lo fanno dopo diverse chiamate per ubriachi in gruppi di addio al celibato molesti sotto casa (ocio, non discrimino tutta la pubblica amministrazione, so che ci sono molti che si impegnano nel loro lavoro, lo fanno bene e li ringrazio. Penso però che a livello generale non c’è purtroppo una direzione forte).

Se ci smuoviamo dalle nostre polverose posizioni agguerrite possiamo farla nuovamente risplendere.

Lei è sempre li, siamo noi a doverci muovere, ma nella nostra testa.

Debora
(lettera firmata)

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2 persone hanno commentato. La discussione è aperta...

  1. Nulla di nuovo sotto il sole. Il soliti amarcord di quanto romantica è Venezia però la ricetta è: bisogna adattarsi o quanto meno sopportare il delirio del turismo per viverci. Personalmente ho conosciuto La Venezia degli anni sessanta da bambino e settanta – ottanta da ragazzo. Un’altra Venezia. La vera unicità risiedeva nella socialità: la microcomunità (la calle con le sue botteghe – il campo) inserita nelle comunità più grandi. Tutti si conoscevano. Ora tutto questo è finito. I selciati e le residenze sono solo ad uso di trolley di tutti i paesi, le serenate sono alle nove di mattina, il ricambio generazionale (leggesi residenzialità) è stato bruciato dal denaro facile del turismo, il commercio orientale si è introdotto a grandi passi facendo della città uno bazar (tra l’altro di pessimo gusto). Solo un piccolo ricordo che permette di capire cos’era la venezianità – intesa come spirito della città. Ho ancora vivo il ricordo dei battelli (vaporetti) con cabina spaziosa e sedili .. con schienale imbottito (!) e si trovava sempre posto, una piccola crociera. Cos’è adesso – tanto per dirne una – il trasporto pubblico? semplicemente una penitenza a cui molte volte- purtroppo – non ci si può sottrarre. Venezia è cambiata il mondo è cambiato.

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