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È stata la mano di Dio, uno dei migliori Sorrentino di sempre

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Leone d’argento alla 78ma mostra del cinema di Venezia, il nuovo film di Paolo Sorrentino sembra stendere una mano anche a chi, come il sottoscritto, non è un ammiratore del suo cinema.
Trattasi di una confessione sotto nome de plume dell’autore campano che, seguendo in parte il modello de “I vitelloni” di Fellini, vuole raccontare la presa di coscienza del proprio destino nella Napoli degli anni 80, quelli dello splendore maradoniano, a cui il film è dedicato.

E in effetti più di un motivo per lasciarsi sedurre dal “È stata la mano di Dio” c’è. Aperto e chiuso nel prefinale, da una struggente panoramica del golfo di Napoli che si stende morbida e malinconica, avvinghiante trappola e oggetto d’amore allo stesso tempo, il film mette in scena una prima parte dedicata al ritratto familiare del protagonista, Fabio Schisa (bravo Filippo Scotti), tra due genitori adorabili (Servillo e Saponangelo, encomiabili), una zia bellissima e apparentemente scentrata (una Luisa Ranieri da sogno), i pittoreschi parenti e affini (tra cui un divertentissimo futuro cognato agée interpretato con competenza dall’attore veneziano Alessandro Bressanello).

Tracce più o meno evidenti del nume tutelare del regista, ovverosia Fellini, sono disseminate in maniera esplicita ma soprattutto implicita, anche se dal film evinciamo che pure la grandiosità di Sergio Leone non è passata invano.
Quando l’autore le propone sottotraccia siamo davanti a una perfetta elaborazione senza plagio del grande Riminese. E il divertimento abbonda, così come la tenerezza e il disagio, latente ma palpabile e preveggente. Poi, a causa di un evento che irriducibilmente cambierà la vita di Fabietto, il film si sposta in un labirintico smarrimento, che è quello del protagonista. Di pari passo le vicende del nuovo numero dieci del Napoli, quel Maradona che non solo donerà a Napoli un sogno bigger than life ma che sarà quasi una guida spirituale per il giovane futuro regista, col suo gol di mano (mano di Dio), la sua perseveranza, le sue azioni divine, mai viste né prima né poi, di un calcio che assume una dimensione esistenziale assoluta.

Sì, il film ci riconcilia, noi non conciliati con la vanità sorrentiniana, orfani di un grande talento sin dai tempi del “Divo”. Per tutto il primo tempo l’empatia con i personaggi e le vicende sono irresistibili, merito anche di un cast in stato di grazia diretto con una scioltezza e un’affabilità mature; al punto che certe epifanie estetiche di timbro fellinesco si perdonano facilmente, tale è la leggerezza della briglia registica nella conduzione della danza.

In sala si ride, ci si appassiona, ci si commuove. Poi, almeno per chi scrive, col cambio del registro narrativo, qualcosa sembra spezzarsi e tutta la vicenda della dolorosa e forzata maturazione di Schisa diventa più confusa, meno afferrabile, meno empatica. Necessario ma non chiaro e forte come l’incipit. A tratti si percepisce che non tutto è materiale di prima mano e che grattando la impeccabile forma qualcosa di già visto e in meglio sembra emergere. Ma è Sorrentino, e anzi in questo da “È stata la mano di Dio” possiamo imparare qualcosa per comprendere meglio il suo cinema e anche a perdonarlo di certo egocentrismo.

Per cui alla fine è un “Sì” riguardo questo nuovo lavoro dell’autore de “Il divo”. Un sì perché formalmente la qualità è elevata (un plauso alla fotografia così ampia e “vera” di Daria D’Antonio); un sì perché possiamo capire i motivi sottostanti la grandeur di un regista a cui spesso scivola la mano ma che possiede un occhio cinematografico non certo di second’ordine. Un sì perché questa anima divisa in due (in questo senso l’incontro col vero regista Antonio Capuano e l’apparizione fuori campo di Fellini sono manifestazione del dualismo artistico del regista; vero e falso, realtà o fuga da essa?) ci si offre con disarmante nudità e ci chiede di comprenderlo.

Resto sempre convinto della scelta della giuria della mostra del Cinema di destinare l’oro alla Diwan. Ma questo nulla toglie a “È stata la mano di Dio” nell’essere uno dei migliori Sorrentino di sempre.
E la chiusa in cui è palesemente chiamato in causa il finale de “I vitelloni” non è plagio ma inevitabile manifestazione di comunanza col destino del grande Federico, il regista Provinciale per eccellenza, che nonostante la fuga a Roma ha lasciato il cuore a Rimini. Tanto quanto Sorrentino a Napoli.

È STATA LA MANO DI DIO
(2021, Italia)
Regia: Paolo Sorrentino
Con Filippo Scotti, Teresa Saponangelo, Toni Servillo, Luisa Ranieri, Renato Carpentieri, Alessandro Bressanello

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