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Ciontoli condannato a 14 anni per omicidio Vannini. La madre di Marco: “Anni di bugie”

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Ciontoli condannato a 14 anni per omicidio Vannini. La madre di Marco: "Anni di bugie"

Ciontoli condannato a 14 anni, lo ha deciso Corte d’Assise d’Appello di Roma in relazione all’omicidio Vannini. La madre di Marco, sollevata dopo la paura per sentenze “incongrue”, dichiara: “Anni di bugie” in riferimento anche alle responsabilità degli altri componenti della famiglia, dato che moglie e figli sono stati condannati a 9 anni e 4 mesi.

Marco Vannini il 18 maggio del 2015 è stato ucciso per mano del padre della sua fidanzata, Antonio Ciontoli, in una azione che rientra nell’omicidio volontario. Lo hanno ora cristallizzato i giudici della Corte d’Assise d’Appello di Roma che hanno condannato Ciontoli a 14 anni di carcere.
I giudici hanno inflitto 9 anni e 4 mesi al resto della famiglia, la moglie di Ciontoli, Maria Pezzillo e i figli Federico e Martina, fidanzata di Vannini.
E’ stato così accolto totalmente l’impianto della procura generale che aveva chiesto di riconoscere la fattispecie più grave per il capofamiglia e in subordine il concorso anomalo in omicidio volontario per gli altri imputati.

Dopo cinque anni dai fatti arriva forse la svolta giudiziaria decisiva per una tragica vicenda che ha sconvolto, di fatto, due intere famiglie.
Il secondo processo di Appello era stato disposto dalla Cassazione che nel febbraio scorso ha annullato la prima sentenza d’Appello in cui era stata riconosciuta l’ipotesi più lieve dell’omicidio colposo portando la pena inflitta in primo grado, 14 anni, a 5 per Antonio Ciontoli.
La Suprema corte ha ordinato, quindi, un nuovo giudizio indicando una decina di indizi di colpevolezza sufficienti a contestare l’omicidio volontario.

Ciontoli è stato condannato perché la morte di Vannini e’ stata causata da un micidiale mix di imprudenza e incoscienza. L’imprudenza legata all’utilizzo di una arma, regolarmente detenuta, in una sorta di “folle gioco” e la colpevole incoscienza di non avere avvisato subito i soccorsi che se fossero intervenuti subito avrebbero potuto salvare la vita del 21enne.

I fatti risalgono alla notte tra il 17 e il 18 maggio di cinque anni fa nell’abitazione di Ciontoli a Ladispoli. In base al racconto fornito dagli imputati, Marco viene raggiunto da un colpo di pistola alla spalla mentre si trova in bagno con la fidanzata Martina e suo padre.
La prima chiamata al 118 arriva solo 40 minuti dopo quello sparo. Da lì una catena di ritardi e omissioni che hanno, di fatto, causato la morte per emorragia del giovane 21enne causata dalle lesioni del proiettile.
“E’ solo un attacco di panico, un grande spavento. Dovete stare tranquilli, è un colpo d’aria partito dalla pistola”, disse Ciontoli, stando al racconto dei familiari. Una ricostruzione di comodo, una versione che a detta della Procura non può reggere.

“Un secondo dopo lo sparo è scattata la condotta illecita – ha detto il pg Vincenzo Saveriano oggi in aula -. Tutti i soggetti sono rimasti inerti, non hanno alzato un dito per aiutare Marco. Un pieno concorso, una piena consapevolezza di quello che voleva fare Antonio Ciontoli e cioè di non far sapere dello sparo. Tra la vita di Marco e il posto di lavoro del capofamiglia, hanno scelto la seconda cosa”.

Per l’accusa una intera famiglia “ha detto menzogne in serie” per mettere in atto un “disegno programmato a cui tutti hanno aderito”. Prima che i giudici entrassero in camera di consiglio, Antonio Ciontoli ha chiesto di potere fare dichiarazioni spontanee, tentando di alleggerire la posizione dei familiari e prendendosi tutta la responsabilità della morte di Vannini.

“Chiedo perdono per quello che ho commesso e anche per quello che non ho commesso. So di non essere la vittima ma il solo responsabile di questa tragedia”, una ammissione piena e poi l’accenno a Vannini, tra le lacrime. “Quando si spegneranno le luci su questa vicenda, rimarrà il dolore lacerante a cui ho condannato chi ha amato Marco. Resterà il rimorso di quanto Marco è stato bello e di quanto avrebbe potuto esserlo ancora e che a causa del mio errore non sarà. Marco è stato il mio irrecuperabile errore”.

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Madre di Vannini, ‘anni di bugie ma giustizia c’è’
“E’ finita, è finita”. Marina Conte, la mamma di Marco Vannini che per cinque anni si è battuta per la verità sulla vicenda del figlio, è corsa fuori dall’aula Europa della Corte d’Appello di Roma mentre il presidente Gianfranco Garofalo non aveva ancora terminato di leggere il dispositivo. La donna però aveva capito che la sentenza “aveva fatto giustizia” sulla drammatica notte di Ladispoli.

Marina è corsa fuori ad abbracciare il marito, a sciogliersi in un pianto liberatorio dopo mesi e giorni di tensione. “Finalmente è stato dimostrato quello che era palese fin dall’inizio. Se fosse stato soccorso subito Marco sarebbe qui. La giustizia esiste e per questo non dovete mai mollare”, le prime parole ai giornalisti e telecamere che la seguono nei corridoi del tribunale.

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La mamma di Marco ha abbracciato anche il procuratore generale Vincenzo Saveriano e lo ha ringraziato per il lavoro fatto, per la requisitoria con cui a raccontato le tante bugie ed omissioni messe in atto dalla famiglia Ciontoli per coprire ciò che era accaduto in quella villetta, per non mettere a rischio il posto di lavoro del capofamiglia Antonio.

Una gioia che arriva dopo “anni di bugie” e dopo la grande delusione della sentenza del primo processo d’appello che, non riconoscendo la volontarietà nel gesto, portò la pena inflitta a Ciontoli a 5 anni.

“E’ una grande emozione che arriva dopo cinque anni terribili e difficili”, ha proseguito Marina scortata dai suoi familiari. La donna non risparmia una stoccata ad Antonio Ciontoli che poche ore prima, in aula, aveva chiesto perdono addossandosi tutte le colpe di quanto avvenuto. “Deve chiedere perdono a sé stesso”, ha affermato prima di ringraziare il suo legale, l’avvocato Franco Coppi. I Vannini lasciano piazzale Clodio tra gli applausi anche di semplici passanti. “Abbiamo lottato per avere giustizia, grazie a tutti”, le parole di Valerio, papà di Marco.

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