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La storia di Sofia e la burocrazia tipica del nostro Belpaese

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io sto con sofia aereo staminali

Il 19 agosto la piccola Sofia di Firenze si è scontrata per l’ennesima volta contro il granitico muro della burocrazia tipica del nostro Belpaese. Se fosse tutto frutto della fantasia di un essere umano potrebbe trattarsi di un’opera di Kafka. Ma partiamo dal principio.
Tutto ha inizio quando Sofia si ammala di una malattia che non lascia scampo, la leucodistrofia metacromatica, ufficialmente incurabile. Ora Sofia ha 5 anni e da più di metà della sua breve vita è ammalata; non può guarire, questo lo sappiamo, però potrebbe vivere meglio e con minori sofferenze.

Sì, perché se ve lo steste chiedendo, Sofia prova tanto dolore fisico ed è ormai farmaco resistente, perché essendo assuefatta agli antidolorifici questi non le fanno più effetto. Un giorno di due anni fa ha intrapreso una terapia a base di cellule staminali che, inspiegabilmente per la scienza, le dava un po’ di sollievo, la faceva vivere meglio e con quel briciolo di dignità in più che non si dovrebbe negare nemmeno al peggiore dei nemici. Dopo un po’ di tempo, però, le Istituzioni hanno deciso che questa cura non si dovesse fare più, a nessuno; “è pericolosa ” (non che abbiano spiegato molto bene i rischi che può avere su chi comunque non è destinato a sopravvivere), hanno detto, “STOP!” Ma i genitori di Sofia, come quelli di molti altri bambini, hanno detto “no, non ci stiamo” e si sono così rivolti ad un altro potere dello Stato, questa volta diverso da quello che aveva tolto loro la speranza: si sono rivolti al potere giudiziario.

In linea di massima i giudici, valutata approfonditamente ogni questione, hanno concesso ai pazienti già in cura, come Sofia, di continuare la strada intrapresa. Che bello, tutto a posto? No, manco a dirlo. I medici dell’ospedale ove erano state fatte già più di 400 infusioni di cellule staminali, folgorati sulla via di Damasco, hanno incredibilmente incrociato le braccia adducendo uno scrupolo di coscienza che non avrebbe permesso loro di continuare queste terapie. E intanto Sofia e gli altri peggiorano sempre di più, respirano male, deglutiscono peggio, non mangiano, hanno spasmi muscolari e chi più ne ha più ne metta. Allora cosa fanno i genitori? Si arrendono? No! Vanno dagli stessi giudici che si sono pronunciati per permettere loro di proseguire le cure e a questi chiedono di fare qualcosa perché i loro pronunciamenti vengano rispettati. Apriti cielo. Alcuni nominano dei medici che si sono offerti di prestare la loro opera e altri dicono che non possono nominare nessuno, nemmeno i volontari, perché ciò esula dal loro potere…

C’è un po’ di confusione, lo ammetto… E quindi la nostra piccola Sofia, a cui il giudice prima ha detto “fai le cure” – nel 2013 – e poi “non posso nominare un medico che te le faccia” – nel 2014 –, attraverso la voce e la forza dei genitori si è rivolta ad altri tre giudici, proprio perché non era d’accordo con quanto le aveva detto il giudice nel 2014: lei le cure le vuole fare! Se non altro per mangiare il gelato a cucchiaiate come prima, visto che ora viene alimentata artificialmente. Mi state seguendo? Bene! Arriviamo così al 19 agosto, tre giorni or sono, quando il papà di Sofia, con il suo avvocato, si presenta davanti al Collegio giudicante (i tre giudici di prima)… Chi manca? L’ospedale! Perché? Ma perché siamo in agosto e fa caldo, le poste arrancano e la notifica non è stata fatta in tempo utile. Semplice. Allora che fare? I giudici non si perdono d’animo e rimandano Sofia a settembre, come a scuola: insufficiente, a settembre! Intanto rifacciamo la notifica ed aspettiamo, in religioso silenzio mi raccomando, le 9.30 del 2 settembre prossimo quando speriamo che qualcuno decida qualcosa. Sapete cosa vi dico? Che #iostoconsofia, ci stavo ieri, ci sto oggi e ci starò per sempre. Buonanotte.

lettera firmata

21/08/2014

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2 persone hanno commentato. La discussione è aperta...

  1. Mi affianco a Sofia, ai suoi genitori con grande solidarietà e affetto.
    La storia è crudele e stravolge nel suo essere vera, vissuta nella sofferenza e nella rabbia.
    C’è qualcosa che si possa fare concretamente? Possiamo conribuire in qualche modo nel testimoniare la nostra indignazione?
    Con vicinanza di cuore.
    Andreina Corso

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