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Badante muore di Covid: denunciato l’anziano per il contagio

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Badante muore di Covid: denunciato l’anziano per il contagio. Purtroppo una delle nuove dinamiche dello stato di diritto che abbiamo cominciato ad esplorare con l’esplosione della pandemia. Ci sono responsabilità nei casi di contagio? E se si, si possono formalizzare tangibilmente? Nel caso specifico i famigliari chiedono oltre un milione di indennizzo, ma la vittima non era vaccinata…

Il caso esplode in queste ore a Ravenna. Secondo i familiari del badante addetto all’anziano, a contagiarlo era stato l’anziano che assisteva. Per i familiari dell’anziano invece non solo il badante si era sempre detto refrattario al vaccino, ma dopo avere contratto la malattia inizialmente si era curato con rimedi alternativi come erbe, infusi e antipiretici. Sono questi i contorni della vicenda che ha spinto gli eredi di un badante di origine romena morto l’anno scorso a 68 anni di Covid-19, a chiedere in totale un milione e 200 mila euro circa, tra danni patrimoniali e non, all’anziano suo datore di lavoro, un 83enne ravennate che invece si era vaccinato, inquadrandolo quale persona che lo aveva contagiato. La singolare causa, che partirà questa mattina davanti al giudice del Lavoro Dario Bernardi del Tribunale di Ravenna, vede tra i soggetti citati oltre all’anziano anche l’assicurazione di questi e l’Inail.

Il badante rispondeva che si sentiva forte e in buona salute e che il covid non gli faceva paura

Secondo quanto lamentato dai familiari del defunto, il contagio era avvenuto sul luogo di lavoro e il Covid-19 era stato la causa esclusiva, o prevalente, del decesso del badante il quale era stato assunto nel gennaio 2021 come lavoratore domestico part-time care giver (25 ore); quindi dal 23 al 28 agosto era andato in ferie per manifestare gli effetti del virus poco dopo il suo rientro alla casa dell’anziano. Quest’ultimo aveva contratto il virus con tampone positivo del primo settembre scorso, ma si era salvato (a suo tempo aveva optato per il vaccino) mentre il tampone positivo per il badante risale al 3 settembre. Secondo quanto in sintesi delineato dal datore di lavoro tramite memoria difensiva anche dell’assicurazione, è impossibile accertare il nesso causale tra l’infezione del badante e l’ambiente di lavoro soprattutto alla luce dei lunghi tempi di incubazione (fino a 14 giorni). Come dire che in questo caso è impossibile dedurre l’origine professionale della malattia sebbene il decreto Cura Italia abbia equiparato l’infezione da covid-19 contratta sul lavoro (o in itinere) a infortunio con causa virulenta. Ma c’è soprattutto un aspetto sul quale è stata focalizzata l’attenzione: il collaboratore domestico non era vaccinato. Quando i figli dell’anziano gli chiedevano spiegazione, lui avrebbe risposto che il vaccino anti covid-19 non lo avrebbe protetto dal rischio contagio, che in ogni caso si sentiva forte e in buona salute e che il covid non gli faceva paura. Idee di natura no-vax che – sempre secondo la difesa – erano state abbracciate pure da alcuni familiari del defunto tanto che agli atti figurano numerosi post su Facebook in merito.

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Il badante da ultimo dopo il contagio si sarebbe inoltre inizialmente curato con metodi alternativi a quelli della medicina ufficiale. Ma dato che la febbre persisteva, dietro insistenza dei figli dell’83enne, era stato visitato dai medici dell’Usca, le unità speciali di continuità assistenziale, i quali avrebbero da subito manifestato il loro disaccordo per la terapia fino a quel momento seguita optando infine per il pronto soccorso più vicino.

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